Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-08-2012, n. 14434

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 26 settembre 1995 C.M., C.L., Ma.Gr., M.R. e la soc. XXX XXX XXX s.p.a. proponevano opposizione avverso l’ordinanza- ingiunzione 3.7.1995 con cui la Direzione Compartimentale per le Contabilità Centralizzate del Dipartimento delle Dogane ed Imposte Indirette aveva loro ingiunto il pagamento della somma di L. 80.859.900,000 ciascuno,a titolo di sanzione amministrativa per violazione della L. n. 898 del 1986, art. 2 per aver indebitamente percepito,nel periodo compreso fra il 1990 ed il luglio 1993, restituzioni all’esportazione di semola di grana duro, esponendo dati falsi nelle dichiarazioni doganali,attestando quantitativi sottoposti a controllo e/o esportati molto superiori a quelli effettivi,sottraendo quantitativi di prodotto all’esportazione mediante vari sotterfugi, miscelando prodotti della lavorazione di grano tenero e, quindi, ottenendo miscugli per il quali non era stata chiesta la restituzione e, comunque, per aver esportato quantitativi inferiori a quelli indicati nelle relative bollette doganali, essendo la merce effettivamente esportata costituita da prodotti non qualificati. Il giudizio penale instaurato, ex art. 640 bis c.p., nei confronti degli opponenti, veniva definito il 25.1.2000 con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p..
Con sentenza depositata il 13.12.2005 il Tribunale di Roma annullava l’ordinanza impugnata e condannava l’amministrazione resistente al pagamento delle spese del giudizio. Osservava, in particolare, il giudice di merito che l’amministrazione finanziaria non aveva fornito la prova in ordine all’illecito contestato,posto che la sentenza penale, emessa ex art. 444 c.p.c., non aveva alcuna efficacia di giudicato nel giudizio civile diverso da quello di danno.
Peraltro il processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 30.3.1995 e l’informativa al P.M. del 9.3.95 erano privi dalla valenza probatoria privilegiata di cui all’art. 2700 c.c., costituendo meri elementi indiziari della responsabilità dei ricorrenti, rimessi al libero apprezzamento del giudicante e necessitanti di adeguati riscontri probatori in quanto detto processo verbale non riguardava dichiarazioni delle parti o fatti che i pubblici ufficiali avevano attestato essere avvenuti alla loro presenza,ma apprezzamenti di dichiarazioni rese da terzi nonchè di copiosa documentazione e di accertamenti tecnici "svolti da altri soggetti".
Inoltre le affermazioni in esso contenute risultavano contraddette dalle istanze dell’approfondita istruttoria svolta nel giudizio di opposizione, dalla quale erano emersi accertamenti con esse incompatibili e tal da condurre all’accoglimento dell’opposizione.
Per la cassazione di tale sentenza propongono ricorso, sulla base di otto motivi di Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro in carica e l’Agenzia delle Dogane, in persona del Direttore p.t..
Resistono con controricorso, proponendo, altresì, ricorso incidentale condizionato affidato a tre motivi, la XXX s.p.a. in liquidazione, in persona del liquidatore e legale rappresentante, C.L. e quest’ultima in proprio nonchè M. C. e Ma.Ga.. Al ricorso incidentale condizionato hanno resistito con controricorso i ricorrenti principali.
Le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
I ricorrenti principali deducono:
1) violazione degli artt. 444, 445 e 654 c.p.p. nonchè dell’art. 2697 c.c. e art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
il Tribunale aveva erroneamente interpretato le norme sul patteggiamento in sede penale in relazione alla norma sull’onere della prova, ex art. 2697 c.c., ed, in violazione del diritto di difesa dell’Amministrazione, aveva escluso ogni rilevanza degli elementi probatori cui faceva riferimento la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p.;
2)carenza e contraddittorietà di motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5; la sentenza impugnata aveva considerato quella emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., del tutto avulsa dal fatto reato, pur avendo ammesso, contraddittoriamente, che il giudizio penale fosse già in fase avanzata e che facesse riferimento a numerosi elementi probatori di accusa, quali gli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri,la documentazione sequestrata ed acquisita nel corso del dibattimento, la relazione dei consulenti nominati dal del P.M., le dichiarazioni di numerosi testimoni;
3)violazione e falsa applicazione degli artt. 444, 445 e 654 c.p.p.;
artt. 2697 – 2729 c.c. e L. n. 689 del 1981, art. 23 nonchè dell’art. 24 Cost., posto che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la L. n. 689 del 1981 prevede l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, in caso di indebita percezione di restituzioni alle esportazioni, anche in assenza di un giudicato penale ed a prescindere dall’applicazione di una sanzione penale;
4) carenza e contraddittorietà di motivazione su un punto decisivo della controversia;
la sentenza impugnata, dopo aver affermato l’autonomia dell’illecito amministrativo dal reato contestato ed aver rilevato che "correttamente l’amministrazione finanziaria ha portato a compimento il procedimento amministrativo di irrogazione della sanzione, indipendentemente dalle evoluzioni del procedimento penale", aveva poi ritenuto, apoditticamente, che la sentenza di patteggiamento non avesse alcuna efficacia nel giudizio civile, rilevando inoltre a pag.
