Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-08-2012, n. 14446

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Svolgimento del processo

che la Corte d’appello di Roma, con decreto in data 17 novembre 2010, ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, da I.I.M.G., rilevando che l’istante si era costituita in giudizio soltanto in appello, dinanzi al Tribunale di Benevento, perchè citata quale erede, e che, in detto grado, il processo (avente ad oggetto una controversia in tema di regolamento di confini) aveva avuto una durata ragionevole, inferiore ai due anni;

che con il medesimo decreto la Corte territoriale ha deciso anche altre cause di equa riparazione;

che, infatti, C.G., anche quale erede di Ca.An.Pa., nonchè C.S.G. P. ed M.E. avevano chiesto alla Corte d’appello, con separati ricorsi, il riconoscimento dell’equa riparazione per la irragionevole durata di processi civili svoltisi dinanzi alla Pretura ed al Tribunale di Benevento;

che con il citato decreto l’adita Corte d’appello ha accolto le domande, liquidando in favore della C. l’importo di Euro 15.000,00 e del M. e del P. quello di Euro 12.000,00 ciascuno, oltre agli interessi legali;

che, fissato in tre anni per il primo grado ed in due anni per l’appello il periodo di ragionevole durata, la Corte di Roma ha calcolato in quindici anni la durata eccessiva del processo di cui era stata parte la C. ed in dodici anni la durata eccessiva del procedimento con parti il M. ed il P., ad ha quantificato l’indennizzo in Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo;

che per la cassazione del decreto della Corte d’appello la I. ha proposto ricorso, con atto notificato il 30 dicembre 2011, ed inscritto al NRG 1254 del 2012, sulla base di un motivo;

che l’intimato Ministero della giustizia non ha svolto attività difensiva;

che neppure hanno controricorso gli altri intimati ( G. C. ed altri, anch’essi parti del giudizio di equa riparazione);

che per la cassazione del medesimo decreto della Corte d’appello il Ministero della giustizia ha proposto ricorso, con atto notificato il 2 gennaio 2012, inscritto al NRG 1494 del 2012, sulla base di nove motivi, rivolti a censurare l’accoglimento delle domande della C., del P. e del M.;

che hanno resistito, con controricorso, gli intimati P. e M., mentre la C. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza;

che, preliminarmente, i due ricorsi devono essere riuniti, essendo entrambe le impugnazioni riferite allo stesso decreto;

che con l’unico motivo di ricorso (rubricato violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2) I.I.M. G. si duole che la Corte d’appello non abbia considerato che essa ricorrente, in quanto erede della parte costituita in primo grado ( I.N.M.), era "parte sostanziale in primo grado e processuale in secondo grado", sicchè in suo favore doveva essere riconosciuta la legittimazione attiva ai fini dell’equa riparazione anche per il processo svoltosi in primo grado;

che il motivo è infondato;

che è bensì vero che il diritto a conseguire la corresponsione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale subito per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo, di cui all’art. 6, paragrafo 1, spettante alla parte del giudizio protrattosi eccessivamente, è trasmissibile agli eredi di quest’ultima: costoro, pertanto, sono legittimati, ture hereditatis, a proporre la domanda di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001, per reclamare quanto, a titolo di danno non patrimoniale, sarebbe spettato al de cuius, parte nel processo presupposto del quale si lamenta la non ragionevole durata;

che, tuttavia, nella specie nè dal testo del decreto impugnato nè dal ricorso per cassazione risulta che la I., nel proporre la domanda di equa riparazione, abbia agito nella qualità di erede della parte costituitasi in primo grado, per far valere, a tale titolo, il danno non patrimoniale sofferto dalla de cuius dinanzi al Pretore di Benevento;

che, pertanto, correttamente il decreto della Corte territoriale si è attenuto al principio secondo cui, in tema di equa riparazione, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, iure proprio, soltanto per il superamento della durata ragionevole verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni (patrimoniali o) non patrimoniali, mediante indennizzi modellabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Cass., Sez. 1, 4 novembre 2009, n. 23416; Cass., Sez. 1, 19 ottobre 2011, n. 21646);

che, pertanto, il ricorso della I. deve essere rigettato, senza che debba provvedersi sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in relazione a questa impugnazione;

che, passando allo scrutinio del ricorso proposto dal Ministero (RGN 1494 del 2012), va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità, sollevata dai controricorrenti sul rilievo che l’impugnazione sarebbe stata notificata tardivamente, oltre il termine breve di sessanta giorni, decorrenti dalla notifica del decreto della Corte territoriale, avvenuta in data 21 ottobre 2011;

che la notifica del decreto, infatti, non risulta idonea a far decorrere il termine breve, essendo avvenuta ad istanza del domiciliatario Avv. Orsomarso, senza che dalla relata di notifica consti che lo stesso sia stato delegato, neppure verbalmente, dal soggetto legittimato (ossia dalla parte – nella specie M. o P. – o dal difensore munito di mandato, l’Avv. Capocefalo) (Cass., Sez. 1, 28 maggio 2004, n. 10268);

che con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 e 2946 cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) si sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto, in accoglimento dell’eccezione sollevata dall’Amministrazione, riconoscere l’estinzione del diritto all’equa riparazione per prescrizione decennale, stante il maturarsi del diritto all’equa riparazione con il cumularsi di periodi di eccessiva durata nella pendenza del procedimento presupposto;

che il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 nonchè degli artt. 2934, 2935, 2941 e 2942 cod. civ.) censura che la previsione del termine decadenziale semestrale sia stata ritenuta dal giudice a quo assorbente di ogni termine prescrizionale;

