Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 26-06-2013, n. 27908

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di Appello di Palermo con sentenza del 29 maggio 2012 confermava la sentenza di condanna in primo grado di L. A. per il reato di calunnia in danno del cognato I. R. perchè, nel ricorso civile con il quale chiedeva sequestro giudiziario di un immobile del suocero I.P., accusava falsamente il predetto I.R. di aver maltrattato e privato della libertà personale il proprio padre al fine di renderlo incapace di disporre dei propri beni.

Il fatto si collocava nell’ambito di una lite sfociata in procedimenti civili in relazione ai beni di I.P. i cui eredi legittimi erano il figlio R. ed i due nipoti, figli del suo figlio deceduto F. e della moglie L., seguito del trasferimento, deciso da I.R., del padre da una casa di riposo in (OMISSIS) ad altra sita in (OMISSIS), luogo più vicino alla residenza in (OMISSIS) di I.R., la ricorrente L. aveva ritenuto che il cognato avesse agito al fine di avere il padre sotto il proprio controllo per indirizzarne la volontà testamentaria. Nel ricorso per sequestro riferiva quindi che, visitato il suocero, rilevava come lo stesso nella casa di riposo fosse "tenuto prima di tutto (senza occhiali e senza apparecchio acustico) da parte del figlio R. che in pratica" aveva "indotto il padre in uno stato vegetativo, al fine di privarlo della stessa volontà dispositiva dei suoi beni". Inoltre, trovava il suocero in cattive condizioni igieniche e maleodorante. Nel corso dell’istruttoria in primo grado si evidenziava che le circostanze in ordine al trattamento di I.P. non corrispondevano al vero e la stessa L. affermava di non essere in grado di dire se fosse stato il cognato a togliere apparecchio acustico ed occhiali al genitore, risultando poi che era stata una scelta dello stesso degente. Si accertava inoltre, a mezzo dei testimoni, che i rapporti tra padre e figlio erano buoni.

La Corte di Appello, in risposta agli specifici motivi di appello, osservava che era infondata la tesi difensiva dell’essersi in presenza di argomenti utilizzati ai fini di difesa In sede civile, essendo palesemente falsi. Vero che si trattava di fatti affermati in un ricorso firmato dal difensore, ma si trattava di circostanze affermate sul presupposto delle dichiarazioni rese dalla donna, risultando comunque il fatto punibile ai sensi dell’art. 48 c.p..

L.A. propone ricorso avverso tale sentenza a mezzo del proprio difensore.

Con primo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., per essere stata riconosciuta valenza probatoria al ricorso per sequestro giudiziario.

Rileva che non può essere attribuita la responsabilità alla ricorrente per il contenuto del ricorso, in cui il difensore riportava i fatti riferitigli dalla parte e che aveva l’unica finalità di difesa in sede civile. Peraltro la circostanza che, all’interno della casa di riposo, il suocero non avesse con sè i propri occhiali nè il proprio apparecchio acustico, è un dato di fatto accertato. Del resto, se la parte avesse inteso accusare falsamente I.R., avrebbe presentato una denunzia diretta. Rileva come, sentito quale testimone, il difensore in sede civile avesse confermato di aver avuto le notizie rilevanti ai fini del ricorso e che la cliente non aveva alcun intento diffamatorio o calunniatorio, confermando anche che la frase riportata nel ricorso, ovvero l’aver indotto il padre in uno stato vegetativo, fosse una affermazione strettamente finalizzata alla difesa in sede di processo civile.

Con secondo motivo deduce violazione legge e vizio di motivazione.

Osserva, in particolare, che le circostanze riferite non erano neanche idonee a delineare alcuna ipotesi di reato, non potendosi sostenere che l’ipotetico portar via gli occhiali ed apparecchio acustico integri il reato di maltrattamenti nè, trattandosi di soggetto non deambulante, poteva ritenersi denunziata un’ipotesi di sequestro di persona.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato. Non ricorre innanzitutto la pretesa violazione di legge, non essendovi alcun limite legale alla utilizzabilità probatoria degli atti difensivi in sede di processo civile. Se del caso potrà rilevare, ed in tutt’altro modo, l’esercizio del diritto di difesa.

Quanto alla pretesa erronea motivazione, i giudici di merito hanno adeguatamente affrontato il tema del contenuto obiettivamente calunniatorio del ricorso in questione che, sviluppando argomenti che non erano in alcun modo funzionali all’ordinario esercizio del diritto di difesa in giudizio, riferiva false circostanze per far ritenere che I.R. avesse assunto iniziative illecite per indurre il genitore a favorirlo nella distribuzione dei suoi beni. La responsabilità per il contenuto dell’atto processuale va attribuita alla L. perchè non è controverso che le false accuse derivino dalla esposizione di circostanze provenienti dalla imputata; nè certamente rileva, come vorrebbe il ricorso, la valutazione personale espressa dall’avvocato che assisteva l’imputata in sede civile laddove, nel corso dell’esame quale testimone nel presente processo, afferma che non vi era un intento di falsa accusa di reati per essere le false affermazioni sulla condotta di I.R. finalizzate al solo processo civile. Per il resto, il motivo fa riferimento alla ricostruzione in fatto, per la quale, attesa la completezza della motivazione del provvedimento impugnato, non residua alcuna possibile attività di competenza del giudice di legittimità.

E’ manifestamente infondato anche il secondo motivo in quanto, pur a fronte del tentativo della ricorrente di indurre ad una valutazione frazionata delle singole condotte delle quali la persona offesa veniva falsamente accusata, il provvedimento impugnato ha adeguatamente valutato la portata del complesso di circostanze a simulare i reati di maltrattamenti e sequestro di persona a carico di I.R., Valutate le ragioni della inammissibilità, appare adeguata la misura della sanzione pecuniaria come determinata in dispositivo. Vanno altresì liquidate in favore della parte civile le spese di costituzione del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonchè a rifondere le spese di costituzione di parte civile che liquida in Euro 2000 oltre iva e cpa.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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