Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-08-2012, n. 14395

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Svolgimento del processo
C.F., con citazione del 10 dicembre 1995, quale titolare della Nuova XXX, conveniva davanti al tribunale di Messina la Arte XXX SNC di XXX e c.. Narrava che nel marzo del 1990 era stata sciolta la società XXX di XXX e XXX snc e che ad esso istante era stata assegnata l’azienda di produzione lampadari, apparecchi d’illuminazione ed accessori per bagno, sita in (OMISSIS), mentre al D.T. erano stati assegnati un immobile ed una autovettura. Precisava che egli aveva modificato la denominazione dell’azienda in quella di Nuova XXX di XXX e quindi aveva presentato domanda per l’annotazione nell’apposito albo artigiani della Camera di Commercio. Lamentava da parte della convenuta comportamenti in violazione dei suo diritto di uso esclusivo della nuova ditta,come innanzi precisata. Affermava infatti che il D.T. aveva costituito, insieme alla moglie C. M., una nuova società denominata Art XXX snc di XXX e c, con sede legale in (OMISSIS), ma avente un negozio aperto al pubblico sulla statale 114 km a poca distanza da quello di esso C.. Sosteneva che i coniugi predetti avevano posto nei suoi confronti una serie di atti di concorrenza sleale. In particolare lamentava l’uso di una ditta, Art XXX, molto simile alla sua, e la marcatura, nell’insegna, della, parola "XXX", identica a quella da esso stesso utilizzata nonchè l’apertura del punto vendita di cui si è detto innanzi, posto in modo che eventuali clienti provenienti da (OMISSIS), tratti in inganno dalla denominazione della ditta e dall’insegna, fossero indotti a fermarsi. Chiedeva dunque che fosse accertato il suo diritto all’uso esclusivo della ditta " Nuova XXX di XXX", e che la società convenuto fosse condannata ad eliminare dalla propria ditta le parole Art e XXX con conseguente inibizione alla continuazione degli atti di concorrenza sleale, la condanna al risarcimento del danno e agli ordinari provvedimenti di pubblicazione della sentenza sui quotidiani locali.
La società convenuta si costituiva e resisteva. Veniva emesso ex art. 700 c.p.c. un provvedimento con il quale veniva fatto divieto alla convenuta di utilizzare la contestata ragione sociale, comunque nella ditta e nell’insegna,ovvero i termini Art e XXX. Quindi il tribunale con sentenza del 27 dicembre 2004 rigettava la domanda del C., dichiarava l’inefficacia del menzionato provvedimento cautelare, dichiarava il diritto della convenuta all’uso esclusivo della ditta XXX snc di XXX e c, faceva divieto all’attore di utilizzare nella propria ditta e nell’insegna le parole "artigian" e "XXX", condannava l’attore medesimo al risarcimento dei danni da liquidarsi in separata sede nonchè al pagamento delle spese ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 2.
C.F. proponeva impugnazione alla Corte di appello di Messina.
Resisteva la Artistica Lampadari SNC di XXX e c, già Art XXX snc di XXX e c, eccependo l’inammissibilità dell’appello e comunque chiedendone il rigetto.
La Corte d’Appello dichiarava inammissibile e rigettava, "per quanto di ragione", l’appello.
Per quel che riguarda il presente giudizio di legittimità, il secondo giudice rilevava che il C. non aveva utilizzato il segno distintivo della cessata società giacchè quest’ultima aveva come denominazione "XXX XXX e XXX SNC", mentre quella adottata dal predetto C. come imprenditore individuale aveva adottato la denominazione " Nuova XXX di XXX". Il giudice rilevava la mera comunanza delle due sole parole "artigian" e "XXX" e riteneva che, essendo la società cessata giuridicamente diversa dall’imprenditore individuale C., non si poteva ritenere avvenuto il trasferimento, insieme all’azienda, anche della ragione sociale. Per di più, rilevava il giudice, l’apposizione della parola "nuova", faceva intendere che la ditta,appunto nuova, non coincideva con la precedente denominazione della impresa. Escludeva quindi che fosse stata data la prova di una diffusione, e dunque di un preuso, della ditta stessa nel mercato nel periodo antecedente l’iscrizione nel registro presso la cancelleria commerciale da parte del C., e negava la confondibilità della ditta usata dalla società convenuta con quella usata dall’appellante.