9, che il processo verbale di contestazione notificato agli opponenti, dava conto di numerose attività di accertamento (documentazione contabile e commerciale relative alle movimentazioni del prodotto da esportare, assunzione di informazioni dai soggetti che eseguivano l’imbarco del prodotto sulle navi, analisi contabile delle operazioni svolte dalla XXX per ottenere la restituzione all’esportazione);
5) violazione e falsa applicazione del R.D. n. 639 del 2010, art. 3, L. 689 n. 1981, art. 23 nonchè dell’art. 2697 c.c., dell’art. 24 Cost. e dei principi generali in materia di onere della prova;
il giudice di merito aveva affermato che la prova della violazione contestata non poteva trarsi dalla sentenza n. 29564/01, emessa dal medesimo tribunale civile il 26/7/2001,con cui era stata rigettata l’opposizione all’ingiunzione proposta dalla XXX XXX XXX s.p.a., non avendo l’amministrazione finanziaria fornito detta prova; in tale sentenza n. 29564/01, in realtà, si dava conto, a pag. 8, delle indagini svolte in sede amministrativa e penale e dei riscontri obiettivi "in nessun modo confutati dalla parte opponente", ma il giudicante aveva rifiutato ogni valutazione della sentenza medesima, idonea a fondare una presunzione nel giudizio di opposizione sui medesimi fatti;
6) violazione e falsa applicazione dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
le indagini compiute dalla Guardia di Finanza, anche tramite il consulente nominato dal P.M., erano state ritenute prive della valenza probatoria attribuita agli atti pubblici, ex art. 2700 c.c., nonostante che dal processo verbale di contestazione risultasse che le indagini erano state espletate solo ed esclusivamente dalla G.d.F. su delega della Procura della Repubblica;
7) carenza di motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
il Tribunale aveva omesso di valutare le risultanze del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza del 30.3.95 da cui emergevano i raggiri perpetrati dai rappresentanti della XXX XXX XXX in relazione alle esportazioni in questione;
8) violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 61 c.p.c., e segg., e degli artt. 115, 116 e 213 c.p.c., della L. n. 689 del 1981, art. 23 e dei principi generali in materia di onere della prova e di poteri istruttori del giudice, non considerando che il verbale redatto dalla Guardia di Finanza aveva valore di atto pubblico privilegiato e che, comunque, il Tribunale, al fine di acquisire ulteriori elementi di giudizio, ben avrebbe potuto, ai sensi dell’art. 213 c.p.c., richiedere all’Amministrazione Pubblica informazioni scritte relative agli atti e documenti dell’amministrazione stessa.