che la questione della prescrizione è sollevata anche con il terzo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2934 cod. civ. e della L. n. 89 del 1981, art. 2) e con il quarto mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 11 preleggi, comma 1, e dell’art. 123 preleggi, comma 2), con i quali si deduce che nella specie l’effetto interruttivo della eccepita prescrizione estintiva decennale sarebbe da ricollegare alla data del 14 dicembre 2009 (data di notifica del ricorso introduttivo di equa riparazione) per la C. e del 21 dicembre 2009 per il P. ed il M., sicchè ogni questione relativa alla durata della procedura per il periodo, rispettivamente, anteriore al 14 dicembre 1999 e al 21 dicembre 1999 non avrebbe potuto che essere ritenuta preclusa;

che i primi quattro motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, giacchè, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. n. 39 del 2001, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass., Sez. 1, 30 febbraio 2009, n. 27719; Cass., Sez. 1, 11 gennaio 2001, n. 478);

che il quinto mezzo – con cui si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 perchè erroneamente la Corte d’appello avrebbe riduttivamente individuato in tre anni, anzichè in almeno quattro anni, la durata ragionevole del processo presupposto – è infondato, perchè il giudice a quo, nel valutare il termine di ragionevole durata del processo, si è attenuto ai parametri tendenzialmente fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (che individuano in tre anni la durata del giudizio di primo grado: Cass., Sez. 1, 5 dicembre 2011, n. 25955), non essendo d’altra parte, contrariamente a quanto prospettato dal Ministero ricorrente, ragione di complessità della causa superiore alla media il solo fatto che la parte convenuta abbia azionato, nel giudizio presupposto, una domanda riconvenzionale;

che il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 lamentando che la Corte d’appello non abbia riconosciuto, con riferimento alla posizione dei ricorrenti P. e M., un indennizzo di importo più limitato, stante la presenza, nella fattispecie de qua, di una serie di fattori concomitanti di segno riduttivo (tra cui la limitata entità della posta in gioco);

che il motivo è fondato, avendo la Corte di merito liquidato per ogni anno di ritardo la somma di Euro 1.000,00, senza indicare le circostanze particolari che giustificavano lo scostamento dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale, "in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri di liquidazione applicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo non possono essere ignorati dal giudice nazionale, il quale può tuttavia apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli. Peraltro, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta che la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore ad Euro 1.000,00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno" (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840);

che con il settimo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.) e l’ottavo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 75 cod. proc. civ.) si deduce che, avendo la C. agito soltanto nella qualità di erede di An.Pa.

C., deceduta il (OMISSIS), la Corte avrebbe dovuto limitare l’indagine alla frazione temporale in cui la de cuius era ancora in vita, senza estendere l’accertamento su tutto l’arco temporale di durata del procedimento presupposto;

che la censura, per come proposta, è infondata, risultando dagli atti di causa – in particolare dal ricorso introduttivo del giudizio di equa riparazione – che la C. ha agito "anche quale erede di Ca.An.Pa. deceduta in data (OMISSIS)" e ha fatto presente di essere costituita nel giudizio dinanzi al Tribunale di Benevento dopo il decesso della de cuius;

che il nono motivo – con cui si lamenta, deducendosi la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 la tardività del ricorso della C. – è infondato, giacchè, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, il citato art. 4 configura la sola definitività della decisione come dies a quo ai fini della decorrenza del termine di decadenza per la proponibilità della domanda, mentre il diritto dell’erede di agire in tale qualità, dopo la morte del dante causa, si prospetta come mera possibilità di esercitare quel diritto, senza, quindi, che si possa ricollegare alla morte della parte alcun effetto giuridico incidente sul termine di proponibilità della domanda (Cass., Sez. 1, 4 ottobre 2010, n. 20564);

che il ricorso del Ministero, pertanto, va accolto nei limiti innanzi precisati e, cassato il decreto impugnato in relazione alla posizione delle parti M. e P., la Corte può procedere alla decisione della causa nel merito alla luce dei criteri sopra indicati, provvedendo alla riliquidazione dell’indennizzo, in favore di costoro, nella misura di Euro 11.250,00;

che le spese processuali della fase di merito – liquidate come dispositivo – vanno poste a carico dell’Amministrazione;

che mentre non vi è luogo a pronuncia sulle spese nei confronti della C., risultata vincitrice, essendo questa rimasta intimata nel giudizio di cassazione, sussistono giustificati motivi per la compensazione delle spese del giudizio di cassazione nei confronti dei controricorrenti M. e P., essendo stato il ricorso accolto soltanto in minima parte.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi NRG 1254 del 2012 e NRG 1494 del 2012, così provvede:

– rigetta il ricorso (NRG 1254 del 2012) di I.I.M. G.;

– accoglie il sesto motivo di ricorso (NRG 1494 del 2012) del Ministero, rigettati gli altri, cassa il decreto impugnato, limitatamente alla posizione di M.E. e di C. P.S.G., in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, ferme tutte le statuizioni contenute nel decreto impugnato a favore di C.G., condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del M. e del P., della minore somma di Euro 11.250,00 ciascuno, con gli interessi legali su detta somma dalla domanda al saldo, e le spese del giudizio di merito, che determina, per entrambi i ricorrenti P. e M., in Euro 1.400,00, di cui Euro 500,00 per diritti ed Euro 800,00 per onorario, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore antistario; compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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