Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-08-2012, n. 14438

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Svolgimento del processo

La s.r.l. F.lli Candusso Bilicbora espose di avere ricevuto in appalto, insieme all’associata società CEI, lavori per il rifacimento dei serramenti del palazzo del tribunale di Gorizia, ma che, a causa di inadempienze dell’associata, essa si era trovata costretta ad eseguire alcuni lavori spettanti a quest’ultima, sopportando i conseguenti oneri e danni. Tanto precisato, convenne in giudizio la società C.E.I. chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 52.442.536, pari alla differenza tra il proprio credito di L. 112.524.470, come originato dall’inadempimento della controparte, e l’importo dei lavori dalla stessa effettivamente eseguiti, indicati nella somma di L. 62.485211, come da fattura della C.E.I. n. (OMISSIS).

La società convenuta contestò la domanda e chiese, in via riconvenzionale, la condanna della attrice al pagamento della somma di L. 67.290.572, di cui L. 62.485.211 per il pagamento della fattura per le opere eseguite e L. 4.805.361 a titolo di svincolo delle ritenute di garanzia, oltre al risarcimento dei danni.

All’esito dell’istruttoria, in cui venne svolta una consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Gorizia, accertato che il costo delle opere realizzate dalla C.E.I. ammontava a L. 199.029.000, rigettò la pretesa della società attrice che, in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò al pagamento della somma complessiva di Euro 7.019,44, (L. 13.591.539 ), corrispondente, per L. 8.971.000, al danno subito dalla società convenuta per le spese sostenute per lo smantellamento anticipato del cantiere, e, per L. 4.620.539, alla garanzia a suo tempo versata per l’appalto che era stata trattenuta dalla società capofila.

Interposto gravame da parte della società C.E.I., con sentenza n. 158 del 9 marzo 2005 la Corte di appello di Trieste riformò in parte la decisione impugnata, affermando che, premesso che la statuizione con cui il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda della società Candusso per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti ad asseriti inadempimenti della C.E.I. non era stata impugnata ed era pertanto divenuta definitiva, il Tribunale aveva effettivamente omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale con cui la società C.E.I. aveva chiesto il pagamento del corrispettivo per i lavori eseguiti, importo che determinò nella somma di Euro 31.989,58, al cui pagamento condannò la società Candusso, rilevando che quest’ultima aveva espressamente riconosciuto, già nel proprio atto di citazione, tale credito della controparte, portandolo in compensazione al credito dalla stessa vantato, e che la consulenza tecnica d’ufficio aveva quantificato il corrispettivo per le opere eseguite dalla società appellante in L. 199.029.000 a fronte della minor somma effettivamente corrisposta di L. 137.088.536.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 13 aprile 2006, ricorre la s.r.l. F.lli Candusso – Bilicbora, affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la s.r.l. C.E.I..

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione dell’art. 329 cod. proc. civ., assumendo che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, il giudice di primo grado non aveva affatto rigettato la propria domanda di risarcimento dei danni, ma la aveva accolta, sia pure implicitamente, tanto che aveva compensato tale voce con il controcredito della C.E.I., riconoscendo a quest’ultima un importo a saldo inferiore a quello accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio. Nessuna ragione aveva pertanto la Candusso di impugnare la decisione di primo grado, risultando vittoriosa sul punto. La Corte di merito ha quindi errato nel ritenere che la pronuncia di primo grado avesse respinto le domane della società attrice e che, in mancanza di impugnazione, la relativa statuizione fosse passata in giudicato.

Il mezzo è infondato.

La lettura della sentenza di primo grado – consentita a questa Corte in ragione della natura processuale della questione sollevata – dimostra che, contrariamente a quanto sostenuto dalla società ricorrente, il Tribunale, mentre ebbe a riconoscere un credito della convenuta CEI, ritenne invece infondata la domanda della società attrice di riconoscimento di un proprio credito e di compensazione con il controcredito dell’altra parte, richiesta che espressamente rigettò sia in motivazione, che nel dispositivo. La circostanza che la pronuncia di primo grado dichiarò di accogliere solo parzialmente le domande riconvenzionali della società convenuta non autorizza una diversa interpretazione, dal momento che questa precisazione risulta chiaramente utilizzata dal Tribunale in relazione alla domanda della CEI di risarcimento dei danni, che il giudicante ritenne non interamente provata, non anche alla richiesta di pagamento del corrispettivo per i lavori svolti, sulla quale, come rilevato dalla Corte distrettuale, il Tribunale omise completamente di pronunciarsi.

E’ significativo, del resto, che a sostegno della censura il ricorso si limiti ad un generico richiamo alla sentenza di primo grado, senza dedurre a favore della propria critica alcuna sua specifica proposizione o argomentazione.

A tali considerazioni merita comunque aggiungere che la Corte di appello ha compiuto una valutazione del tutto autonoma sulla domanda riconvenzionale avanzata dalla C.E.I., ritenendola fondata alla luce sia dell’espresso riconoscimento del credito operato dall’odierna ricorrente, che delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio.

Il secondo motivo di ricorso denunzia omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata per avere, sulla base dell’erroneo rilievo che la relativa pretesa era stata respinta dal giudice di primo grado e non era stata oggetto di censure dell’appellata, omesso di esaminare e motivare in ordine alla domanda della Candusso di vedersi riconosciuto il credito di L. 53.633.000 per le spese affrontate per eseguire le opere spettanti da contratto alla controparte, ignorando sul punto i documenti comprovanti che la odierna ricorrente aveva eseguito lavori edilizi spettanti alla C.E.I..

Sotto altro profilo, si deduce l’erroneità della decisione di appello laddove ha condannato la società appellata al pagamento della intera somma di L. 62.488.211, senza avvedersi che parte di tale somma era già stata liquidata dal giudice di primo grado, pervenendo così ad una parziale duplicazione della condanna.

Anche questo motivo è infondato.

La prima censura appare assorbita dalla reiezione del primo motivo, che ha confermato l’esattezza dell’affermazione della Corte di appello secondo cui la domanda principale avanzata dalla società attrice era stata rigettata dal primo giudice e che la relativa statuizione, non essendo stata investita da appello, era divenuta definitiva, situazione che chiaramente preclude alla parte stessa di sollevare doglianze in ordine al mancato riconoscimento del proprio credito.

La seconda censura è invece infondata, in quanto le statuizioni di condanna contenute nelle sentenze di primo e secondo grado hanno avuto un oggetto diverso. In particolare, mentre il Tribunale condannò la società Candusso, come risulta dalla relativa sentenza a pag. 6, al pagamento della somma di L. 8.971.000 a titolo di risarcimento dei danni, per avere la CEI dovuto smantellare il cantiere dopo l’esecuzione di solo una piccola parte dei lavori, causa il disaccordo insorto con la Candusso, nonchè della somma di L. 4.620.539, per la restituzione delle ritenute in garanzia, la condanna di secondo grado ha avuto ad oggetto il pagamento del saldo del corrispettivo delle opere eseguite dalla C.E.I., su cui il primo giudice aveva omesso di pronunciarsi. Deve escludersi, pertanto, che il secondo giudice sia incorso nell’errore di sovrapporre ovvero duplicare gli importi liquidati in favore dell’odierna resistente.

Il ricorso va quindi respinto.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della società ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012
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