Con il ricorso incidentale condizionato i resistenti lamentano:
a) violazione o falsa applicazione degli artt. 184 e 188 c.p.c., L. n. 689 del 1981, art. 23; nullità della sentenza o del procedimento, omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, laddove la sentenza impugnata aveva confermato lo stralcio dei documenti depositati dagli opponenti con atto del 29.3.2005;
erroneamente il Tribunale aveva confermato l’ordinanza 25.10.2005 con cui era stato disposto detto stralcio dei documenti in quanto depositati dagli opponenti "oltre i termini fissati ai sensi dell’art. 184 c.p.c.", non tenendo conto che, nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 23 le attività istruttorie non sono sottoposte al rigido sistema delle preclusioni di cui al rito ordinario e che, in caso di documentazione decisiva ai fini della risoluzione della controversia, la produzione può avvenire sino all’udienza di precisazione delle conclusioni;
b) violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1986, artt. 2, 3 e 4, art. 640 bis c.p., art. 25 cost., comma 2, L. n. 689 del 1981, artt. 1 e 24; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; le sanzioni amministrative previste dalla L. n. 898 del 1986, art. 24 possono essere erogate esclusivamente con riferimento al fatto illecito di cui alla L. n. 898 del 1986, art. 24 giuridicamente e materialmente differente dal reato di cui all’art. 640 bis c.p.; illegittimamente era stata, quindi, applicata la sanzione pecuniaria prevista per il reato di truffa aggravata anzichè quella prevista per la diversa fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1986; sotto altro profilo, a norma della L. n. 898 del 1986, artt. 2 e 3 durante la pendenza del procedimento penale relativo ai fatti per i quali si intenda irrogare una sanzione amministrativa, l’Amministrazione Finanziaria era priva dei potere di irrogare la sanzione stessa, dovendo attendere l’esito del procedimento; nella specie, il procedimento penale, per i fatti in ordine ai quali l’Amministrazione finanziaria aveva emesso l’ordinanza-ingiunzione opposta, era stato avviato nel 1993 mentre l’ordinanza opposta era stata notificata il 13.7.95 sicchè sarebbe spettato al giudice penale determinare l’importo indebitamente percepito; peraltro, solo dopo tre anni dall’adozione della ingiunzione l’Amministrazione finanziaria aveva provveduto a determinare l’importo indebitamente percepito ed a chiederne la restituzione;
c) violazione o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 della L. n. 212 del 2000, art. 7 L. n. 689 del 1981, art. 18, art. 416 c.p.p., art. 24 Cost; omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia;
la motivazione della sentenza impugnata, sulla doglianza relativa alla non conoscibilità da parte degli opponenti della C.T.U., disposta dal P.M. nell’ambito del procedimento penale e non allegata al processo verbale di contestazione, come pure della documentazione sottoposta a sequestro, aveva precluso una compiuta ed adeguata difesa.
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c, in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
I primi due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro evidente connessione inerente alla valenza probatoria, in sede civile, della sentenza penale di applicazione della pena su richiesta delle parti ( patteggiamento), ex artt. 444 e 445 c.p.p., sono infondati.
Al riguardo questa Corte ha ripetutamente affermato che detta sentenza, pur essendo equiparata ad una pronuncia di condanna, ai sensi dell’art. 445 c.p.p.,(senza tuttavia essere assistita dall’efficacia del giudicato), non è ontologicamente qualificabile come tale, traendo origine da un accordo delle parti e, soprattutto, da una rinuncia dell’imputato a contestare la propria responsabilità, di talchè non può farsi discendere da essa, automaticamente, la prova ella responsabilità dell’imputato, essendo tale automatismo escluso dal disposto dell’art. 445 c.p.p., comma 1 bis, potendo in tal caso,le risultanze del procedimento penale e la sentenza di patteggiamento formare solo oggetto di libera valutazione da parte del giudice civile(Cass. 6.12.2011,n. 26250), il quale in tale situazione deve decidere accertando i fatti illeciti e le relative responsabilità autonomamente dal giudice penale (Cass. 11.5.2007,n. 10847; Cass. 6.5.2003,n. 6863).
In altri termini, la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, non comporta un accertamento positivo della responsabilità dell’imputato, ma solo la rinuncia di questi a far valere le proprie eccezioni e difese (Cass. n. 8421/2011; n. 6047/2003), salva la sua utilizzabilità, unitamente ad ogni altro elemento probatorio, in sede civile.
Nel caso di specie il Tribunale, nella sentenza impugnata, non si è discostato da tali principi, prendendo in considerazione la sentenza di "patteggiamento" ai fini suddetti e, con valutazione adeguatamente motivata – e pertanto insindacabile in questa sede – ha ritenuto non decisivi gli elementi emergenti da tale sentenza (per quanto sopra detto comunque non preclusivi di diverso, motivato accertamento in sede civile), non costituendo essi "un giudizio implicito di responsabilità"dovendo essere ricondotti unicamente "al doveroso riscontro, che il giudice è chiamato ad espletare, dell’assenza di condizioni che impongono una pronuncia favorevole all’imputato e della sussistenza delle ulteriori condizioni cui è subordinata la validità della richiesta delle parti". In ordine alla terza doglianza va rilevato che essa non è rapportata alle ragioni della decisione, nella quale non è affatto affermato, come si deduce con il motivo, il principio secondo il quale la sanzione amministrativa non poteva essere irrogata in mancanza di un giudicato penale sul fatto costitutivo dell’illecito, basandosi invece la sentenza sui principi sopra indicati, nonchè su quello secondo il quale nel procedimento di opposizione a sanzione amministrativa, è onere della P.A. provare la sussistenza degli elementi di fatto integranti la violazione contestata e di quelli costitutivi della sua pretesa, mentre spetta all’opponente dimostrare la sussistenza di fatti impeditivi o estintivi della pretesa stessa (Cfr. Cass. n. 5277/2007;
n. 5122/2011).
