Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-08-2012, n. 14396

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
La Corte di appello di Potenza con sentenza del 16 giugno 2005 ha confermato per quanto qui ancora interessa la decisione 2 dicembre 2002 del Tribunale di Matera che aveva condannato in solido il comune di Matera nonchè T.E. al risarcimento del danno liquidato in favore di F.N. nella misura di Euro 40.056,11 ed in favore di S.D. ed M.A. nella misura di Euro 121.275,29 per l’illegittima occupazione di alcuni terreni di loro proprietà ubicati nella locale via Dante,onde realizzare alcuni interventi edilizi in esecuzione di un PEEP adottato con delibera consiliare del 29 gennaio 1982, e tuttavia annullato dal giudice amministrativo unitamente ai decreti di occupazione temporanea del 27 luglio 1982 e 29 dicembre 1984. Ha osservato: a)che correttamente era stata dichiarata la legittimazione passiva del T., assegnatario delle aree poichè lo stesso ne aveva mantenuto l’occupazione e proceduto alla loro irreversibile trasformazione al di fuori di un procedimento di espropriazione, per l’avvenuto annullamento di tutti gli atti della procedura ablativa; b)che corresponsabile dei danni provocati ai proprietari doveva considerarsi il comune che aveva adottato il PEEP, poi dichiarato illegittimo ed aveva omesso le cautele indispensabili ad impedire la realizzazione dell’intervento edilizio, malgrado l’annullamento del provvedimento; c) che il terreno occupato del F. risultava essere mq. 63 perchè in tal modo rilevato dagli accertamenti del c.t.u. anche attraverso grafici e situazione catastale forniti dal comune in contrapposizione al generico ed apodittico assunto del c.t.p. che aveva dedotto l’avvenuta occupazione di una superficie maggiore (200 mq.).
Per la cassazione della sentenza il T. ha proposto ricorso per un motivo;cui resistono con controricorso i proprietari ed il comune di Matera. L’ente pubblico ed il F. hanno avanzato altresì ricorso incidentale per un motivo.
Motivi della decisione
Con il ricorso il T., deducendo violazione degli art. 2043 e 2055 cod. civ. censura la sentenza impugnata per avere dichiarato la propria responsabilità in base al solo elemento materiale della illegittimità dell’occupazione, senza esaminare tutti gli altri elementi richiesti dalla menzionata normativa nel caso apoditticamente ritenuti sussistenti, senza alcun accertamento della colpa in capo all’occupante; senza avvedersi che il giudice amministrativo non aveva neppure concesso la sospensione dei provvedimenti impugnati; e soprattutto era del tutto estraneo all’adozione dei provvedimenti impugnati, nonchè all’intera vicenda ablativa imputabile esclusivamente al comune. Per converso quest’ultimo,deducendo vizi di motivazione lamenta che sia stato ritenuto corresponsabile della illegittima occupazione malgrado con contratto del 5 agosto 1982 avesse assegnato al T. le aree ancora di proprietà del F. e dei consorti per eseguirvi l’intervento edilizio malgrado quest’ultimo fosse stato immesso nel possesso dei terreni ed avesse perseverato nelle occupazioni e nelle costruzioni pur dopo le pronunce del giudice amministrativo; a seguito delle quali aveva omesso la restituzione degli immobili agli illegittimi proprietari.
Le contrapposte censure sono infondate pur se va parzialmente corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. la motivazione con cui la sentenza impugnata ha ribadito in capo ad entrambi i ricorrenti la titolarità dell’obbligazione risarcitoria fatta valere dai proprietari dell’immobile.
