Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-08-2012, n. 14393

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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Alessandria ha respinto l’opposizione proposta da C.L., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. XXXdi Leonardo Corti, oltre che titolare dell’omonima ditta individuale, avverso la sentenza 15.11.02, dichiarativa del fallimento della società e del suo fallimento personale. L’appello del C. contro la decisione è stato dichiarato inammissibile dalla Corte d’Appello di Torino, in quanto proposto oltre il termine di 15 giorni dalla notificazione della sentenza di primo grado, di cui alla L. Fall., art. 19, comma 3, ante riforma. C.L., in proprio e nella qualità, ha impugnato la sentenza con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui il curatore del Fallimento della XXXs.a.s.
e di Corti Leonardo ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo, il ricorrente denuncia vizio di omessa pronuncia della sentenza, che avrebbe respinto l’appello sulle impugnazioni da lui proposte nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. e di titolare della ditta individuale, ma non anche quello proposto quale socio accomandatario.
Il motivo, che non si conclude con la formulazione del quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis, in quanto la sentenza impugnata è stata pubblicata il 27.1.09), va dichiarato inammissibile.
2) Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia violazione degli artt. 285 e 326 c.p.c.. Rileva che la sentenza di primo grado, pronunciata nei confronti di tre soggetti (XXXs.a.s., C.L. e C.L. titolare della ditta individuale XXX) è stata notificata al suo procuratore domiciliatario in due sole copie, l’una indirizzata alla società e l’altra alla sua persona, quale titolare della ditta, mentre non gli è stata notificata nella sua qualità di socio accomandatario.
Sostiene che,
P.Q.M.
predetta ultima veste non poteva ritenersi tardiva.
Il motivo è manifestamente infondato.
La legittimazione del C. a proporre in proprio (e non solo quale legale rappresentante della s.a.s.) opposizione al fallimento ed appello avverso la sentenza di rigetto dell’opposizione deriva infatti, puramente e semplicemente, dal fatto che egli è stato dichiarato personalmente fallito: invero, non essendo la ditta individuale centro d’imputazione di interessi diverso dalla persona del suo titolare, sotto il profilo giuridico non può porsi alcuna distinzione fra il fallimento di C.L. quale socio illimitatamente responsabile della s.a.s. XXXed il suo fallimento quale titolare dell’omonima ditta individuale.
Escluso, pertanto, che il C. potesse sdoppiare la propria posizione processuale in ragione dell’attività esercitata in nome e per conto della società e di quella esercitata in proprio, ciò che unicamente rilevava ai fini della decorrenza anche nei suoi confronti del termine per appellare era che – così come è in effetti accaduto – la sentenza di rigetto dell’opposizione gli venisse notificata, oltre che nella sua qualità di legale rappresentante della società, anche personalmente, secondo quanto previsto dalla L. Fall., art. 19, comma 2, (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 5 del 2006), essendo, per converso, del tutto indifferente che nella relata egli venisse indicato solo col nome e cognome, o venisse individuato quale socio accomandatario od, ancora, quale titolare della ditta individuale XXX.
3) Con il terzo motivo, il ricorrente contesta che la notifica della sentenza, eseguita senza il previo pagamento della tassa di registro, fosse atto idoneo a far decorrere il termine breve per la proposizione dell’appello. Osserva che, al contrario di quanto affermato dalla Corte torinese, del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 66 – pur dopo la sentenza n. 522/02 del Giudice delle leggi, che ne ha dichiarato l’incostituzionalità nella parte in cui non consentiva il rilascio ante registrazione di una copia della sentenza ai fini esecutivi – si desume che per far decorrere il termine per l’appello è necessaria la notificazione di copia conforme della sentenza registrata.
Anche questo motivo è infondato.
Il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 66, comma 1 fa divieto, in via generale, ai soggetti obbligati a richiedere la registrazione, di rilasciare originali, copie od estratti degli atti soggetti all’imposta prima che gli stessi vengano registrati.
La disposizione, tuttavia, non si applica, ai sensi del successivo comma 2, n. 2, agli originali, copie ed estratti di sentenze o di altri provvedimenti giurisdizionali … che siano rilasciati per la prosecuzione del giudizio.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 522/02, che ha esteso l’esenzione anche al rilascio di originali, copie od estratti di sentenze od altri provvedimenti giurisdizionali che debbano essere utilizzati per procedere all’esecuzione forzata, ha chiarito che l’inadempimento dell’obbigazione tributaria non può avere l’effetto di precludere lo svolgimento o la conclusione del processo di cognizione, fatto salvo l’obbligo per il cancelliere di comunicare all’ufficio del registro l’esistenza degli atti non registrati.
L’assunto del ricorrente, secondo cui la mancata registrazione della sentenza notificata impedirebbe il decorso de termine breve per impugnare nei confronti del destinatario, risulta dunque smentito dal dato normativo, che non può ricevere interpretazione diversa da quella fornitane dal Giudice delle leggi: non può infatti dubitarsi che, attraverso la notificazione, la parte vittoriosa miri a provocare una sollecita prosecuzione del giudizio o, in alternativa (per il caso in cui la controparte non ritenga di proporre appello),la sua definizione.
Va aggiunto che, come già affermato da questa Corte in fattispecie analoga alla presente (Cass. S.U. n. 7607/2010), la diversa soluzione prospettata con il motivo di censura in esame determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento fra soggetti in situazione identica (sostanzialmente subordinando la decorrenza del termine breve per l’impugnazione alle disponibilità economiche della parte vittoriosa) e si porrebbe in contrasto anche con l’art. 6 della CEDU e con l’art. 11 Cost. volti ad assicurare la ragionevole durata del processo.
Resta assorbito il quarto motivo del ricorso, con il quale il C. lamenta il mancato esame del merito dell’appello.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna C.L., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della s.a.s. Corti &
Associati, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del Fallimento, che liquida in Euro 2500,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012
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