Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 26-06-2013, n. 27909

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Nei confronti di I.A. si è proceduto per i reati di calunnia e diffamazione consistiti nell’avere il predetto inviato una lettera al giudice istruttore civile del Tribunale di Firenze presso cui pendeva una causa di suo interesse nonchè a tutti gli avvocati delle parti in causa accusando la controparte XXX XXX spa nonchè i propri avvocati di essersi accordati ai suoi danni. In particolare, i propri avvocati avrebbero redatto atti processuali in modo da favorire la controparte e, insieme agli avvocati di quest’ultima, avrebbero sottratto atti utili alla sua difesa. In primo grado il Tribunale di Firenze, con sentenza del 5 maggio 2010, lo assolveva perchè il fatto non costituisce reato così ricostruendo i fatti:
nell’arco di vari anni vi era stato un rapporto contrattuale tra la società XXX, poi divenuta XXX Italia, e la società iniziativa XXX Srl di I.; quest’ultima si interessava di logistica editoriale realizzando una rivista pubblicitaria per la prima nonchè curando l’attività di aggiornamento della banca dati.
Nel 2004 la XXX recedeva dal contratto per presunti inadempimenti. I. presentava ricorso d’urgenza ex art. 700 cpc, che però il giudice civile riteneva inammissibile non potendo darsi con provvedimento di urgenza l’ordine di eseguire una prestazione infungibile; la successiva causa di merito, nel corso della quale I. cambiava i propri avvocati, si chiudeva con la sentenza del 12 luglio 2007 favorevole alla società di I. cui la convenuta era condannata pagare circa Euro 180.000. Nel corso della causa I. aveva scritto la suddetta lettera al giudice ed alle controparti affermando che i propri legali avevano mal impostato il ricorso cautelare ed anche il successivo giudizio di merito. A sua volta la società controparte aveva denunciato I. per estorsione e minacce in ragione di una lettera che aveva loro inviato.
I giudici di primo grado aveva assolto I. in quanto, pur se costui aveva manifestato un ingiustificato dubbio sulla correttezza dei propri avvocati non era stato comunque consapevole di aver rivolto accuse ingiuste.
Il difensore delle parti civili proponeva appello avverso tale sentenza rilevando come I. fosse pienamente consapevole delle proprie condotte. Le attività svolte dagli avvocati erano pienamente regolari e, soprattutto, la condotta era consistita nell’evidenziare una vera e propria collusione tra gli avvocati propri e quelli della controparte, non potendo quindi essere ritenuta la sua condotta in buona fede.
La Corte di Appello, con sentenza 23 aprile 2012, rigettava l’appello rilevando che effettivamente le scelte operate dagli avvocati di I. erano risultate inadeguate sia per la fase di urgenza che per quella di merito derivandone comprensibili preoccupazioni di I., ragione questa per la quale scriveva la lettera incriminata al giudice istruttore. Così ricostruiti i fatti, la Corte aveva escluso qualsiasi intento di calunnia avendo peraltro "agito in preda ad uno stato d’ira per il fatto ingiusto della interruzione del rapporto contrattuale e per la mancata risposta giudiziaria". Quanto alla diffamazione nei confronti dei vari professionisti, parimenti la Corte riteneva operare la esimente lo stato d’ira dovuto "all’accecamento che gli derivava nel vedere frustrati i suoi tentativi di ottenere ragione".
Propone ricorso la parte civile XXX che, previa esposizione dei fatti per rilevarne la parzialità od erroneità di lettura da parte del giudicante, deduce con primo motivo la violazione di legge con riferimento alla nozione di fatto ingiusto ai sensi dell’art. 599 c.p., comma 2. Rileva che, a parte che la Corte di Appello non spiega perchè sarebbero fatti ingiusti la interruzione del rapporto contrattuale e la mancata risposta giudiziaria, al contrario la sentenza civile riconosceva in pieno diritto della XXX di recedere dal contratto con un il solo obbligo di tenere la parte indenne dalle spese sostenute, condannandola quindi al pagamento di somme a titolo, appunto, di indennità.
Nè può definirsi fatto ingiusto il fatto in sè del mancato successo in sede di causa civile laddove, come si legge nel provvedimento che definiva la fase urgente, la possibilità di accogliere il dato tipo di domanda è questione controversa nella giurisprudenza di legittimità. E’ quindi erronea la interpretazione della sentenza impugnata nel senso che "fatto ingiusto" sia il solo fatto del mancato accoglimento della domanda. Inoltre l’art. 599 comma secondo cod. pen., invocato quale scriminante, prevede che la reazione sia diretta verso lo stesso soggetto che ha posto in essere la provocazione e non altro soggetto come nel caso di specie.
