Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 26-06-2013, n. 27910

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

C.M. è stato condannato dal gup del Tribunale di Fermo in data 15 maggio 2008 in sede di giudizio abbreviato per il reato di calunnia in quanto, dopo essere stato sottoposto ad una perquisizione domiciliare, finalizzata alla ricerca di sostanze destinate al doping di cavalli, da due carabinieri del NAS e da due ufficiali della locale stazione dei carabinieri, in un colloquio con questi ultimi due incolpava uno dei primi due, indicato per il meno alto, di essersi impossessato nel corso della perquisizione di Euro 2000 in contanti custoditi in una busta.

La sentenza di primo grado riferiva che C. aveva contattato i due ufficiali della stazione locale il giorno dopo la perquisizione, che all’esito del colloquio era stata redatta una nota informativa che portava alla apertura di un procedimento a carico dei due accusati e che in questa sede il C., sentito quale persona informata dei fatti, confermava la denunzia. Il giudice, sulla scorta delle informazioni date da altro agente presente alla perquisizione e considerando che la perquisizione era stata svolta con la costante presenza del ricorrente e dei suoi familiari, riteneva dimostrata la consapevole falsità dell’accusa di peculato e ricostruiva, altresì, le ragioni della falsa accusa nel rancore di C. per i componenti del corpo del Nas per altre attività di accertamento cui era stato sottoposto.

C.M. proponeva appello rilevando che non aveva inteso proporre alcuna denunzia ma si era limitato, nel corso di un colloquio informale, a sollevare dubbi sull’ammanco della somma non volendo o, comunque, non ritenendo di denunziare di fatto un reato;

che le circostanze della perquisizione nella camera ove era il denaro erano state diverse; che non era vero che lui nutrisse particolare rancore nei confronti del personale del Nas.

La Corte di Appello con sentenza del 27 marzo 2012 confermava la condanna, anche quanto alle statuizioni in favore della parte civile costituita, osservando che:

– il ricorrente aveva riferito in termini espliciti della responsabilità di carabinieri del NAS per l’ammanco della somma nel corso di un colloquio con personale di polizia giudiziaria tenuta a riportare i fatti denunciati all’autorità giudiziaria.

– Le dichiarazioni del ricorrente erano smentite dalle prove acquisite quanto all’essere stata svolta la perquisizione in condizioni tali che vi erano sempre soggetti presenti; quindi era impossibile che uno degli ufficiali potesse prelevare senza esser notato la somma; peraltro nell’abitazione non vi era affatto una rilevante somma di denaro avendo i carabinieri notato soltanto, quali oggetti di valore, dei gioielli tenuti sciolti nei cassetti.

– L’unica prova a favore della difesa, le dichiarazioni del figlio al quale il padre aveva riferito della scomparsa dei soldi, non apparivano significative.

Contro tale sentenza propone ricorso C.M. con atto a firma del proprio difensore.

Con primo motivo deduce violazione di legge penale e sostanziale nonchè carenza di motivazione, in relazione alla mancata compiuta valutazione dei motivi di appello nonchè delle prove a carico.

Rileva quindi che la Corte:

– non ha valutato se il colloquio con gli ufficiali della stazione rappresentasse un mero sfogo avendo solo accennato della scomparsa del denaro su domanda rivoltagli dall’interlocutore, non rispondendo quindi alle specifiche argomentazioni dell’atto di appello che dimostravano la assenza di volontà di calunniare.

– Non ha motivato sulle ragioni per le quali non ritiene attendibili le prove contrarie, laddove la dichiarazione del figlio sulla esistenza del denaro costituiva una prova a favore.

– Non ha valutato le argomentazioni difensive in sede di atto di appello con le quali si osservava come non vi era stata sempre la contestuale presenza di tutti i soggetti all’interno delle stanze dove si svolgevano le operazioni di perquisizione. Non aveva valutato le più ampie osservazioni per dimostrare che non vi era stata alcuna manifestazione di una condizione di rancore nei confronti degli operanti.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato.

Con i motivi di appello, la difesa, facendo precisi riferimenti alle dichiarazioni dei vari soggetti presenti alla perquisizione, aveva espressamente contestato che dagli atti risultasse che tutti, operatori di pg e persone residenti nell’abitazione di C., fossero sempre stati contestualmente presenti nelle varie stanze durante la perquisizione, circostanza ritenuta determinante dalle sentenze di merito per affermare che il C. sicuramente aveva accusato falsamente i carabinieri del furto.

Ma la sentenza impugnata, senza confrontarsi con gli argomenti dell’atto di impugnazione, si limita a sintetizzare la dichiarazione dell’appuntato R. (… ha dichiarato che la perquisizione venne eseguita stanza per stanza alla presenza in contemporanea di tutti …) per giungere alla conclusione "il che elimina in radice la possibilità di un furto di tal fatta alla presenza di altre sette persone (operanti, imputato e i suoi familiari) in una stanza da letto".

Oltre alla mancata risposta agli specifici motivi di appello, la difesa, con la allegazione al ricorso delle dichiarazioni rese da C.G., figlio del ricorrente, ha dimostrato che certamente vi era una prova in ordine al non esservi affatto stata sempre la contemporanea presenza di tutti i soggetti nel corso della perquisizione, prova non oggetto di specifica valutazione.

Una compiuta motivazione imponeva innanzitutto una espressa risposta agli specifici motivi di appello. Inoltre, in ogni caso, a fronte di prove contraddittorie su una circostanza che, nella complessiva economia del provvedimento impugnato, assumeva una portata determinante per dimostrare che il ricorrente l’aveva reso false accuse nei confronti della polizia giudiziaria, la Corte non poteva esimersi da una accorta valutazione di cui rendere conto con puntuale motivazione per affermare perchè fosse maggiormente credibile l’una versione dei fatti anzichè l’altra.

Si impone quindi l’annullamento con rinvio perchè si proceda ad un nuovo esame valutandosi espressamente i motivi di appello e le apparenti contraddizioni fra le prove raccolte, ferma restante la piena autonomia dei giudici di merito dell’apprezzamento di tali elementi di fatto di cui daranno conto in motivazione.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013
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