Riguardo al quarto motivo valgono le considerazioni già svolte sulla rilevanza probatoria, in sede civile, della sentenza di patteggiamento; va aggiunto che le fonti di prova in essa indicate (documentazione contabile e commerciale sulle movimentazioni del prodotto da esportare e pregresse attività di indagine e di accertamento dell’Amministrazione), in base ad una valutazione autonoma del giudice di merito, sono state ritenute prive di adeguato riscontro probatorio, stante la mancata produzione della consulenza disposta dal P.M., della documentazione attestante le doglianze degli importatori, delle deposizioni rese dai testi durante il dibattimento penale; a tutto quanto asserito nel processo verbale della Guardia di Finanza è stata, di conseguenza, attribuita valenza di mero indizio.
Sul punto le S.U. della Corte di Cassazione hanno precisato che il giudizio di opposizione, se pure costruito formalmente come un giudizio di impugnazione, tende, in realtà, all’accertamento negativo della pretesa sanzionatola (S.U. n. 3721/90; Cass. n. 4924/2003); pertanto, l’opposizione a tale pretesa devolve al giudice adito la piena cognizione, comprensiva non solo della legittimità formale dell’atto amministrativo, ma,sia pure nell’ambito delle deduzioni delle parti, anche del controllo sul merito dell’addebito e sui fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre per l’opponente, che assume la posizione di convenuto,è sufficiente negare i fatti stessi. La sentenza impugnata ha dato conto che la tesi dell’Amministrazione, oltre a non avere alcun valido supporto probatorio, trovava ampia smentita nelle prove acquisite nel giudizio di opposizione, precisando con ampia e dettagliata motivazione che "la documentazione ritualmente prodotta dai ricorrenti e le testimonianze assunte erano idonee a contrastare quanto asserito nell’ordinanza ingiunzione".
Tale apprezzamento risulta congruamente e correttamente motivato quanto alla inadeguatezza probatoria delle specifiche circostanze (capacità dei silos, artifizi posti in essere dagli opponenti per sottrarre quantitativi di prodotto avviato all’esportazione, miscelazione della semola con altri prodotti) addotte dall’amministrazione a fondamento degli addebiti oggetto di causa (V. pagg. 16 e 17 della sentenza impugnata, dove sono diffusamente e analiticamente esaminate, in modo congruo e adeguatamente argomentato, le prove in contrario addotte in proposito dall’opponente).
Le censure mosse al riguardo di carenza e contraddittorietà di motivazione si risolvono, quindi, in una diversa, alternativa valutazione delle risultanze processuali, senza che sia dato ravvisare, in concreto,carenza di motivazione o illogicità argomentativa. Privo di fondamento è il motivo sub 5); il Tribunale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici ed aderente alla giurisprudenza della S.C., ha escluso che dalla sentenza n. 29564/01, emessa il 26.7.2001, potesse trarsi la prova della consumazione della violazione contestata,sia per la ragione (di per sè assorbente) che essa era priva dell’efficacia di giudicato, sia in relazione alla non condivisibile motivazione di quella sentenza ed allo svolgimento del relativo processo, per un verso, avendo in essa il Tribunale enunciato il principio secondo il quale per la natura della controversia (opposizione a ingiunzione R.D. n. 639 del 2010, ex art. 3), "l’opponente, assumendo la veste di attore, deve dimostrare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa dell’Amministrazione, i cui presupposti costitutivi quest’ultima abbia reso noti con l’ingiunzione" e, nel caso di specie, non lo avrebbe fatto e, per altro verso, il Tribunale, secondo quanto emergente dalla stessa sentenza, non aveva assunto alcuna prova al riguardo, nonostante le richieste dell’opponente. Quanto alle due sentenze, n. 18208/06 e n. 8092/10 (depositate dall’Amministrazione ricorrente con la memoria ex art. 378 c.p.c.), concernenti la richiesta di restituzione, da parte dal Ministero, delle somme indebitamente percepite a titolo di contributi comunitari, con riferimento ai fatti di causa, va rilevato che non risulta certificato il relativo passaggio in giudicato e quindi le stesse, ai sensi dell’art. 372 c.p.c., non possono essere prodotte in questa sede, nè potrebbero comunque far prova dei fatti in esse esaminati.
In ordine al sesto e settimo motivo, tra di loro connessi in quanto riguardanti, essenzialmente, la fede privilegiata da attribuirsi, ex art. 2700 c.c., al verbale della G.d.F. ed alle risultanze delle indagini da esso risultanti, la sentenza impugnata ha rilevato che l’impianto accusatorio dell’amministrazione resistente "ruota intorno ai risultati delle indagini della Guardia di Finanza compendiati nel processo verbale di contestazione al quale gli altri atti rimandano", specificando che "i risultati di tali indagini non consistono in dichiarazioni delle parti o in fatti che i soggetti operanti, qualificabili come pubblici ufficiali, attestano avvenuti alla loro presenza o da loro compiuti, ma costituiscono l’esito di una serie complessa di deduzioni, valutazioni ed apprezzamenti di dichiarazioni assunte da terzi, di copiosissima documentazione…" sicchè il processo verbale di constatazione e l’informativa al P.M. del 9.3.95 erano privi dell’efficacia probatoria privilegiata di cui all’art. 2700 c.c., e costituivano meri "elementi indiziari della responsabilità dei ricorrenti, rimessi al libero apprezzamento del giudicante e necessitanti di adeguati riscontri probatori".
Tale motivazione è in linea con i consolidati principi giurisprudenziali in materia, nel senso che i verbali di accertamento dell’illecito amministrativo, redatti dai pubblici ufficiali, fanno piena prova, ai sensi dell’art. 2700 c.c., dei fatti che il verbalizzante attesta avvenuti in sua presenza che, però, si risolvano in suoi apprezzamenti personali nè può attribuirsi carattere di verità sostanziale alle dichiarazioni delle parti (Cass. S.U. n. 12545/1992; n. 2734/2002; n. 10128/2003; n. 3787/2012). Va richiamato, inoltre, quanto già osservato sul quarto motivo di ricorso, in merito al difetto di riscontri probatori di dette indagini, rimaste smentite dalla prova testimoniale assunta nel giudizio di opposizione, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, esulante dal sindacato di legittimità a fronte di un’adeguata motivazione (V. sent. imp. pag. 15).
Privo di fondamento è l’ottavo motivo in ordine al quale è sufficiente osservare che, ai sensi dell’art. 116 c.p.p., comma 1, il Ministero ben avrebbe potuto richiedere e depositare nel giudizio di opposizione – ove lo avesse ritenuto opportuno ai fini dell’adempimento dell’onere probatorio,su di esso gravante, dei fatti posti a base dell’ordinanza – ingiunzione – la copia degli atti e della documentazione acquisita in sede penale, della cui mancata produzione nel giudizio di opposizione il giudice di merito ha dato atto (omesso deposito della C.T. disposta dal P.M., della documentazione attestante le doglianze degli importatori, delle deposizioni rese dai testi durante il dibattimento penale), nel rilevare la mancanza dei riscontri probatori all’assunto accusatorio del ricorrente. Vero è che il giudice dell’opposizione, in materia di prove, ha anche poteri officiosi, ma il loro esercizio ha carattere meramente discrezionale e non è sindacabile in sede di legittimità sotto alcun aspetto (Cass. n. 10194/2000; n. 3367/1996), così come non è sindacabile l’esercizio della facoltà attribuita al giudice dall’art. 210 c.p.c. (Cass. n. 10357/2005).
Nel caso di specie, poi, il giudice non si è avvalso di essi, avendo proceduto direttamente ad un’ampia istruttoria sui fatti contestati ed avendo ritenuto che,, attraverso gli elementi probatori acquisiti "ciascuno dei capisaldi dell’impianto accusatorio" era stato adeguatamente contraddetto, in relazione a quanto dedotto – dall’Amministrazione.
Tale conclusione, raggiunta attraverso l’attività istruttoria svolta, rende ragione del mancato esercizio del potere di disporre di ufficio mezzi di prova e acquisizioni ulteriori, ben potendo il giudice accogliere l’opposizione sulla base della valutazione delle prove direttamente acquisite,come avvenuto nel caso in esame (Cfr.
Cass. n. 561/1999).
Alla stregua dei rilievi svolti il ricorso principale va rigettato mentre rimane assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Ricorrono giusti motivi per compensare fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità, avuto riguardo alla complessità della vicenda giudiziaria esaminata, sia sotto il profilo processuale che sostanziale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato.
Dichiara interamente compensate fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 30 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *