Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-08-2012, n. 14394

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Svolgimento del processo
Con citazione in data 12 maggio 1998 la Srl XXX conveniva davanti al tribunale di Milano la XXX spa e la XXX spa. Precisava di aver stipulato il 7 marzo 1997 un contratto di distribuzione in esclusiva con la società XXX, poi acquisita dalla XXX. Chiedeva che fosse dichiarato sussistente l’obbligo, in capo alle convenute, di preXXXe assistenza e supporto tecnico e commerciale per le obbligazioni derivate e derivande verso agli acquirenti dei prodotti XXX e quindi la condanna solidale delle convenute stesse al pagamento di Euro 193.710,42 a titolo di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Sosteneva in particolare l’avvenuta violazione da parte delle convenute dei principi di correttezza e buona fede, nonchè la concorrenza illecita per fatti di abuso di posizione dominante, e per violazione del patto di esclusiva. La XXX in liquidazione, e la XXX, eccepivano il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana, sostenendo esservi quella del giudice francese. Per conto suo XXX eccepiva la carenza di legittimazione passiva nonchè l’incompetenza territoriale del tribunale adito. Entrambe le convenute peraltro contestavano il fondamento della domanda.
Con sentenza non definitiva il Tribunale di Milano dichiarava il difetto di giurisdizione relativamente alla controversia relativa ad XXX. Dichiarava invece la propria competenza relativamente alle domande svolte nei confronti della XXX.
Quindi con sentenza definitiva del 2002 il tribunale respingeva la domanda condannando l’attrice al pagamento delle spese di giudizio.
La XXX S.r.l. proponeva appello lamentando l’errore del primo giudice consistito nel non aver accolto la richiesta di prova testimoniale, nonchè, essenzialmente, quello consistito nell’aver escluso la responsabilità contrattuale ed extracontrattuale di XXX.
Tale sentenza impugnata immediatamente dalla società attrice era riformata dalla corte di appello di Milano che dichiarata la giurisdizione del giudice nazionale, rimetteva le parti davanti al giudice di primo grado.
La Corte d’appello di Milano respingeva l’appello.
Per quel che rileva nella presente fase, il giudice di secondo grado, rilevata l’inammissibilità di una domanda di produzione documentale da parte della ricorrente odierna, osservava, quanto alla doglianza relativa al mancato accoglimento dell’ammissione di una prova testimoniale, che nella specie il raggruppamento di più società, ovvero la messa in liquidazione di società, costituivano circostanze che non potevano essere provate per testi.
Osservava altresì che tutti i capitoli di prova apparivano irrilevanti, o inammissibili laddove davano per presupposti fatti da provare, oppure allegavano relazioni tra soggetti estranei al rapporto controverso, ovvero ancora perchè erano generici e meramente valutativi.
Quanto alla esclusione della responsabilità, tanto contrattuale quanto extracontrattuale, in capo a XXX, la Corte di merito rilevava che il contratto di distribuzione esclusiva per l’Italia in data 19 marzo 1997 era stato sottoscritto tra XXX ed XXX XXX. Esso riproduceva il precedente contratto di distribuzione già corrente tra le stesse parti e non era emersa alcuna prova che fosse stato stipulato per ampliare, come sostenuto in appello, la penetrazione nel mercato italiano della società produttrice. La Corte rilevava ancora che l’assunto dell’appellante secondo il quale XXX si sarebbe sostituito ad XXX nella promozione e nella vendita dei prodotti suddetti, era basata su di una semplice bozza di lettera, peraltro non firmata, nè indirizzata ad alcun destinatario. Essa pertanto non era idonea a dimostrare, come preteso, che la società XXX fosse entrata a far parte del gruppo danese XXX con la previsione che quest’ultima avrebbe poi dovuto realizzare in Italia, attraverso XXX, una attività commerciale costituente monopolio illegittimo, ledendo in tal modo la posizione di mercato dell’appellante.
La Corte di merito quindi ancora osservava, conformemente al primo giudice, che XXX comunque era rimasta estranea a detto contratto e che non era stato in alcun modo provato che essa si era impegnata a commercializzare in Italia i prodotti di XXX. In definitiva il giudice del merito escludeva fosse stata data la prova di un disegno monopolistico nei termini prospettati da XXX le cui posizioni definiva mere congetture.