Questa Corte, già a proposito di analoga questione riguardante la responsabilità dei soggetti autori della c.d. occupazione appropriativa o espropriazione illegittima(ha ripetutamente affermato anche a sezioni unite: a) che la vicenda non perde a causa dell’effetto traslativo conclusivo la sua connotazione tipica di fatto illecito sia con riguardo al momento dell’occupazione abusiva, sia con riguardo alla costruzione dell’opera con violazione delle norme che fissano i casi ed i modi per il sacrificio della proprietà privata ai fini pubblici, sia con riguardo all’attività materiale medio tempore espletata nel corso dell’occupazione (Cass. sez. un. 761/1998; 12546/1992; nonchè 10840/1997): perciò interamente ed unitariamente qualificate dall’illecito comportamento del soggetto al quale sono riconducibili l’occupazione (illegittima ab origine o divenuta tale) e/o la successiva detenzione senza titolo e/o l’impossibilità della restituzione; b) che conseguentemente tanto nell’ipotesi di occupazione "ab inizio" illegittima, quanto in quella di detenzione divenuta tale, tutta l’attività svolta nel corso dell’occupazione da chiunque esplicata – per definizione illecita – rende l’autore o gli autori responsabili del relativo risarcimento ai sensi degli artt. 2043 e 2055 c.c.: gravando in forza di dette norme sempre e comunque, anzitutto sul soggetto che ha consumato l’illecita apprensione in danno del proprietario e mantenuto la successiva occupazione abusivamente senza restituire l’immobile al suo proprietario (Cass. 11890/2006; 6591/2003; 15687/2001; 1814/2000;
834/1999); c) che a detto soggetto non è consentito invocare la non imputabilità in ordine alla mancata o ritardata pronuncia degli atti della procedura ablativa, anche quando sia dipesa da omissione o inerzia di altra amministrazione, in quanto nel comportamento di chi ha appreso l’immobile altrui senza titolo e/o ne conserva abusivamente la detenzione ed infine persevera nell’esecuzione dell’opera, pur essendo a conoscenza della illegittimità dell’occupazione, possono individuarsi tutti gli elementi della responsabilità aquiliana: la condotta attiva od omissiva, l’elemento psicologico della colpa, il danno, il nesso di causalità tra condotta e pregiudizio; e non è possibile per le medesime ragioni neppure trasferire la responsabilità dell’illegittima vicenda ablatoria in capo all’ente beneficiario o destinatario dell’opera pubblica inglobante quel fondo, ovvero a quello che per legge o per atto amministrativo ne diviene proprietario (Cass. 6591/2003;e da ultimo sez. un. 24397/2007; 6769/2009).
A maggior ragione questi principi vanno ribaditi nel caso concreto in cui la sentenza impugnata ha accertato ed il T. confermato:
1) che il giudice amministrativo aveva annullato per ben due volte il Piano di zona contenente la dichiarazione di p.u.; per cui, per il noto effetto retroattivo del provvedimento di annullamento che ha travolto tutti gli atti della procedura ablativa, l’apprensione- detenzione dei terreni F. – S. M. doveva considerarsi abusiva ab origine, perciò esulando dalla materia espropriativa per rientrare negli illeciti permanenti di diritto comune (c.d. occupazione usurpativa) in tutto e per tutto disciplinati dagli artt. 2043 e 2058 cod. civ.; 2)che era stato proprio il T. a promuovere il primo giudizio davanti al giudice amministrativo;e che era a conoscenza del secondo proposto dai proprietari; sicchè al più tardi a seguito della sentenza del TAR aveva l’obbligo giuridico di restituire agli stessi gli immobili abusivamente detenuti sui quali invece ha continuato a realizzare l’intervento edilizio; 3) che a nulla rilevano le obbligazioni assunte nella convenzione conclusa con il comune e per effetto dell’assegnazione degli immobili, ancora di proprietà aliena, perchè l’ingerenza nella proprietà privata è consentita esclusivamente attraverso gli strumenti privatistici (art. 1321 cod. civ. e segg.) o pubblicistici (art. 42 Cost.) previsti dall’ordinamento. Sicchè il Collegio deve dare ulteriore continuità alla regola del tutto consolidata, che nel caso di illegittima occupazione e trasformazione dell’immobile privato, non vi è, nè vi potrebbe essere ragione per tutelare il soggetto che ha effettivamente agito per realizzare tale risultato al di fuori della procedura espropriativa; e non vi è peraltro alcuna norma che autorizzi il distacco della sua responsabilità dall’attività compiuta; e mantenere fermo il principio, del tutto pacifico anche nella giurisprudenza meno recente (Cass. 13 dicembre 1980 n. 6452; 15 dicembre 1980 n. 6494), che, dato il tenore dell’art. 2043 c.c., è proprio detto soggetto,. sia esso delegato ovvero concessionario/assegnatario o semplice appaltatore, L. n. 2248 del 1848, ex art. 324, all. F, che ha proceduto alla materiale apprensione del bene, al compimento delle attività anche giuridiche necessarie a tal fine, nonchè all’esecuzione dell’intervento manipolativo, il titolare passivo del rapporto obbligatorio collegato ai danni provocati da tale illegittima attività.
Le medesime considerazioni comportano la corresponsabilità del comune di Matera nell’abusiva occupazione, avendo lo stesso ente riconosciuto (pag. 8 ric.) di avere dapprima approvato il programma edilizio in forza del quale aveva assegnato al T. una superficie di mq. 2875 allora di proprietà degli attori; e quindi di avere stipulato con l’assegnatario una convenzione, con la quale si impegnava per quel che interessa all’acquisizione delle aree suddette,a costui consegnate a seguito del decreto di occupazione temporanea: poi travolto dalle sentenze del giudice amministrativo di annullamento della procedura ablativa, e perciò apprese senza titolo dall’ente, che del pari illegittimamente le ha consegnate al T. perchè procedesse egualmente all’esecuzione su di essi del programma costruttivo.
Il contributo causale di detti comportamenti all’illecito permanente consumato dal T. nei confronti del diritto dominicale del F. e dei consorti non è dunque ravvisabile nell’annullamento del piano di zona ovvero nella sua mancata riproposizione senza le ragioni di illegittimità rilevate dai giudici amministrativi o ancora nella omessa rinnovazione del procedimento ablativo; bensì nei menzionati atti del comune riservati dall’art. 832 cod. civ. esclusivamente al proprietario, che hanno reso possibile la successiva abusiva occupazione-detenzione da parte del T. cui nessun titolo consentiva di mantenere la disponibilità degli immobili. Ed ancora una volta entrambi i ricorrenti, correttamente dichiarati responsabili in solido dei danni arrecati dal fatto illecito suddetto ai loro proprietari, mostrano di non comprendere che nei confronti di costoro divengono del tutto irrilevanti le illegittimità procedimentali commesse dall’amministrazione,così come le inadempienze del T. alla convenzione stipulata con l’ente pubblico: risultando invece decisiva l’avvenuta lesione del loro diritto di proprietà, quale riconosciuto dagli art. 42 Cost., ed art. 1 dell’allegato alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sugli immobili dapprima appresi e, poi, detenuti senza titolo dall’uno e l’altro ricorrente, per tale ragione obbligati dalla ricordata normativa degli artt. 2043 e 2058 c.c. a risarcire il fatto ingiusto arrecato alle controparti.
Con il proprio ricorso incidentale il F., lamentando difetti di motivazione ed omessa considerazione dei rilievi formulati dal proprio consulente, ha insistito nel sostenere di aver diritto al controvalore dell’intera superficie di mq. 565 utilizzata dal comune e/o dal T. oltre che per la costruzione degli interventi edilizi, anche per le opere di urbanizzazione; e che era comunque illegittima la riduzione del 10% apportata dalla Corte territoriale all’importo del risarcimento liquidato a causa di asseriti vantaggi ai suoi terreni, non compensabili secondo la giurisprudenza di legittimità.
Le censure sono in parte inammissibili,in parte infondate:
inammissibili laddove il F. si è limitato a dissentire dalle considerazioni della sentenza impugnata sulla compensazione del vantaggio con il danno, peraltro più volte attuata dalla giurisprudenza di questa Corte che ne ha specificamente evidenziato i presupposti: neppure presi in esame dal ricorrente (Cass. sez. un. 28056/2008; nonchè 4950/2010; 23563/2008). E laddove ha introdotto un nuovo thema di indagine costituito dai terreni utilizzati dal T. (per mq. 565) in contrapposizione a quelli occupati ed oggetto delle costruzioni (mq. 63): del tutto diverso da quello esaminato dai giudici di merito concernente l’effettiva estensione di queste ultime aree (secondo il F. pari a 2 00 mq.).
Nel merito, egli non sembra aver compreso le conseguenze dell’annullamento del PEEP dagli stessi proprietari provocato, che ha reso l’occupazione subita un fatto illecito di diritto comune (c.d.
usurpativo), puntualmente evidenziato dalla Corte di appello; la quale ha posto in rilievo le differenze con l’espropriazione (pur se illegittima), a seguito della quale soltanto il fondo viene acquisito nel demanio o nel patrimonio (indisponibile) della p.a..
Nel caso, invece il ricorrente è rimasto proprietario dei terreni occupati, e soltanto per sua scelta ne ha conseguito il controvalore (in luogo della restituzione), tuttavia subordinata dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 1907/1997) e dalla giurisprudenza successiva alla condizione che ne sia stata provocata l’irreversibile trasformazione, e che il proprietario abbia quindi convenienza a chiederne il valore venale in luogo della restituzione e/o riduzione in pristino stato. Al lume di questi principi divengono del tutto irrilevanti ai fini di detta richiesta risarcitoria la dedotta utilizzazione degli immobili da parte dell’occupante (o di terzi), nonchè le ragioni per cui la stessa si è verificata, una volta che il ricorrente non ne ha neppure prospettato, e gli accertamenti del ct. hanno anzi escluso la radicale trasformazione in manufatti o altre strutture idonei a neutralizzare del tutto le facoltà di godimento del proprietario, rimasto tale; che ben poteva allegare e dimostrare (ai giudici del merito) il pregiudizio via via sofferto per la loro ridotta disponibilità (o utilizzazione), rimasto,invece estraneo al thema decidendum della controversia.
Attesa la soccombenza di tutti i ricorrenti le spese del giudizio di legittimità tra di essi vanno dichiarate interamente compensate;
mentre il comune ed il T., rimasti soccombenti vanno condannati a rifonderle ai M. – S. come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte,rigetta I ricorsi e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali tra i ricorrenti; condanna il T. ed il comune in solido al pagamento di quelle in favore dei M. – S. in complessivi Euro 3.700,00 di cui Euro 3.500,00 per onorari di difesa, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 26 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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