Con secondo motivo deduce la violazione di legge con riferimento al requisito dell’immediatezza della reazione al fatto ingiusto di cui all’articolo 599 comma secondo cod. pen.; erroneamente i giudici di merito avevano ritenuto che il lungo periodo di tempo passato dalle presunte provocazioni fosse idoneo, senz’altra valutazione, ad integrare la persistente condizione di ira che giustifica la scriminante.
Con terzo motivo deduce il vizio di motivazione laddove la sentenza ritiene che il comportamento della società XXX abbia integrato un "fatto ingiusto". In alcun modo è spiegato perchè il ricorso cautelare, per essere inammissibile, integrasse di per sè un fatto ingiusto nè è spiegato perchè la richiesta di risarcimento del danno, via principale scelta dai difensori accusati, sarebbe stata non solo erronea ma addirittura integrante un fatto ingiusto. Rileva, peraltro, il travisamento delle prove in quanto in atti era dato acquisito che la scelta processuale era esattamente quella voluta dallo I..
Con quarto motivo deduce il vizio di motivazione laddove è stata ritenuta la lettera diffamatoria una reazione a presunti fatti ingiusti, non essendo affatto spiegato perchè il lungo tempo decorso fosse idoneo ad integrare la immediata reazione.
Con quinto motivo deduce il vizio di motivazione laddove si afferma che l’imputato non era consapevole dell’innocenza degli accusati per ragioni, non chiarite, relative al profilo delle dimensioni delle aziende; nonchè laddove si afferma apoditticamente che doglianza sulla scelta della strategia processuale dei propri legali fosse ragione per ritenere che vi fosse una truffa.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
Quanto al primo motivo ed al terzo motivo, effettivamente la sentenza impugnata innanzitutto non offre motivazione per affermare che la interruzione del rapporto contrattuale sia stato un "fatto ingiusto" rilevante ai sensi dell’art. 599 c.p.; e, comunque, la affermazione appare in netto contrasto con la sentenza civile che, nel confermare il diritto della XXX alla risoluzione del contratto, riconosceva il mero diritto all’"indennità" per le spese affrontate per l’esecuzione del contratto.
Sussiste anche l’altro errore nella interpretazione della medesima norma denunciato dalla società ricorrente in quanto l’insuccesso in una causa civile non può essere ritenuto un fatto ingiusto in sè di cui sia automaticamente responsabile l’avvocato della parte perdente.
L’insuccesso nella causa civile può avere molte ragioni, a cominciare dall’avere torto sostanziale, che non comprendono necessariamente l’errore professionale, e nella sentenza impugnata non si offre alcuna ragione per ritenere che vi fosse un tale errore e, se del caso, così grave da integrare un fatto ingiusto.
Quanto alla particolare questione del ricorso di urgenza dichiarato inammissibile, anche in questo caso non solo non viene spiegato il perchè il fatto risulterebbe "ingiusto" ma, come risulta dallo stesso provvedimento civile, la ammissibilità del tipo di azione esercitata è questione controversa nella giurisprudenza di legittimità.
Quanto al secondo motivo ed al quarto motivo, a fronte della lettera della norma che richiede l’immediatezza della reazione, pur nella più ampia accezione di "immediatezza" secondo la giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento impugnato non offre adeguata motivazione per dimostrare che tale requisito sussistesse anche a fronte della palese distanza temporale tra presunto fatto ingiusto e presunta reazione.
Quanto al quinto motivo, effettivamente la Corte di Appello trova un collegamento nel rapporto fra le dimensioni della società ricorrente e l’azienda dello I. che dimostrerebbe la assenza di dolo di calunnia ("Questa ricostruzione dei fatti esclude l’intento calunnioso dell’odierno imputato, sol che si consideri la diversa forza economica di una società, quale quella per cui lavorava e le dimensioni della sua impresa, che aveva come cliente quasi esclusivo la Mercedes.Benz"), ma in alcun modo spiega il perchè di tale collegamento nè lo stesso corrisponde a comuni regole logiche.
Pertanto, sussiste sia una violazione di legge per la erronea interpretazione dell’art. 599 c.p., quanto all’ambito della "ingiustizia" e della "immediatezza della reazione", essendo tali concetti evidentemente troppo dilatati dalla sentenza impugnata, che una generale carenza di motivazione oltre alle specifiche illogicità sopra citate. La sentenza deve essere perciò annullata con rinvio per nuovo giudizio agli effetti civili, in presenza di un ricorso proposto dalla sola parte civile per i relativi effetti", al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio agli effetti civili al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013

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