Cass. civ. Sez. II, Sent., 10-08-2012, n. 14424

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con separati atti di citazione notificati il 1 febbraio 1986, il 21 giugno 1986 ed il 23 giugno 1986 i coniugi M.F. e + ALTRI OMESSI evocavano, dinanzi al Tribunale di A.P.G., A.F., A.M. e A.L., e premesso di avere acquistato dai convenuti gli appartamenti facenti parte dell’edificio realizzato dai medesimi venditori in (OMISSIS), dichiarato abitabile ed agibile in data 13.6.1972, costruito secondo le regole di cui alla L. n. 756 del 1967, assumevano che i venditore non avevano incluso nei relativi atti di compravendita le aree destinate a parcheggio, sottraendole illegittimamente all’uso privato dei condomini dell’edificio, in particolare degli attori, pertanto chiedevano venisse dichiarato che dette aree erano vincolate all’uso di parcheggio, liberamente fruibili dagli attori, riconoscendole quali pertinenze degli appartamenti loro venduti, con conseguente nullità degli atti di vendita nella parte in cui i venditori non avevano incluso nel trasferimento la piena proprietà delle predette aree.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali puntualizzavano che l’area destinata ad uso parcheggio era di mq. 905, di cui 750 mq. di superficie scoperta, costituita dallo spiazzo circostante i corpi bassi, e mq. 155 di superficie coperta, costituita dai predetti corpi bassi, giusta i progetti approvati dalla C.E. e relativo vincolo con destinazione a parcheggio, area che era stata regolarmente destinata dagli stessi venditori all’uso di parcheggio scoperto e di box per auto, dietro versamento del corrispettivo, il Tribunale adito, espletata istruttoria, riassunto il giudizio (a seguito di cancellazione ex art. 309 c.p.c.) solo dai primi cinque attori, dichiarava che l’area di mq. 230 del corpo basso a piano terra dello stabile di via Antiochia n. 2, nonchè l’area di mq. 673,36 di superficie scoperta tra gli edifici (OMISSIS), costituivano pertinenza degli appartamenti di proprietà degli attori, condannando i convenuti a destinare stabilmente le predette aree a parcheggio in favore degli attori, consentendo il libero esercizio del diritto d’uso di cui costoro risultavano titolari;

dichiarava nulli e sostituiti ope legis i contratti di vendita in favore dei coniugi C. – T., nella parte in cui i venditori si erano riservati l’esclusiva proprietà delle aree destinate a parcheggio.

In virtù di rituale appello interposto da F., G., M. e A.L., con il quale sostenevano l’applicabilità alla fattispecie della L. n. 246 del 2005, che modificato la L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies aveva reso inefficace la decisione impugnata, la Corte di appello di Palermo, nella contumacia degli appellati M.F., + ALTRI OMESSI rigettava l’appello.

A sostegno della decisione la corte distrettuale evidenziava la L. n. 246 del 2005, art. 12, comma 9, invocato dagli appellanti trovava applicazione solo per il futuro, ossia per le sole costruzioni non realizzate o per quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non erano ancora state stipulate le vendite delle singole unità immobiliari. Nella specie le compravendite immobiliari erano avvenute nel 1972, per cui gli spazi destinati a parcheggio dovevano ritenersi assoggettati al regime giuridico introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 18 modificativo della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies.

Respingeva, inoltre, l’eccezione di estinzione de giudizio nei confronti dei coniugi S. – G. non tempestivamente sollevata.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Palermo è stato proposto ricorso per cassazione da F.V., da P., G. e A.A., nella qualità di eredi di A.F., da D., An. e L.A. M., nella qualità di eredi di A.M., da M. M., da An. e A.D., nella qualità di eredi di L.A., e da AN.Gi. in proprio, articolato su due motivi, al quale non hanno resistito gli intimati C. e M.A., nella qualità di eredi dei coniugi F. M. e F.S., + ALTRI OMESSI in proprio, che non si sono costituiti.