Avverso questa sentenza ricorre per cassazione XXX S.r.l.
con tre motivi. Resiste con controricorso XXX spa. La ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso XXX lamenta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116, e 244 c.p.c. nonchè la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria relativamente ad un punto decisivo della causa. Afferma l’erronea applicazione delle norme menzionate con riferimento alla negata ammissione delle prove nonostante che, a suo avviso, ricorresse un quadro documentale coerente con la prospettazione effettuata, il quale consentiva di ricostruire le singole attività di trasferimento della proprietà e del controllo della società Perstop, a sua volta controllante XXX XXX, nel gruppo XXX. Pertanto a suo avviso l’improvvisa messa in liquidazione con conseguente cessione dei beni e dei prodotti della controllata, contestualmente alla stipula di un nuovo contratto con XXX, avrebbe posto in essere l’eliminazione di ogni concorrenza.
1.a. Va preliminarmente osservato che nei confronti del motivo appena sintetizzato, come pure dei successivi, la difesa resistente ha formulato una eccezione di inammissibilità complessiva definendo i motivi stessi generici, meramente deprecatori, e sforniti dei requisiti di autosufficienza.
La stessa eccezione generale, viene quindi sostanzialmente riproposta, volta a volta, nei confronti di ogni motivo unitamente alle ragioni poste sostegno della affermata loro rispettiva infondatezza. Pertanto il collegio ritiene opportuno esaminare i tre motivi e dunque pronunciarsi, nel corso di tale esame, anche sulle proposte eccezioni di inammissibilità.
1.b. Il secondo giudice ha mostrato di avere consapevolezza delle doglianze avanzate nei confronti della prima sentenza, anzitutto esaminando i documenti prodotti. Ha rilevato che essi (foglio sei della sentenza) non hanno uno spessore contenutistico tale da fornire un contributo decisivo all’accertamento della verità, vertendo piuttosto su fatti successivi a quelli per cui è causa. Quindi ha rilevato come le prove testimoniali richieste fossero in parte contrastanti con la legge, ovvero inammissibili, perchè fondate su fatti che invece erano tutti da dimostrare, oppure su relazioni tra soggetti del tutto estranei al rapporto controverso.
Del resto, osserva il collegio, anche nella odierna fase il ricorrente prospetta un complotto anticoncorrenziale basato su fatti e vicende contrattuali rispetto ai quali la odierna resistente è stata estranea.
1.c. Conviene precisare a questo punto che la controversia in esame è sorta nel 1998, dunque prima dell’entrata in vigore del Regolamento comunitario n. 1 del 2003, che sostituì il Regolamento n. 4 del 1962, introducendo una integrazione maggiore fra i sistemi giudiziari nazionali e la competenza della Commissione, nel quadro della modernizzazione del diritto della concorrenza. Detta normativa rende oggi possibile un’ applicazione più coerente delle regole di concorrenza da parte dei giudici nazionali, aditi per risolvere liti interindividuali, (cosiddetto Privat enforceinent), originate da azioni di risarcimento del danno nei confronti del concorrente che ha violato la normativa antitrust, e svolgendo in tal modo una funzione complementare a quella della Commissione e delle Autorità amministrative nazionali.
La controversia di cui ci si occupa è nata, s’è detto, prima dell’entrata in vigore di tale Regolamento, ma pur sempre nel pieno vigore del Trattato (artt. 85, 86, già artt. 89 e 90), nonchè della Legge Nazionale n. 287 del 1890 che, istituendo la Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha introdotto uno strumento di tutela pubblico della struttura concorrenziale del mercato nazionale (Cass. n 2207 del 2005). E’ osservazione comune da parte della dottrina anzitutto e quindi della a giurisprudenza che anche prima del predetto regolamento comunitario n. 1 del 2003, l’applicazione da parte del giudice italiano delle norme codicistiche sulla concorrenza sleale, in particolare dell’art. 2598 c.c., aveva assunto consapevolezza dell’illecito antitrust del Trattato, portatore, questo, di principi di ordine pubblico della concorrenza. La dimensione giuridica della concorrenza ha assunto nel nostro sistema la funzione di " valore di riferimento", giacchè gli artt. 85 ed 86 del Trattato hanno imposto limiti nuovi, mirati a proteggere la struttura concorrenziale del mercato anche indipendentemente dall’atteggiamento del soggetto leso. Da ciò il rilievo giuridico qualitativo dei presupposti, apparentemente solo quantitativi, dell’applicazione di tale novità giuridica, quali il "e Mercato rilevante", ed il "pregiudizio agli scambi dei paesi aderenti al Trattato". (ancora Cass ult. Cit. e quindi nn. 993 del 2010 e 11010 del 2011).
