Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 26-06-2013, n. 27923

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Tribunale del Riesame di Ancona, adito in sede di appello ex art. 310 c.p.p., da B.O., sottoposto a misura cautelare per i reati di concussione e di associazione per delinquere, con ordinanza del 19 marzo 2013 escludeva la gravità degli indizi per tale secondo reato e confermava la qualificazione di tentata concussione per reato di cui al capo b); in conseguenza rigettava la richiesta di declaratoria di cessazione della misura per decorrenza dei termini di custodia come richiesto dalla difesa che sosteneva la applicabilità della disposizione di cui all’art. 319 quater c.p.p., introdotta dalla L. n. 190 del 2012.

Il Tribunale confermava come, nell’ambito di una più ampia attività criminale, il B., un ufficiale dei carabinieri ed un sovrintendente della Polizia di Stato avessero tentato di convincere G.G., maresciallo dei carabinieri in servizio di controllo presso la filale della Banca d’Italia di (OMISSIS), a collaborare alla realizzazione di un furto ai danni della Banca minacciandolo che, se non avesse collaborato, il predetto ufficiale del CC avrebbe svolto indagini su quanto risultante da un esposto anonimo, in realtà predisposto dagli indagati, in cui si riferivano notizie su presunte condotte irregolari del G., fatto che lo avrebbe potuto danneggiare sul piano lavorativo, economico e familiare.

il G., però, non cedeva alle pressioni e denunziava il fatto ai suoi superiori.

Il Tribunale ricostruiva la condotta ritenendo che fosse stata esercitata una rilevante minaccia, grazie anche alla predisposizione di circostanze false, in modo da porre la vittima in condizioni di non potersi opporre alla costrizione, risultando perciò il fatto integrare, anche alla luce nuova normativa, il reato di concussione, nel caso di specie tentata.

B.O. propone ricorso avverso tale ordinanza.

Con primo motivo deduce la violazione di legge in relazione all’art. 319 quater c.p.p., affermandone la applicabilità nel caso di specie, dovendosi ritenere in conseguenza decorsi i termini di fase.

Nel caso di specie, osserva la difesa, alla persona offesa G. non fu paventato un male ingiusto ma un vantaggio indebito in quanto, redatto un esposto falso ma con notizie vere, la prospettazione di non procedere per i fatti contenuti nell’esposto si risolveva in un vantaggio per la parte.

Il ricorso è manifestamente infondato.

Con l’unico motivo si prospetta una diversa ricostruzione in diritto, alla stregua della nuova normativa sul reato di concussione, sul presupposto di una ricostruzione in fatto diversa da quella del provvedimento impugnato senza alcuna deduzione contraria a tale ricostruzione.

Nel provvedimento impugnato, difatti, il Tribunale afferma che le notizie contenute nell’esposto anonimo non consistevano, ovvero non consistevano soltanto, nella denunzia di comportamenti illeciti del G. rispetto ai quali vi potesse essere un vantaggio illecito nella commissione di indagini. Secondo il provvedimento impugnato, invece, si trattava (anche) di notizie non riferibili a reati o altre condotte illecite, bensì a questioni personali tali da comportare, in caso di diffusione, danni personali o professionali (si legge, difatti: "l’impianto fraudolento creato dall’imputato in concorso è di assoluta e dirompente capacità cogente, poichè colpisce (con inganno) il soggetto passivo, ingenerando un timore di considerevole spessore circa le conseguenze del falso esposto sulla sua vita personale e professionale, sino a lasciargli un ben minimo margine di scelta, come peraltro desiderato dagli stessi soggetti agenti").

In ricorso, invece, non vi è alcun confronto sulla ricostruzione in fatto da parte del Tribunale e si parte dall’erroneo presupposto che la denunzia in questione riguardasse soltanto fatti in ipotesi illeciti, per concludere che, quindi, ciò che si offriva al G. era una attività in suo favore con l’omissione di doverosi atti di indagine ("Ed allora gli agenti non minacciarono il G., rappresentandogli l’evenienza di un male ingiusto ma, artatamente, gli prospettarono un vantaggio indebito, costituito dalla eliminazione di un esposto riguardante suoi illeciti o inopportuni comportamenti (peraltro esistenti)").

Ne consegue la manifesta infondatezza degli argomenti basati su una ricostruzione in fatto non corrispondente a quella risultante dall’atto impugnato e, comunque, senza che si deduca alcun travisamento degli atti di indagine nei limiti in cui tale vizio può essere denunziato in sede di legittimità.

Valutate le ragioni della inammissibilità, la pena pecuniaria va equamente determinata nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013
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