Alla pubblica udienza del 7.2.20012 la causa veniva rinviata a nuovo ruolo per mancata comunicazione della data di udienza al domicilio eletto dal procuratore dei ricorrenti, regolarmente eseguita per l’udienza successivamente fissata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per omessa pronuncia sull’eccezione di incompatibilità del consigliere relatore ai sensi dell’art. 51 c.p.c., n. 4, totalmente ignorata dal giudice distrettuale, nonostante la relatrice, dott.ssa G.C. di (OMISSIS), fosse stata il giudice istruttore del primo grado, eccezione sollevata dagli appellanti all’udienza collegiale dell’8.5.2009, assunta la causa in decisione "…con riserva di provvedere circa l’eventuale incompatibilità in sede di decisione".

Premesso che non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (cfr Cass. 8 marzo 2007 n. 5351), nel merito, le situazioni di incompatibilità previste all’art. 51 c.p.c., n. 4, sono caratterizzate dalla circostanza che il giudice, per effetto di sue precedenti attività, ha già conosciuto della causa che ora è chiamato a decidere e rispetto alla quale quindi, anche se in misura diversa a seconda del tipo di coinvolgimento verificatosi, ha già espresso il suo convincimento. L’ultima ipotesi, che qui interessa direttamente, considera motivo di astensione obbligatoria il fatto che il giudice abbia già conosciuto della causa come magistrato in altro grado del processo. Al riguardo si è ritenuto che tre siano gli elementi che concorrono a definire tale fattispecie di incompatibilità: a) una effettiva cognizione della causa compiuta in sede decisoria; b) l’identità del thema decidendum; c) l’essere avvenuta la precedente cognizione "in altro grado del processo" in corso (v. Cass. SS.UU. 17 febbraio 2001 n. 12345; Cass. 27 marzo 2001 n. 4412; Cass. 17 febbraio 1998 n. 1668).

Per orientamento costante di questa corte, che si ritiene di condividere, è stato escluso che l’obbligo di astensione sancito dall’art. 51 c.p.c., n. 4 possa estendersi alle ipotesi in cui il giudice si sia limitato ad istruire la cauà’a in primo grado senza deciderla, trovandosi, poi, a conoscerne in grado di appello (in tal senso, Cass. 28 marzo 2007 n. 7578; Cass. 9 febbraio 1998 n. 1323).

La deduzione è, dunque, infondata, per due concorrenti ragioni, ognuna peraltro decisiva. La prima è che l’obbligo di astensione, imposto dalla disposizione invocata dai ricorrenti al giudice che abbia conosciuto della causa in altro grado, concerne esclusivamente il caso dell’avvenuta partecipazione alla decisione oggetto di gravame, non anche quello dello svolgimento di semplici attività istruttorie, e, come risulta dalla stessa prospettazione del motivo, la dott.ssa G. di (OMISSIS) non aveva partecipato alla decisione della sentenza di primo grado (v. Cass. SS.UU. 16 novembre 1996 n. 10046; Cass. 9 febbraio 1998 n. 1323). L’altra consiste nella preclusione che impedisce di far valere, in sede di impugnazione, la mancata osservanza di tale obbligo, alle parti che non abbiano tempestivamente proposto, come è loro onere, istanza di ricusazione nel giudizio a quo (v. Cass. 1 ottobre 1999 n. 10888).

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della legge 28.11.2005 n. 246 per avere la corte distrettuale sostenuto la sua inapplicabilità alla fattispecie in esame, nonostante l’intervento del legislatore e soprattutto il modo in cui il medesimo ha scelto di porlo in essere, e cioè l’aggiunzione di una disposizione chiarificatrice, ad integrazione della normativa già esistente, che non costituisce una nuova e diversa fattispecie. Con la conseguenza che la questione della irretroattività ovvero della efficacia solo per il futuro, di cui all’art. 11 preleggi, sarebbe mal posta perchè, nel caso in esame, la rivendicata irretroattività verrebbe a riguardare esclusivamente la pregressa interpretazione, con una irragionevole differenziazione di effetti giuridici secondo la regola tempus regit actum inapplicabile all’interpretazione, anche se nella sua enunciazione più autorevole.

Anche detto motivo è privo di pregio.

La doglianza dei ricorrenti, in sintesi, attiene al mancato riconoscimento da parte della corte distrettuale della natura interpretativa, e non innovativa, della L. 28 novembre 2005, n. 246, cui dovrebbe conseguire l’efficacia retroattiva della medesima normativa.

