Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-08-2012, n. 14445

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Svolgimento del processo

1. – Con atto di citazione notificato in data 1 luglio 1993, F.A. convenne in giudizio L.M.G. innanzi al Tribunale di Catania, esponendo che, con scrittura privata del 21 settembre 1992, la convenuta aveva promesso di trasferirle la proprietà di un appartamento sito in (OMISSIS), per il prezzo complessivo di L. 150.000.000, e che il trasferimento non si era realizzato. L’attrice domandò, pertanto, l’emissione di una sentenza che tenesse luogo dell’atto di trasferimento a suo favore dell’immobile.

La L., costituitasi in giudizio, chiese il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la declaratoria di nullità del contratto, rilevando che la somma versata era stata di L. 100.000.000, che il valore dell’immobile era notevolmente superiore, che si era trattato in realtà di un mutuo con patto commissorio e che essa promittente venditrice versava in stato di bisogno.

Il Tribunale, con sentenza depositata in data 31 agosto 2001, accolse la domanda dell’attrice e rigettò la riconvenzionale.

2. – La Corte d’appello di Catania, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 dicembre 2006, ha dichiarato inammissibile il gravame della L..

Ha osservato il giudice di secondo grado che non era stato assolto l’onere di specificazione di cui all’art. 342 cod. proc. civ., perchè con l’atto di impugnazione l’appellante si era limitata a chiedere la sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza impugnata ed a formulare alcune richieste istruttorie, senza alcuna specifica richiesta di riforma della sentenza impugnata.

La Corte territoriale ha richiamato anche l’art. 346 cod. proc. civ., che stabilisce che le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado che non siano espressamente riproposte in appello si intendono rinunciate, per rilevare che nessuna delle domande e delle eccezioni formulate in primo grado risultava riproposta in appello.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la L. propone ricorso per cassazione.

Resiste con controricorso la F..

Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, la ricorrente, nel denunciare violazione e falsa applicazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., nullità della sentenza nonchè omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3, 4 e 5, sostiene che l’atto di appello proposto è conforme al principio di specificità di cui all’art. 342 cod. proc. civ., essendo state in realtà con esso formulate argomentazioni e conclusioni di merito che univocamente presuppongono la riforma della sentenza di primo grado. Nell’atto di gravame, inoltre, non sarebbe stato compiuto alcun generico rinvio alle difese del precedente grado.

2. – La parte controricorrente, prima ancora di sostenere l’infondatezza nel merito del motivo di ricorso, ne ha eccepito l’inammissibilità, assumendo che con esso si vorrebbe sollecitare il riesame di profili la cui valutazione è rimessa alla competenza esclusiva del giudice di merito.

L’eccezione è infondata.

E’ esatto che nella giurisprudenza di questa Corte è presente un orientamento in base al quale la verifica dell’osservanza dell’onere di specificazione del motivo di appello non sarebbe direttamente effettuabile dal giudice di legittimità, sul rilievo che interpretare la domanda di appello sarebbe compito esclusivo del giudice di merito ed implicherebbe valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione avrebbe il potere di controllare soltanto sotto il profilo della correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Sez. lav., 22 maggio 2005, n. 3538; Sez. 1^, 1 febbraio 2007, n. 2217).

Questo indirizzo – pervero contrastato (Sez. 3^, 24 novembre 2005, n. 24817; Sez. lav., 14 agosto 2008, n. 21676) – è tuttavia da ritenere senz’altro superato a seguito delle recenti sentenze, a Sezioni Unite, nn. 8077 e 8078 del 22 maggio 2012, nelle quali – definendosi in generale i limiti dell’indagine che il giudice di legittimità è chiamato a compiere in presenza della denuncia di vizi che attengono alla corretta applicazione di norme da cui è disciplinato il processo che ha condotto alla decisione del giudice di merito – si è affermato che quell’esame non può ridursi alla valutazione di sufficienza e logicità della motivazione del provvedimento impugnato. Essendo, infatti, la Corte di Cassazione giudice del fatto processuale, ad essa compete percepire direttamente e pienamente quel fatto, apprezzarne la portata ed individuarne il significato e la concreta idoneità a produrre effetti nel processo, perchè solo in tal modo è possibile vagliarne la conformità al modello legale.

Il principio enunciato dalle Sezioni Unite vale anche là dove, come nella specie, il vizio, denunciato con il ricorso per cassazione, comportante la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, origini dall’avere la corte d’appello ritenuto che l’atto di gravame difettasse della necessaria specificità dei motivi di impugnazione.

Anche in questo caso il giudice di legittimità – ove la censura sia stata proposta in conformità delle regole fissate al riguardo dal codice di rito – non deve limitare la propria cognizione allo scrutinio, indiretto, della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente l’atto di appello, sul quale il ricorso si fonda.

3. – Nel merito, il motivo è fondato.

Questa Corte ha da tempo precisato che l’indicazione dei motivi di appello richiesta dall’art. 342 cod. proc. civ., non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione delle ragioni invocate a sostegno dell’appello, richiedendosi invece soltanto una esposizione chiara ed univoca, anche se sommaria, sia della domanda rivolta al giudice di gravame sia delle ragioni della doglianza, all’interno della quale i motivi di gravame, dovendo essere idonei a contrastare la motivazione della sentenza impugnata, devono essere più o meno articolati, a seconda della maggiore o minore specificità nel caso concreto di quella motivazione (Sez. 3^, 1 aprile 2004, n. 6403; Sez. 3^, 24 agosto 2007, n. 17960).

In particolare, ai fini della configurazione della specificità dei motivi d’appello, l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione può anche sostanziarsi nella prospettazione delle medesime ragioni già indicate durante il giudizio di primo grado, purchè ciò comporti una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure in riferimento ad una o più delle statuizioni adottate dal primo giudice (Sez. Un., 25 novembre 2008, n. 28057; Sez. Un., 9 novembre 2011, n. 23299; Sez. 3^, 29 novembre 2011, n. 25218).

Procedendo, sulla base dei suesposti principi, all’esame diretto dell’atto di citazione in appello, di cui si discute nel presente ricorso, è possibile subito rilevare che – a fronte della sentenza di primo grado, che aveva rigettato, perchè non provata, la domanda della convenuta (rilevando che costei aveva omesso di richiedere l’ammissione di mezzi di prova, in una vicenda nella quale l’esito dell’interrogatorio formale dell’attrice non aveva contraddetto il contenuto del preliminare) – il gravame, non solo individua con chiarezza la statuizione oggetto di gravame (il mancato accoglimento della domanda riconvenzionale tendente a vedere accertata la nullità del contratto per violazione dell’art. 2744 cod. civ.), ma anche articola le censure in concreto mosse alla sentenza di primo grado, osservando che il Tribunale avrebbe dovuto agevolmente desumere dai fatti pacifici la vera natura del contratto, tanto più che il preliminare contemplava la "facoltà per il promittente venditore di recesso a meno di un mese dalla stipulazione", ossia una "clausola che nella pratica commerciale simula chiaramente un rapporto debitorio che sorge con il prestito che riceve l’apparente venditore che si obbliga a restituirlo tempestivamente; un rapporto al quale si da e si è data la forma del patto commissorio vietato dalla legge".

Inoltre, per rafforzare ulteriormente il contenuto della censura, con particolare riguardo al rilievo della mancata dimostrazione della domanda formulata dalla convenuta, l’appellante capitola una prova per testi e, subordinatamente, deferisce il giuramento decisorio.

La stessa specificazione si rinviene nelle conclusioni dell’atto di appello. Esse infatti – lungi dal limitarsi a chiedere, come ritenuto dalla sentenza qui impugnata, la sospensione della pronuncia del Tribunale – invocano, con l’accoglimento del proposto gravame, la declaratoria di "nullità della scrittura privata fra le dette L. e F. perchè contenente un patto commissorio vietato dall’art. 2744 cod. civ., con la condanna dell’appellata alle spese del giudizio di primo e secondo grado".

Di qui l’erroneità della sentenza impugnata. Essa, muovendo da una nozione formalistica dell’art. 342 cod. proc. civ., ha finito con il dichiarare inammissibile l’atto di appello perchè non reca la formula sacramentale della "richiesta di riforma" della pronuncia di primo grado.

Fuori luogo è, infine, il richiamo, contenuto nella sentenza impugnata, all’art. 346 cod. proc. civ.: essendo pacifico che, per quel che riguarda le domande, la citata norma, con l’espressione "non accolte", si riferisce alle domande "non decise", poichè, qualora si trattasse, come nella specie, di domande respinte, la parte soccombente non potrebbe certamente limitarsi a riproporle, ma dovrebbe impugnare il relativo capo della sentenza, formulando le relative censure nello stesso atto di appello, a norma dell’art. 342 cod. proc. civ. (Cass., Sez. 2^, 6 maggio 2005, n. 9400; Cass., Sez. Un., 24 maggio 2007, n. 12067), come, appunto, avvenuto.

4. – Il secondo motivo, relativo al merito del proposto gravame, non esaminato dalla Corte territoriale, è inammissibile.

5. – La sentenza impugnata è cassata.

La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’appello di Catania.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 luglio 2012.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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