Cass. civ. Sez. VI – Lavoro, Ord., 09-08-2012, n. 14323

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- B.A. ha chiesto che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di lavoro alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo dal 1.3.2000 al 30.6.2000. La domanda è stata respinta dal Tribunale di Roma con sentenza che è stata riformata dalla Corte d’appello della stessa città che, con sentenza pubblicata il 27.11.09, ha dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 1.3.2000, condannando la società appellata al pagamento delle retribuzioni maturate dal 22.9.2005 (data della costituzione in mora). A tale conclusione la Corte territoriale è pervenuta considerando che il contratto era stato stipulato in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato dall’accordo 25.9.97, per esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda e rilevando che le assunzioni per tale causale erano ammesse fino al 30.4.98 – data fissata dalle parti collettive con accordo integrativo 16.1.98 – di modo che per quella in questione, relativa al periodo 1.3.2000-30.6.2000, il termine doveva ritenersi illegittimamente apposto.

2.- Avverso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. La B. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

3.- I motivi dedotti da Poste Italiane s.p.a. possono essere così sintetizzati:

a).- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e l’impugnazione della clausola relativa all’apposizione del termine (circa cinque anni) indice di disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto;

b).- violazione della L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, dell’art. 8 del CCNL 26.11.94, nonchè degli accordi sindacali 25.9.97, 16.1.98, 27.4.98, 2.7.98, 24.5.99 e 18.1.2001, contestandosi l’interpretazione data alla contrattazione collettiva dal giudice di merito, con particolare riguardo al potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle stabilite dall’ordinamento, che, secondo l’assunto, poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi ed. attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessità di stipulare ulteriori contratti a termine;

C).- vizio di motivazione in ordine all’indicazione degli elementi di convincimento dai quali è stata tratta la conclusione che la volontà delle parti collettive era quella di fissare alla data ultima del 30.4.98 il termine finale di efficacia dell’accordo integrativo del 25.9.97, non essendo dato comprendere, sulla base delle argomentazioni svolte nella motivazione, quale sia stato il criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento;

d).- violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094, 2099, 2697 c.c., con riferimento al capo della decisione che ha riconosciuto il diritto della lavoratrice alle retribuzioni dalla data della messa in mora pur in difetto di un rituale atto di costituzione in mora e della prova, di cui era onerata la lavoratrice, di non aver intrattenuto altri rapporti di lavoro e di non aver percepito ulteriori somme a titolo retributivo.

4.- Il primi tre motivi sono infondati in ragione della giurisprudenza di questa Corte, che sulle questioni oggi sollevate dalla ricorrente ha adottato orientamenti ormai consolidati.

Quanto al primo motivo (risoluzione per mutuo consenso), la giurisprudenza della Corte di cassazione (cfr ex plurimis Cass. n. 16932/2011, Cass. n. 23872/2009, Cass. n. 26935/2008, Cass. n. 20390/2007, Cass. n. 23554/2004) ha ritenuto che "nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto) per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè, alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo;

la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto".

Nel caso in esame, la Corte d’appello ha rilevato che, sulla base degli elementi acquisiti agli atti, non poteva ritenersi provato che l’inerzia della lavoratrice per un termine sia pure lungo (circa cinque anni) fosse ascrivibile al suo disinteresse per la prosecuzione del rapporto ovvero ad acquiescenza alla risoluzione dello stesso, non essendo sufficiente, a tal fine, la circostanza che l’appellante avesse atteso un rilevante periodo di tempo dalla conclusione dell’ultimo periodo di prestazione lavorativa prima di intraprendere l’azione giudiziaria, tenendo conto, fra l’altro, che non erano emersi sufficienti elementi di prova in ordine al fatto che la B. avesse reperito medio tempore nuove occupazioni. Si tratta di considerazioni di merito congruamente motivate, come tali non censurabili sul piano logico, che resistono, dunque, alle censure che ad esse vengono mosse in questa sede di legittimità, anche perchè la società ricorrente non ha impugnato, sullo specifico punto, la statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto che fosse carente la prova che la B. avesse reperito, successivamente alla cessazione del rapporto con la società Poste, nuove occupazioni.

5.- Il secondo e il terzo motivo contrastano con la giurisprudenza di questa Corte e non offrono elementi per mutare gli orientamenti interpretativi che in materia si sono ormai consolidati.

Va rilevato, al riguardo, che la Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo, tra l’altro, alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato, per esigenze eccezionali … – ai sensi dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, come integrato dall’accordo aziendale 25 settembre 1997 – in data successiva al 30 aprile 1998. Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de quo.

Questa Corte ha, infatti, affermato, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, che "l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato" (cfr. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063;

cfr. altresì Cass. 20 aprile 2006 n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). "Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati all’individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato:’ (cfr., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378); in tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866); in particolare, quindi, come questa Corte ha univocamente affermato, "In materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti in contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1" (v., fra le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608;

Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450; Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Tale interpretazione degli accordi attuativi (e in particolare dell’ultimo citato) è fondata sul significato letterale delle espressioni usate, che è così evidente e univoco ("in conseguenza di ciò e per far fronte alle predette esigenze si potrà procedere ad assunzioni di personale straordinario con contratto a tempo determinato fino al 30.4.98") che non necessita di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti (cfr ex plurimis Cass. n. 12245/2003, Cass. n. 12453/2003), mentre, diversamente opinando – ritenendo cioè che la parti non abbiano inteso introdurre limiti temporali alla deroga – si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, cosi definiti dalle parti sindacali, fossero in sostanza "senza senso" (così testualmente Cass. n. 2866/2004).

Peraltro, al riguardo deve ritenersi irrilevante l’accordo del 18 gennaio 2001, invocato dalla società, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga; ed infatti, ammesso che le parti stipulanti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), considerata l’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovrebbe comunque escludersi che le parti stesse avessero il potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina del D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr. ex plurimis Cass. n. 5141/2004).

6.- Con il quarto motivo la società censura la sentenza nel capo in cui, nel determinare le conseguenze economiche derivanti dalla ritenuta nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ha ritenuto di individuare l’atto con cui la ricorrente avrebbe offerto la propria prestazione ai fini dell’art. 1206 c.c. e segg., in particolare art. 1217 c.c., nella notifica del ricorso introduttivo, senza peraltro accertare se e in che misura il ricorrente avesse svolto ulteriori e successive attività lavorative in epoca successiva alla scadenza del termine, e chiede, in subordine, l’applicazione al riguardo dello ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7 in vigore dal 24 novembre 2010, del seguente tenore: "Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo una indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8. In mancanza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche a tempo determinato, di lavoratori già occupati con contratto a termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell’indennità fissata dal comma 5 è ridotto alla metà. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennità di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l’eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell’art. 421 c.p.c.".

7.- Questa Corte, avendo ritenuto in un giudizio analogo al presente, di dover fare applicazione della nuova disciplina, cassando la sentenza impugnata in quanto investita anche da una censura relativa alle conseguenze della dichiarazione di illegittimità del termine, onde consentire al giudice di merito di calcolare l’indennità spettante in base alla novella, ha sollevato, con ordinanza de 28 gennaio 2011 n. 2112, questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111 Cost. e dell’art. 117 Cost., comma 1, della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7.

8.- Con la sentenza del 9 novembre 2011 n. 303 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sottopostole anche dal Tribunale di Trani, rilevando, in particolare, che la norma in questione, in base ad una "interpretazione costituzionalmente orientata", va intesa nel senso che "il danno forfetizzato dall’indennità in esame copre soltanto il periodo cosiddetto "intermedio", quello, cioè, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto" e che, al contempo, "il nuovo regime risarcitorio non ammette la detrazione e l’aliunde perceptum. Sicchè l’indennità onnicomprensiva assume una chiara valenza sanzionaria. Essa è dovuta in ogni caso, al limite anche in mancanza di danno, per avere il lavoratore prontamente reperito un’altra occupazione".

9.- Ciò premesso, considerato che la disciplina citata della L. n. 183 del 2010 è espressamente dichiarata applicabile anche a tutti i giudizi in corso, tra i quali non può non essere ricompreso quello di legittimità;

che nel caso in esame l’applicazione di tale disciplina è esplicitamente richiesta nel ricorso per cassazione, con conseguente richiesta subordinata di cassazione sul punto della sentenza impugnata;

che, pertanto, deve procedersi alla determinazione, alla stregua di essa, delle conseguenze economiche della conversione del contratto tra le parti;

ritenuto, peraltro, che la determinazione dell’indennità di cui alle norme di legge citate sulla base dei criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 sia di competenza del giudice di merito;

che, pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto con rinvio per la determinazione di tali conseguenze economiche ad altro giudice, il quale provvederà anche alle spese di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi tre motivi di ricorso e, pronunciando sul quarto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2012
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