Il mercato, dunque, nella nozione introdotta dal Trattato, si identifica con quello concorrenziale. Bene giuridico da tutelare è la competitività.
Conseguentemente, già prima del nuovo testo dell’art. 117 Cost., e dunque nel vigore del Trattato e quindi ancora a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 287 del 1990, si può dire certa nel nostro sistema giurisprudenziale la necessità di leggere la disciplina del codice civile parallelamente a quella del Trattato, ovvero considerandone parte integrante la logica antitrust. Pertanto, nel caso che ne occupa, ben poteva l’attore allegare quale fonte di danno ingiusto ipotesi di fattispecie tipiche del diritto antitrust, pur all’interno di un giudizio interindividuale.
1.c. Il collegio ha ben chiare le difficoltà che incontra la parte che, in sede di controversia individuale e per fatti antecedenti la emanazione del Regolamento comunitario predetto, voglia provare una violazione della legge antitrust ed il rilevo di tale violazione verso il suo patrimonio, come, sia pure in modo abbastanza confuso e sommario, in questo giudizio avviene. Tuttavia nella specie il giudice di merito ha dato atto di come l’odierno ricorrente nell’esporre una serie di vicende societarie rispetto alle quali la società resistente è estranea, in realtà ha fornito semplici congetture circa le cause di un quadro di mercato divenuto per lui meno favorevole. Mentre, quanto alla circostanza che, se provata, avrebbe potuto avere rilievo, ovvero quella degli scopi e delle ragioni del contratto di distribuzione concluso il 19 marzo 1997 tra XXX ed XXX, è mancata del tutto la prova, astrattamente alla portata di un contraente, che detto secondo negozio fosse stato stipulato per ampliare la penetrazione nel mercato italiano della società produttrice (foglio 7 della sentenza).
Il ricorrente nel precedente giudizio , come anche in questa fase di legittimità,espone una situazione di mercato a suo dire effetto dei comportamenti dei suoi concorrenti, per lui meno favorevole rispetto al passato. Ma siffatto esito, astrattamente rientrante anche nell’ambito di una concorrenza lecita, per essere considerato effetto della violazione dei principi antitrust e quindi assunto dentro lo schema dell’art. 2598 c.c. quale espressione di attività di concorrenza contraria alla correttezza professionale, avrebbe avuto bisogno non solo nella dimostrazione della sua compatibilità economica, ma soprattutto della prova della direzione consapevole del comportamento verso produzione del pregiudizio. Prova che è stata esclusa, secondo il ragionamento privo di vizi, del giudice del merito.
1.d. Il motivo è dunque in parte inammissibile, laddove suggerisce una ricostruzione dei fatti diversa da quella accertata dal giudice del merito con motivazione adeguata, ed è infondato nella parte in cui allega violazioni di leggi inesistenti, quale quella relativa alla mancata ammissione delle prove richieste, ovvero ispirate alla ricostruzione dei fatti diversa da quella fornita dalla sentenza impugnata.
2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione la falsa applicazione di norme di diritto, ovvero degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. nonchè degli artt. 2727, 1338, 2043, 2055 c.c.. Lamenta quindi la omessa, insufficiente, e contraddittoria motivazione relativamente ad un punto decisivo della causa.
In sostanza il ricorrente lamenta che la Corte di Milano non ha esaminato nè ha tenuto conto del criterio della prova presuntiva, allo scopo di consentire all’attore dimostrare il complotto anticoncorrenziale più volte denunciato.
