Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 09-08-2012, n. 14328

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1.- Con ricorso al giudice del lavoro di Milano P.L., assieme ad altri colleghi di lavoro non interessati dalla presente sentenza, premesso di essere stato dipendente di P s.p.a., impresa meccanica produttrice di macchinari destinati alla produzione di paste alimentari, addetto allo stabilimento di (OMISSIS), esponeva che in data 24.07.02 la società aveva comunicato l’intenzione di avviare una procedura di mobilità L. 23 luglio 1991, ex art. 24, comma 2, a seguito della decisione adottata dai vertici aziendali di chiudere lo stabilimento. Essendo stato licenziato, assieme agli altri dipendenti, in data 7.10.02, all’esito della procedura di consultazione sindacale, impugnava il licenziamento irrogatogli in data 7.10.02, chiedendo che ne venisse dichiarata l’illegittimità, atteso che la riduzione del personale non era stata causata da cessazione dell’attività di impresa, ma dalla chiusura di solo uno dei quattro stabilimenti P s.p.a. Prima del licenziamento il datore di lavoro avrebbe dovuto, quindi, estendere la procedura di mobilità a tutto il complesso aziendale e verificare se fosse possibile il ricorso a misure alternative ai licenziamenti, eventualmente destinando i lavoratori dello stabilimento milanese agli altri stabilimenti.
2.- Rigettata la domanda e proposto appello dal P. ed altri lavoratori licenziati, la Corte d’appello di Milano con sentenza del 4 giugno 2007 rigettava l’impugnazione. Rilevava la Corte che la scelta imprenditoriale di chiudere lo stabilimento di (OMISSIS) nasceva dall’esigenza di ridimensionare l’attività produttiva e di contenere i costi, particolarmente alti in quell’unità. Avendo il datore indicato nella comunicazione di avvio della procedura di licenziamento la chiusura di una specifica unità produttiva e le ragioni tecnico-produttive che l’avevano determinata, la L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 5 – per il quale pure l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico-produttive, ed organizzative del complesso aziendale – doveva essere interpretato nel senso che la scelta poteva essere limitata ad una sola delle unità produttive dell’azienda. Quanto all’adozione di misure alternative, la Corte dava per scontato che il licenziamento fosse l’unica misura possibile, avendo il sindacato avanzato solo richieste di carattere economico, prodromiche alla cessazione del rapporto, non essendo praticabile la riqualificazione dei lavoratori e il trasferimento presso le altre unità produttive, che non solo si trovavano a grande distanza da quella milanese, ma erano anch’esse interessate da esubero di personale.
3.- Ricorre per cassazione solo P.. Si difende con controricorso e memoria P s.r.l., subentrata a P s.p.a..
Motivi della decisione
4.- Parte ricorrente deduce i seguenti motivi di ricorso.
4.1.- Primo motivo: violazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 24, comma 2. I ricorrenti sia in primo che in secondo grado avevano dedotto che non ricorreva la fattispecie della cessazione dell’attività imprenditoriale (prevista dall’art. 24, comma 2), ma quella diversa della riduzione o trasformazione dell’attività, con la conseguenza che lo schema normativo e di consultazione che il datore di lavoro avrebbe dovuto adottare avrebbe dovuto essere quello del comma 1, e non del comma 2, della L. n. 223 del 1991, art. 24. Il giudice di appello, tuttavia, non ha affrontato questa questione di diritto, nè ha considerato che le due situazioni (cessazione e riduzione) sono ontologicamente diverse e che la scelta di avviare la procedura ai sensi dell’art. 24, commi 1 o 2 non è rimessa alla libera determinazione del datore di lavoro, ma è vincolata alla concreta fattispecie che ha determinato l’insorgere della crisi occupazionale (trasformazione o riduzione di attività ovvero cessazione di attività). La Corte d’appello ha ritenuto, invece, che fosse indifferente avviare la procedura ai sensi dell’uno o dell’altro comma, in ragione del comune richiamo alla legge n. 223, artt. 4 e 5.
4.2.- Secondo motivo: violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, sotto il profilo della mancata indicazione dei motivi ostativi a misure idonee ad evitare la crisi occupazionale. Nel caso di specie la comunicazione di avvio della procedura non contiene i requisiti dell’art. 4, comma 3, avendo omesso di indicare i motivi tecnici, organizzativi o produttivi ostativi all’adozione di misure alternative alla dichiarazione di mobilità, ritenendo sufficiente indicare che la decisione di chiusura dello stabilimento impediva di adottare alcuna misura idonea a porre rimedio all’eccedenza ed evitare – in tutto o in parte – il ricorso alla precedente procedura, senza invece indicare specificamente le motivazioni oggettive che avrebbero impedito misure idonee ad evitare (o ridurre) il licenziamento dei lavoratori in esubero. Così facendo il datore si è limitato ad indicare i motivi che determinano la situazione di eccedenza e si è sottratto al compito di occuparsi degli effetti della crisi occupazionale, in tal modo vanificando lo scopo della procedura di annullare o ridurre gli effetti della crisi occupazionale.