Il dato normativo che qui interessa, confezionato con la particolare tecnica della "integrazione" della precedente disposizione legislativa e dell’aggiunta normativa, è costituito dalla L. 6 agosto 1967, n. 765, art. 18 (c.d. legge ponte), portante "modifiche ed integrazioni alla Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150, il quale ha aggiunto l’art. 41 sexies, prescrivendo che "Nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, debbano essere ricavati appositi spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione", e dalla disposizione della L. 28 novembre 2005, n. 246, art. 12, comma 9, portante "semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005", il quale dispone che "alla L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies e successive modificazioni, è aggiunto il seguente comma:

"Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del comma 1 non sono gravati da vincoli pertinenziaii di sorta nè da diritto d’uso a favore dei proprietari di altre unità immobiliare e sono trasferibili autonomamente da esse".

Come già autorevolmente chiarito da questa corte, con la decisione n. 4264 del 24 febbraio 2006, la negazione della natura interpretativa della normativa invocata discende dalla mancanza dei presupposti, ossia l’esistenza di permanente incertezza interpretativa e la consacrazione di una delle soluzione che avrebbero potuto essere (o essere state) adottate dalla giurisprudenza, alla luce anche della giurisprudenza costituzionale in materia.

"E’ stato, infatti, affermato che il carattere interpretativo va riconosciuto a quelle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti oppure di escludere uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla disposizione interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicarla un determinato significato normativo (Corte cost. 3 dicembre 1993 n. 424), oppure che si deve verificare, con un giudizio riflesso retrospettivamente e tenendo conto del contesto normativo di riferimento, se la disposizione interpretata poteva, tra i vari significati plausibili secondo gli ordinari canoni ermeneutici, esprimere anche il dato precettivo successivamente meglio esplicitato nella disposizione di interpretazione (Corte cost. 17 marzo 1995 n. 88). E’ evidente che simili condizioni non ricorrono con riferimento alla L. n. 765 del 1967, art. 18 (modificativo della L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies), dal momento che da oltre un ventennio la giurisprudenza di questa S.C. si è consolidata nel senso che nel caso di riserva della proprietà degli spazi di parcheggio da parte del costruttore-venditore a favore degli acquirenti sorge ex lege un diritto reale d’uso." (in tal senso la sent. richiamata, ribadito l’orientamento con Cass. 13 gennaio 2010 n. 378 e Cass. 5 giugno 2012 n. 9090).

Nè la normativa in esame – che pure avrebbe potuto imporre una scelta ermeneutica, stabilendo un significato da ascrivere alla legge anteriore – ha previsto un’eccezione alla regola secondo cui le leggi che modificano il modo di acquisto dei diritti reali o il contenuto degli stessi non possono incidere sulle situazioni maturate prima della loro entrata in vigore.

Solo per completezza motivazionale si osserva che la L. n. 246 del 2005 è di poco successiva alla sentenza 15 giugno 2005, n. 12793, di questa corte, nella quale le Sezioni unite, nel risolvere un contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che i parcheggi realizzati in eccedenza (con riferimento al regime di cui alla L. n. 765 del 1967, art. 18) rispetto alla superficie minima richiesta dalla legge non sono soggetti ad alcun diritto d’uso da parte degli acquirenti delle singole unità immobiliari dell’edificio; in tal modo già delimitando quantitativamente il regime vincolistico delle aree in questione.

Del resto in linea con quanto sopra esposto, l’attenta dottrina, all’indomani della novella legislativa, ha escluso la ventilata portata interpretativa o sanante della norma.

In conclusione, in tema di disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, la L. n. 246 del 2005, art. 12, comma 9, che ha modificato la L. n. 1150 del 1942, art. 41 sexies trova applicazione soltanto per il futuro, vale a dire per le sole costruzioni non realizzate o per quelle per le quali, al momento della sua entrata in vigore, non erano ancora state stipulate le vendite delle singole unità immobiliari: detto principio risulta essere stato correttamente applicato dalla corte distrettuale.

Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese del giudizio di legittimità stante la non costituzione dei controinteressati.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 16 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *