Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 29-01-2013) 26-06-2013, n. 28067

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il 18/04/2012, il G.i.p. del Tribunale di Mantova rigettava un’istanza presentata dal Procuratore della Repubblica in sede per l’applicazione della custodia in carcere a carico di M.G., sottoposto a indagini per reati di bancarotta fraudolenta e aggravata commessi nell’ambito della gestione della omonima impresa individuale, della Muto Costruzioni S.r.l. e della D.S.G. S.r.l., tutte operanti nel settore edile-immobiliare. Il G.i.p., pur evidenziando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nei confronti del M., riteneva che non ricorressero esigenze cautelari: escluso che questi potesse inquinare le prove (essendo le indagini già concluse) o darsi alla fuga, era parimenti da negare un pericolo di commissione di nuovi reati, visto che le dichiarazioni di fallimento erano abbastanza risalenti (in particolare, al (OMISSIS)) e che non risultava lo svolgimento ancora in corso, da parte dell’indagato, di attività identiche a quelle delle società anzidette.

Su appello del Pubblico Ministero, il Tribunale del riesame di Brescia applicava invece a carico del M. la misura coercitiva della custodia in carcere, sospendendo comunque l’efficacia del provvedimento – adottato all’udienza del 15/05/2012 – sino alla eventuale esecutività.

Il collegio si soffermava sulla valutazione degli elementi indiziari, rilevando che:

in ordine al fallimento dell’impresa individuale M.G., il curatore aveva evidenziato un deficit patrimoniale di circa 1,3 milioni di Euro pure a fronte di notevoli carenze nella tenuta della contabilità, nonchè una pluralità di condotte distrattive (fra cui l’emissione di assegni circolari non trasferibili per 220.000,00 Euro, giustificata nelle scritture come "prelievo titolare", risultati intestati alla D.S.G. S.r.l. e poi incassati dal padre del M., che li aveva versati su un conto personale estinguendo un’esposizione bancaria; a sua volta, l’ulteriore somma di 70.000,00 Euro, corrispondente ad un credito vantato nei confronti di una diversa ditta, era stata nello stesso periodo girata contabilmente a "prelievo titolare");

– quanto alla Muto Costruzioni S.r.l., le distrazioni accertate ammontavano a poco meno di 1.700.000,00 Euro, vuoi per sostanziali rinunce a crediti nei confronti della suddetta impresa individuale, vuoi per restituzioni ai soci di presunti finanziamenti pregressi;

– con riferimento alla D.S.G. S.r.l., il cui deficit (malgrado ulteriori, gravi lacune nella tenuta della contabilità) era stato accertato in circa 2,4 milioni di Euro, risultavano pagamenti preferenziali per 75.000,00 Euro in favore di una ditta creditrice, effettuati nei quattro mesi precedenti la dichiarazione di fallimento e poco prima che il M. cessasse dalla carica di amministratore.

In punto di esigenze cautelari, il Tribunale del riesame affermava che il pericolo di recidiva specifica doveva considerarsi immanente alla stessa modalità di gestione delle tre ditte da parte del M., il quale aveva sostanzialmente agito al fine preordinato di realizzare un sistema complesso fra più imprese del medesimo settore, tutte destinate al fallimento ma non prima di aver perfezionato illecite transazioni di denaro, simulate dietro lo schermo di regolari operazioni contabili. La stessa tenuta della contabilità, che risultava costantemente caratterizzata dalla volontà di impedire una compiuta ricostruzione del movimento degli affari, deponeva nella medesima direzione; e particolarmente grave, anche ai fini di cui all’art. 274 c.p.p., lett. c), dovevano intendersi le numerose operazioni attraverso le quali il M. era riuscito ad ottenere un arricchimento personale per sè o per altri.

Contrariamente a quanto ritenuto dal G.i.p. di Mantova, infine, il Tribunale dava atto che il curatore della Muto Costruzioni S.r.l.

aveva rappresentato in una delle relazioni L. Fall., ex art. 33, che l’indagato continuava ad avere partecipazioni societarie nella G&G Costruzioni S.r.l. e nella MG Costruzioni S.r.l. (quest’ultima costituita di recente, con la moglie del M. nella veste di unico compartecipe della compagine sociale), ditte a loro volta operanti nell’edilizia.

Quanto alla scelta della misura, il Tribunale di Brescia evidenziava la necessità di limitare al massimo la libertà dell’indagato, la cui condotta era stata connotata costantemente dalla tendenza ad intrattenere molteplici rapporti commerciali e finanziari di matrice delittuosa: una possibile restrizione agli arresti domiciliari era peraltro concretamente preclusa, non avendo la difesa fornito alcun elemento utile ai fini della individuazione di un domicilio idoneo all’esecuzione della misura, specie con riferimento agli eventuali soggetti eventualmente disposti ad ospitare ed a provvedere alle esigenze di vita dell’interessato.

2. M.G. propone ricorso per cassazione, articolato in tre motivi.

2.1 Con il primo motivo, deduce erronea applicazione dell’art. 273 cod. proc. pen., nonchè della L. Fall., artt. 216, 219 e 223, oltre a mancanza di motivazione in punto di gravità indiziaria, avendo il Tribunale descritto la presunta condotta del M. quanto alla tenuta della contabilità in termini di comportamento meramente colposo, incompatibile con la fattispecie delittuosa sanzionata dal R.D. n. 267 del 1942.

2.2 Con il secondo motivo, lamenta identici vizi a proposito dell’applicazione dell’art. 274 cod. proc. pen., sostenendo che il Tribunale non avrebbe adeguatamente motivato la reformatio in peius rispetto alla decisione del G.i.p. quanto alla sussistenza di gravi e concrete esigenze cautelari, soprattutto perchè non avrebbe tenuto in alcun conto gli elementi segnalati dalla difesa (l’incensuratezza del prevenuto, il rapporto lavorativo in atto del M. quale dipendente della società Virgilio Costruzioni, estranea ai di lui familiari, l’autorizzazione rilasciatagli dal Giudice delegato per trattenere la retribuzione di circa 1.100,00 Euro mensili a titolo di alimenti, indicativa delle attuali difficoltà economiche dello stesso ricorrente).

2.3 Con il terzo motivo, si duole della individuazione della custodia in carcere quale unica misura ritenuta applicabile (segnalando erronea applicazione dell’art. 275 cod. proc. pen.), atteso che il Tribunale avrebbe fatto riferimento alla imprescindibilità di una misura detentiva, senza però motivare in alcun modo circa la non idoneità al caso di specie degli arresti domiciliari. Allega a tal fine plurimi riferimenti giurisprudenziali di legittimità in ordine ai criteri cui il Giudice deve ispirarsi nella scelta della misura cautelare adeguata al caso concreto.

3. Con nota del 26/01/2013, il difensore del M. ha segnalato che nei confronti del proprio assistito è intervenuta sentenza ex art. 444 cod. proc. pen., con l’applicazione della pena di anni 3 di reclusione: la sentenza, allegata in copia, risulta passata in giudicato, e il difensore sollecita conseguentemente -essendo l’imputato in libertà, con la prospettiva dell’imminente notifica dell’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione ai sensi dell’art. 656 c.p.p., onde consentire al condannato di avanzare richiesta di misure alternative alla detenzione – la declaratoria di non luogo a provvedere sul ricorso proposto, ovvero di inammissibilità del ricorso medesimo per sopravvenuta carenza di interesse.

Motivi della decisione

Il ricorso deve in effetti essere dichiarato inammissibile, stante la sopravvenuta carenza di interesse del M. ad ottenere l’annullamento del provvedimento impugnato. Essendo intervenuta la irrevocabilità della sentenza di "patteggiamento allargato" pronunciata medio tempore nei confronti del ricorrente, sarà doverosamente questa a trovare esecuzione (salve le possibili sospensioni previste dal codice di rito, in ragione dell’entità della pena applicata all’imputato) e non più l’ordinanza de liberiate oggetto del presente gravame.

Trattandosi di causa di inammissibilità che non deriva dalla condotta del ricorrente, il collegio non ritiene sussistano i presupposti per la condanna del M. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, nè di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013
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