4.3.- Terzo motivo: violazione della L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 3, sotto il profilo della mancata indicazione delle eccedenze riscontrate. Il datore di lavoro si è limitato ad indicare alle oo.ss. profili professionali, collocazione aziendale e numero dei dipendenti eccedenti nello stabilimento milanese e nelle altre tre unità produttive, adottando fin dall’inizio la scelta di far ricadere sui primi gli effetti della scelta di ridurre il personale, senza che nel corso della procedura potessero concordarsi soluzioni alternative; cosa che sarebbe stata, invece, possibile attesa l’identità dei profili professionali degli addetti all’unità milanese con quelli degli addetti alle altre unità produttive.
4.4.- Quarto motivo: violazione della L. n. 223 del 1991, art. 5, comma 1, per il quale i lavoratori da collocare in mobilità debbono essere individuati in relazione alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative del complesso attendale, nel rispetto della contrattazione colletiva o, in mancanza, nel rispetto, in concorso tra loro, dei seguenti criteri: carichi di famiglia, anzianità, esigenze tecnico-produttive ed organizzative. Nel caso di specie i criteri di scelta sono stati applicati ad una sola unità produttiva e non all’intero complesso aziendale, pretermettendo i criteri c.d.
sociali (carichi di famiglia ed anzianità), dandosi esclusivo rilievo all’appartenenza all’unità produttiva di cui era stata decisa la chiusura. Invece, ogni delimitazione dell’area di scelta dei dipendenti da licenziare è arbitraria, anche nel caso di appartenenza degli stessi ad unico reparto da sopprimere, dovendo la posizione degli stessi essere comunque posta a confronto con quella degli altri dipendenti che svolgano mansioni identiche.
4.5.- Quinto motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la ritenuta riferibilità alla sola attività produttiva di (OMISSIS) delle ragioni che avrebbero determinato la situazione di eccedenza, atteso che contraddittoriamente la stessa Corte d’appello ritiene che le stesse ragioni siano comuni a tutte e quattro le unità produttive costituenti il complesso aziendale.
4.6.- Sesto motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa l’esistenza di un tacito consenso del sindacato, espresso in sede di esame congiunto, a concentrare i licenziamenti nell’unità produttiva milanese, atteso che dalla documentazione e dagli atti di causa emergeva che il sindacato (o, per meglio dire, una parte di esso) aveva chiesto che i dipendenti dello stabilimento milanese venissero trasferiti presso le altre unità produttive.
5.- Procedendo all’esame dei primi quattro motivi di ricorso, deve osservarsi preliminarmente che il giudice di merito ha accertato in fatto che il licenziamento collettivo deriva dalla decisione imprenditoriale di chiudere lo stabilimento di (OMISSIS), quale conseguenza di una serie di valutazioni di carattere economico- aziendale derivanti dai riscontri effettuati sulla incidenza dei costi di produzione dello stabilimento in considerazione.
Precisato che l’attività produttiva di P s.p.a. si articolava su quattro stabilimenti e che nelle altre unità l’attività proseguì regolarmente, parte ricorrente contesta l’omesso esame della questione principale sottoposta al giudice di appello, e cioè l’adozione da parte dell’imprenditore dello schema operativo previsto dalla L. n. 223 del 1991, art. 24, comma 2, per la cessazione di attività, invece che quello previsto dal comma 1 per la riduzione o trasformazione dell’attività di lavoro. La differenza tra i due commi non sarebbe meramente nominalistica, in quanto le due norme, pur imponendo in entrambi i casi l’applicazione delle disposizioni dettate dalla stessa L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 5, in materia di collocazione in mobilità, regolano due fattispecie ontologicamente diverse, per cui nel caso di continuazione dell’attività la comunicazione ex art. 4, comma 3, a differenza che nel caso di cessazione, deve avere ad oggetto le modalità di reimpiego della forza lavoro nell’intero ambito aziendale. Nel caso di specie, pertanto, il datore avrebbe dovuto indicare con quali modalità il personale addetto allo stabilimento che veniva chiuso avrebbe potuto essere reimpiegato presso le altre unità produttive.
6.- La giurisprudenza di questa Corte ritiene che in caso di licenziamento collettivo per riduzione del personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si riferisca in modo esclusivo ad una singola unità produttiva o ad uno specifico settore dell’azienda, la comparazione dei lavoratori al fine di individuare quelli da avviare alla mobilità non deve necessariamente interessare l’intera azienda, ma può avvenire, secondo una legittima scelta dell’imprenditore ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico – produttive, nell’ambito della singola unità produttiva ovvero del settore interessato alla ristrutturazione, in quanto ciò non è il frutto di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma è obiettivamente giustificato dalle esigenze organizzative che hanno dato luogo alla riduzione di personale (Cass. 19.05.05 n. 10590). La giurisprudenza ha precisato, altresì, che in questo caso l’unità produttiva è individuabile in ogni articolazione dell’azienda che si caratterizzi per condizioni imprenditoriali di indipendenza tecnica e amministrativa tali che in essa si esaurisca per intero il ciclo relativo ad una frazione o ad un momento essenziale dell’attività produttiva aziendale (Cass. 3.11.08 n. 26376), con esclusione delle articolazioni aziendali che, sebbene dotate di una certa autonomia amministrativa, siano destinate a scopi interamente strumentali o a funzioni ausiliarie sia rispetto ai generali fini dell’impresa, sia rispetto ad una frazione dell’attività produttiva della stessa (Cass. 4.10.04 n. 19837).