Riteneva infine inammissibili per mancanza di specificità le censure relative alla consulenza tecnica svolta in primo grado, nonchè quelle relative alla non accolta domanda di condanna della società appellata al risarcimento dei danni. Contro questa sentenza ricorre C.F. per cassazione con atto articolato su due motivi.
Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la società "XXX di XXX e compagni snc" avente causa finale della originaria convenuta. La resistente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. I ricorsi vanno preliminamente riuniti.
1.a. Con il primo motivo di ricorso C.F. nella qualità di titolare della Nuova Artigiana XXX di XXX, lamenta la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 2563, 2564, 2565, 1362, 1363 1366 c.c., nonchè la motivazione omessa, contraddittoria ed insufficiente in relazione ai punti relativi.
2. Con il secondo motivo il C. lamenta la violazione e l’errata applicazione dell’art. 2564 c.c., nonchè ancora la motivazione omessa, contraddittoria ed insufficiente sui relativi punti.
2.a. Entrambi i motivi sono inammissibili giacchè non si sintetizzano nè si concludono nel quesito richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al giudizio, dal momento che il ricorso è stato introdotto nel novembre del 2007 e la controversia nel merito si è conclusa con un provvedimento pubblicato prima del 3 giugno 2009.
3. Con il primo motivo del ricorso incidentale la snc XXX di XXX e c. lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 100 c.p.c. nonchè dell’art. 2564 c.c. e segg. e dell’art. 112 c.p.c..
Mediante tale motivo, che si conclude con il previsto quesito, il ricorrente incidentale sostiene che il CtU in primo grado ha rilevato che nel periodo esaminato il D.T. operava in un mercato territorialmente diverso da quello dell’attore. A suo avviso dunque poichè peraltro lo stesso consulente tecnico aveva accertato che il C. stesso operava all’ingrosso, mentre la società oggi ricorrente incidentale per la maggior parte del suo lavoro operava al dettaglio, si trattava di imprese con clientele diverse ed operanti su mercati diversi, tra le quali non sussisteva il rapporto concorrenziale che deve lare da presupposto ad ogni domanda di tutela dei segni distintivi. A suo avviso dunque l’appello proposto dal C. era inammissibile per difetto di interesse.
3.a.Osserva il collegio che l’appello proposto dal C. involgeva tutti i punti della sentenza di primo grado, di cui chiedeva la riforma, a partire da quelli relativi all’accertamento di fatto compiuto dal primo giudice, includente, ovviamente, le risultanze dell’espletata consulenza tecnica di ufficio.
L’interesse all’appello dunque nasceva dalla soccombenza e l’impugnazione coinvolgeva le ragioni tutte della soccombenza di cui le parti avevano discusso. La questione della insussistenza del rapporto di concorrenza non era mai stata proposta. Essa è nuova in questa sede e pertanto è inammissibile.
2. Con il secondo motivo del suo ricorso incidentale la società "XXX" lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 relazione agli artt. 112, 324 e 342 c.p.c.. Sostiene che il C. non ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui già essa aveva accertato che la ditta dell’appellante era nuova. Dunque afferma che l’appello era inammissibile, e chiede che per tale motivo la Corte di Cassazione annulli la sentenza della corte di Messina nella parte in cui non ha dichiarato tale inammissibilità emettendo altresì emettere "ogni statuizione consequenziale", in ordine al ricorso principale.
3.b. Osserva il collegio che,contrariamente a quanto rileva il ricorrente incidentale la sentenza di secondo grado, come si è indicato in narrativa, ha innanzitutto dichiarato inammissibile l’appello; quindi lo ha rigettato "per quanto di ragione", (testuale in dispositivo). La censura dunque che si rivolge verso le motivazioni di tale inammissibilità, preferendo quelle che essa prospetta in luogo di quelle adottate dal giudice di secondo grado,non allega alcuna soccombenza, nemmeno virtuale. Non chiarisce dunque l’interesse a siffatta pronuncia, ai sensi dell’art. 100 c.c., nè l’obiettivo processuale e concreto che dalla richiesta pronuncia della corte di cassazione, si attende di raggiungere. (cass nn. 3229 del 2012, 1236 del 2012,15234 del 2007). Il motivo è pertanto inammissibile.
4. Conclusivamente, entrambi i ricorsi vanno dichiarati inammissibili.
La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di questa fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li dichiara entrambi ammissibili.
Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012
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