2.a. Osserva il collegio, ancora una volta, che il ricorrente ritiene che il quadro economico che rappresenta, ovvero il fatto che le allegate vicende di terzi e di altre società imprenditrici che hanno condotto al mutamento dell’assetto di mercato nel quale opera ed ad una contrazione dei suoi affari costituiscono il fatto certo, dal quale si deve dedurre poi, in modo automatico, la sussistenza del fatto da accertare, ovvero l’illecito preteso. Del tutto logicamente invece il giudice di merito ha rilevato l’estraneità, come si è detto, dell’odierna resistente dalle vicende che XXX invoca, e soprattutto la non idoneità della scrittura allegata, tanto per ragioni formali quanto relativamente al suo contenuto. In sostanza non ha negato il rilievo del quadro economico in questione, ma negato in fatto la causalità sostenuta dalla parte oggi ricorrente.
Il motivo è, anche in quanto proseguimento di quello già esaminato, infondato.
3. Con il terzo motivo di ricorso XXX lamenta la violazione la falsa applicazione degli artt. 113, 116 c.p.c. chè degli artt. 1337, 1338, 2043 e 2055 c.c.. Lamenta inoltre la motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria relativamente ad un punto decisivo della causa. Afferma che la partecipazione della XXX al disegno strategico del gruppo Foss, con atti concludenti comporta la responsabilità contrattuale conseguente all’aver dato seguito alle direttive del gruppo, ed altresì la responsabilità extracontrattuale conseguente all’attività illecita del gruppo o di società stesso il cui vero intento era di acquisire il controllo di XXX appropriandosi di brevetti e linee produttive. Ciò, ancora, allo scopo di eliminar essa società concorrente, e pervenire ad una situazione di posizione dominante del mercato e di effettivo monopolio.
3.a. Osserva il collegio, al di là di qualche sovrapposizione tra le ben diverse figure della posizione dominante e del monopolio, che il motivo in esame fa emergere ancora una volta l’errore nel quale incorre il ricorrente, secondo il quale il mercato sarebbe dovuto rimanere immobile, fotografando se stesso, per conservare gli assetti nel tempo e mantenere immutate le quote di mercato degli originali attori.
Egli individua infatti dentro un’ operazione in sè astrattamente lecita una finalità meramente emulativa, in quanto distruttiva del concorrente. Dimentica con ciò che concorrenza è competizione per la conquista del mercato, e che non è, nel nostro sistema, vietato diventare dominante,ma è vietato abusare di tale raggiunta posizione. Dimentica che neppure è vietato tentare di diventare ovvero diventare monopolista, almeno fuori dalla prospettive economiche e giuridiche poste a base della L. n. 287 del 1990 per quegli esiti la cui dimensione rileva nei confronti della struttura concorrenziale del mercato. E’ vietato, dunque, al dominante, di limitare la concorrenza del non dominante, come è vietato al monopolista di sbarrare l’entrata nel mercato ad altro imprenditore.
Dunque, nella specifica prospettiva delle controversie concorrenziali che non allegano esiti che raggiungono la soglia di rilevanza nel mercato comunitario ovvero di quello nazionale, è illecito competere utilizzando strumenti, tra l’altro, contrari alla correttezza professionale ai sensi dell’art. 2598 c.c., inclusi quelli la cui illiceità si trae dai modelli forniti dalla predetta normativa antitrust. Non è allegatale quale fatto illecito, dunque, in siffatte controversie private che non interessano la competenza dell’autorità garante della concorrenza e del mercato, il mero raggiungimento di una posizione di mercato sganciato dalla disamina del comportamento che lo ha prodotto. Pertanto, ancora una volta, la allegazione di un esito di mercato sfavorevole per uno dei suoi attori, non dimostra affatto l’esistenza di un illecito a monte dello stesso. Mentre ciò che caratterizza il giudizio di merito di cui oggi si discute è, per l’appunto, la mancanza di siffatta consapevolezza da parte dell’odierno ricorrente, e quindi la insistente allegazione da parte sua di fatti irrilevanti o insufficienti a dimostrare l’illecito che afferma.
4. Il ricorso deve essere respinto. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione,liquidate in Euro 3200,00 di cui Euro 3000,00 per onorari oltre alle spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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