Tale impostazione muove dalla considerazione della prima parte della L. n. 223 del 1991, art. 5, per la quale "l’individuazione dei lavoratori da collocare in mobilità deve avvenire in relazione alle esigenze tecnico produttive ed organizzative del complesso aziendale". L’ambito di applicazione dei criteri di scelta non è frutto della esclusiva iniziativa datoriale, dato che la L. n. 223 del 1991, art. 5 sottrae la scelta al datore e la rimette a criteri concordati con le associazioni sindacali, ovvero, in mancanza, fissati dalla legge. La scelta del datore, tuttavia, non è arbitraria e quindi illegittima, anche se diretta a limitare l’ambito di selezione ad un singolo settore o ad un reparto, ove ciò sia strettamente giustificato dalle ragioni che hanno condotto alla scelta di riduzione del personale.
Al riguardo Cass. n. 10590 del 2005 cit. ha osservato (in motivazione) che "la delimitazione dell’ambito di applicazione dei criteri dei lavoratori da porre in mobilità è dunque consentita solo quando dipenda dalle ragioni produttive ed organizzative, che si traggono dalle indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, comma 3 quando cioè gli esposti motivi dell’esubero, le ragioni per cui lo stesso non può essere assorbito, conducono coerentemente a limitare la platea dei lavoratori oggetto della scelta". "Per converso", prosegue detta pronunzia "non si può, invece, riconoscere, in tutti i casi, una necessaria corrispondenza tra il dato relativo alla collocazione del personale indicato dal datore nella comunicazione di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4 e la precostituzione dell’area di scelta. Il datore infatti segnala la collocazione del personale da espungere (reparto, settore produttivo ecc), ma ciò non comporta automaticamente che l’applicazione dei criteri di scelta coincida sempre con il medesimo ambito e che i lavoratori interessati siano sempre esclusi dal concorso con tutti gli altri, giacchè ogni delimitazione dell’area di scelta è soggetta alla verifica giudiziale sulla ricorrenza delle esigenze tecnico produttive ed organizzative che la giustificano".
1.- Nel caso di specie questa valutazione è stata adeguatamente compiuta dal giudice di merito, il quale non solo ha rilevato che nello stabilimento di (OMISSIS) si producevano macchinari non richiesti dal mercato e che la decisione della chiusura "rientrava in un progetto di ridimensionamento concernente il complesso aziendale", ma ha posto in evidenza che la fungibilità delle posizioni dei dipendenti dello stabilimento era nella realtà solo teorica e che la diversa collocazione geografica delle altre unità produttiva (tutte poste a distanza non inferiore a duecentocinquanta chilometri) rendeva ragionevole la scelta di limitare il licenziamento all’unità che veniva chiusa.
Può, dunque, ritenersi coerentemente adottato l’impianto argomentativo richiesto dalla giurisprudenza superiormente riferita, atteso che la risultante dell’analisi giudiziale è che tanto il licenziamento che il contenimento della scelta nell’ambito dello stabilimento oggetto di chiusura furono frutto non di una determinazione unilaterale del datore di lavoro, ma di obiettive e giustificate esigenze organizzative e produttive. Sono, pertanto, infondati i primi quattro motivi di ricorso.
8.- E’ infondato anche il quinto motivo, con il quale si assume che la Corte d’appello sarebbe incorsa in contraddizione, affermando da un lato che i motivi che determinavano l’eccedenza di personale riguardavano solo lo stabilimento di (OMISSIS) e dall’altro che la chiusura dell’unità rientrava in un progetto di ridimensionamento concernente tutto il complesso aziendale. Ad avviso del Collegio, l’affermazione, ove inserita nel suo contesto argomentativo, non è contraddittoria, atteso che il giudice di appello considera la situazione dell’unità produttiva nell’ambito di tutta l’azienda, per arrivare alla conclusione che il ridimensionamento imponeva la chiusura proprio di quello stabilimento e non di altri.
9.- Il sesto motivo è da dichiarare assorbito, in quanto, in relazione a quanto affermato a proposito dei primi quattro mezzi di impugnazione, la posizione assunta dalle associazioni sindacali nella procedura di esame delle cause della chiusura dello stabilimento appare non rilevante ai fini della legittimità del licenziamento.
10.- Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *