Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-08-2012, n. 14428

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Svolgimento del processo
F.S.G., con atto di citazione del 21 luglio 1998, proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo, con il quale il Presidente del Tribunale di Salerno, su richiesta di R. E., ingiungeva al medesimo opponente il pagamento di L. 306.568.480 quale compenso per i lavori di progettazione e direzione dei lavori di ampliamento di opificio industriale dell’azienda facente capo al F.S.. Deduceva l’opponente che la ditta individuale nulla doveva al professionista per l’incarico professionale perchè le prestazioni di cui si dice furono effettuate in favore dell’Azienda XXX spa., per altro proprietaria dell’immobile ampliato, mentre la ditta individuale S. G. aveva cessato ogni attività nel dicembre del 1991 vendendo tutti i beni aziendali.
Si costituiva il R. eccependo l’infondatezza delle eccezioni dell’opponente.
Il Tribunale di Salerno, con sentenza n. 1562 del 2003, rigettava l’opposizione, rilevando l’identità sostanziale tra l’impresa individuale facente capo a S.G. e la società per azioni di cui lo stesso era amministratore.
Avverso la sentenza del Tribunale di Salerno proponeva appello F. S.G. ribadendo l’eccezione di carenza di legittimazione passiva. Resisteva R. il quale contestava le avverse eccezioni e ribadiva che l’incarico era stato conferito da F. S.G., personalmente e verbalmente.
La Corte di appello di Salerno, con sentenza n. 468 del 2005, rigettava l’appello, confermava la sentenza del Tribunale, adottando, tuttavia, altra e diversa motivazione. Secondo la Corte salernitana, il credito vantato dal R. scaturiva dal rapporto contrattuale intercorso tra R. e F., S.G., per altro, non risultava che quest’ultimo avesse agito come organo della società per azione.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da F.S. G. con ricorso affidato a due motivi. R.E. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1.- F.S.G., con il primo e il secondo motivo, da esaminarsi congiuntamente per l’innegabile connessione che esiste tra gli stessi, denuncia l’omessa e insufficiente motivazione sul punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), nonchè la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, violazione degli artt. 2230, 2325, 2380 bis e 2384 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3).
Secondo il ricorrente la motivazione della sentenza della Corte di Appello di Salerno è: a) insufficiente laddove valuta le risultanze dell’interrogatorio formale dello S. e ne trae conseguenze giuridiche; b) assente, laddove doveva valutare le prove scritte proposte dallo S.. In particolare, il ricorrente osserva che dalla documentazione depositata (computo metrico, libretto delle misure, il primo stato di avanzamento, il registro della contabilità, tutti a firma del R.) risultava committente la società per azioni XXX. E di più, la Corte salernitana, ha erroneamente ritenuto che l’interrogatorio formale dello S. consentisse di superare le confessioni stragiudiziali ex art. 2735 c.c., ottenute nei documenti sopraindicati. Avrebbe comunque errato la Corte di Appello di Salerno, secondo, ancora, il ricorrente, nell’aver dato per scontato che l’incarico al professionista fosse stato conferito dallo S. oralmente e personalmente, senza considerare che poteva essere stato conferito oralmente dallo S. per conto della Società per azioni. Piuttosto, la Corte di merito non avrebbe tenuto conto che lo S. aveva firmato tutti i documenti afferenti all’incarico professionale quale amministratore della Spa. e come tale non doveva rispondere in proprio dell’attività compiuta nell’interesse della società di capitali 1.1.= Entrambi i motivi sono infondati.
Intanto, va subito evidenziato che la Corte di merito ha avuto modo di chiarire che S.G. era chiamato a rispondere, nei confronti dell’ing. R., del compenso professionale dovuto e concordato, perchè le risultanze processuali (documenti, interrogatorio formale dell’attuale ricorrente) incontestabilmente evidenziavano che il rapporto contrattuale di prestazione d’opera professionale, oggetto di causa, era intercorso tra l’ing. R. e il sig. F.S.G. iure proprio.
Tuttavia, il nodo centrale, del caso in esame, era se l’incarico fosse stato conferito personalmente dallo S.G. iure proprio, oppure dallo S.G. quale amministratore della società per azioni XXX, come sostiene l’attuale ricorrente. Non vi è dubbio, infatti, che, nell’ipotesi in cui l’incarico fosse stato conferito da S.G. quale amministratore della società per azioni XXX, in ragione dell’immedesimazione dell’organo (amministratore) con la società, l’attività svolta dall’amministratore (relativa all’incarico professionale) sarebbe stata imputabile direttamente alla società. Epperò, nell’ipotesi in esame, la Corte salernitana ha accertato, valutando i documenti, le prove acquisite, l’interrogatorio formale di S.G., che l’incarico professionale al R. era stata conferito personalmente e oralmente da S.G. iure proprio e non già come organo della società Cartaria. Tale valutazione, non presentando alcun vizio nè formale nè sostanziale, nè logico nè giuridico, ed essendo fondata sulle prove acquisite in giudizio, non è censurabile in sede di legittimità.
Nè la qualità di committente di S.G. iure proprio poteva essere mutata in quella di committente quale organo della società sulla semplice circostanza che i lavori erano stati svolti nell’interesse della società di capitali come si evince dalla documentazione richiamata dal ricorrente – o dall’affermazione del sig. S.G., resa nell’interrogatorio formale, secondo cui lo stesso agiva per conto della società per azione Cartaria, perchè la qualità di cliente può non coincidere con quella del soggetto a favore del quale l’opera del professionista deve essere svolta. Non vi è dubbio, giusta la normativa di cui all’art. 2230 c.c., e segg, che chiunque può, per le più svariate ragioni, dare incarico ad un professionista affinchè questi presti la propria opera a favore o nell’interesse di un terzo (si potrebbe anche ipotizzare un contratto a favore del terzo), con la conseguenza che il contratto si conclude tra il committente ed il professionista, il quale resta obbligato verso il primo a compiere la prestazione a favore del terzo, mentre il primo resta obbligato al pagamento del compenso.
In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente, in ragione del principio di soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 4200,00 di cui Euro 4000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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