Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 20-06-2013, n. 26854

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza in data 17 luglio 2012, la Corte di appello di Catanzaro, 2^ sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale di Vibo Valentia appellata da M.F.P., con la quale questi era stato dichiarato colpevole di tentata estorsione aggravata in danno di C.A. consistita nell’intimargli, previa minaccia con una pistola, di desistere dalla pretesa di estinzione di un debito di ventisettemila/00 Euro per l’esecuzione di lavori edili da parte del fratello C.P., senza riuscire nell’intento perchè C.A. era riuscito a fuggire e, nonostante l’inseguimento, a raggiungere la Caserma dei CC di Limbate, dove denunciava l’accaduto, mentre M. sfogava la sua rabbia sul veicolo di C. danneggiato a colpi di chiave inglese ed era stato condannato, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti, alla pena di quattro anni sei mesi di reclusione e quattrocento Euro di multa, con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, nonchè al risarcimento dei danni (liquidati in Euro 10.000,00) e alla rifusione delle spese in favore della confronti della parte civile. La Corte territoriale riteneva infondate le doglianze difensive mosse con l’appello, al rilievo che era stato correttamente ritenuta la sussistenza del delitto di tentata estorsione non essendo dirimente che l’imputato, per inibire ulteriori richieste di C.P., avesse minacciato C.A. tanto più che l’aggressione era stata determinata per l’intervento di questi a favore del fratello; che il fatto non poteva essere ricondotto al diverso paradigma normativo di cui all’art. 393 cod. pen. perchè la pretesa era finalizzata ad ottenere che C.P. rinunciasse, anche per interposta persona, ad attivare qualsiasi i iniziativa tesa a recuperare il proprio credito, pretesa illecita in sè oltre che per le modalità con cui era esercitata; che le dichiarazioni di C.A. (da valutarsi come testimonianza a tutti gli effetti nonostante l’accusa a suo carico per fatti commessi in un diverso contesto) erano inequivoche nella descrizione della pistola che gli era stata puntata contro sicchè doveva ritenersi sussistente anche il delitto di porto e detenzione illegale di arma da sparo; che il mancato ritrovamento dell’arma giustificava l’accoglimento dell’ultimo motivo di gravame in relazione alla mitigazione della pena attraverso un diverso giudizio di bilanciamento. Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’insussistenza del reato di estorsione tentata, essendo configurabile il reato di minaccia, in quanto essa era stata esercitata nei confronti di persona diversa dal diretto interessato, tanto più che è risultato che per l’esecuzione dei lavori edili vi era già stato già pagamento, ancorchè parziale in ragione delle contestazioni sulla loro regolarità, persona diversa che non aveva la disponibilità del diritto patrimoniale vantato;

– violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’insussistenza del reato di estorsione tentata, essendo configurabile il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, perchè la pretesa era obiettivamente azionabile con normale vertenza giudiziaria. Nel caso in esame l’imputato agiva nel convincimento di esercitare un suo diritto e non per il perseguimento di un profitto ingiusto, essendo dato acquisito al processo che vi erano contestazioni perchè i lavori non erano stati ultimati, si lamentavano infiltrazioni d’acqua e si discuteva su chi dovesse pagare il fornitore di materiali di idraulica;

– violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’insussistenza del reato di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 2, 4 e 7 e art. 61 c.p., n. 2 perchè l’arma non è stata trovata e nessuno l’ha vista pur essendo il fatto avvenuto nel centro di Limbadi, in circostanze inverosimili, non essendo credibile che sotto la minaccia di un’arma C.A. sia riuscito a togliere le chiavi dal quadro e scappare, senza alcuna Immediata reazione da parte dell’imputato;

– violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alle norme sull’attendibilità dei testimoni, perchè la sentenza si fonda solo sulle dichiarazioni della persona offesa, che è imputato, in diverso procedimento, di minaccia nei confronti di O.M.C., moglie del ricorrente, diverso procedimento che vede C.P. imputato di minaccia in danno del ricorrente stesso, processi connessi o collegati, con conseguente inutilizzabilità delle dichiarazioni dei C.;

– violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione alla riconosciuta prevalenza delle attenuanti generiche cui però non è seguita la riduzione della pena, posto che in motivazione la sentenza impugnata ha spiegato che "il mancato ritrovamento dell’arma pare motivazione più che sufficiente all’accoglimento dell’ultimo motivo di gravame in relazione alla mitigazione della pena attraverso un diverso giudizio di bilanciamento".

Motivi della decisione

1. Preliminare è la questione che attiene all’inutilizzabilità delle dichiarazioni di C.A. e C.P., questione sbrigativamente risolta dalla sentenza impugnata al rilievo della diversità del contesto spazio-temporale in cui sarebbero stati commessi da costoro i reati di minacce e lesioni in danno dell’odierno ricorrente.

Ed invero il soggetto che riveste la qualità di imputato in procedimento connesso ai sensi dell’art. 12 c.p.p., comma 1, lett. c), cod. proc. pen. o collegato probatoriamente, anche se persona offesa dal reato, deve essere assunto nel procedimento relativo al reato connesso o collegato con le forme previste per la testimonianza cosiddetta "assistita". (Cass. SU 17.12.2009-29.3.2010 n. 12067).

Dalle deduzioni difensive risulta che il ricorrente è persona offesa solo in procedimenti in cui risulta imputato C.P. (proc. n. 740/08 rgnr e n. 575/07 rgnr) e non anche in procedimenti in cui è imputato C.A.. Dal ricorso e dalla sentenza non risulta che C.P. abbia rilasciato dichiarazioni testimoniali determinanti ai fini della decisione in ordine ai reati per cui è processo, sicchè l’eccezione difensiva è inammissibile per carenza di interesse. In relazione alla posizione di C. A. la questione è infondata, perchè non risulta che vi siano reati a carico di questi per i quali il ricorrente è persona offesa.

Nè vi è collegamento probatorio, volta che l’accertamento dei delitti di minacce e lesioni in ordine ai quali si procede separatamente prescinde dalla prova che inerisce ai fatti per cui è processo e viceversa.

2. Il primo e il secondo motivo di ricorso sono infondati.

2.1. La circostanza, che la condotta minacciosa sia stata posta in essere nei confronti di soggetto diverso rispetto a quello titolare del diritto patrimoniale di credito, non esclude la configurabilità del delitto di estorsione.

Va ribadito che la minaccia può avere come destinatario un terzo il quale, come nel caso in esame, si ponga come intermediario del titolare del diritto di disporre del bene (cfr.. Cass. Sez. 6, 24.6.2009 n. 27890).

2.2. La soluzione della prima questione è quindi assorbente. Se il fatto è quello descritto in sentenza, la pretesa di qualificare il fatto come esercizio arbitrario delle proprie ragioni è infondata.

Come chiarito dalla Corte di appello la pretesa era illecita, non azionabile dinanzi al giudice, perchè consistente nella rinuncia da parte del C.P. ad agire (per via giudiziaria o stragiudiziale) per ottenere il suo credito.

3. Il terzo motivo di ricorso è fondato.

Il mancato sequestro della pistola che il teste ha descritto non consente di stabilire se essa fosse vera o giocattolo e tanto indipendentemente dall’assunto difensivo secondo il quale si sarebbe trattato della medesima chiave inglese poi impiegata per danneggiare il veicolo della persona offesa.

Ed invero la semplice descrizione fornita dalla persona offesa non può valere a dimostrare, in omaggio al principio del favor rei e in difetto di elementi (anche di natura logica) di riscontro ad un dato percettivo di natura soggettiva, che si trattasse di arma il cui porto e la cui detenzione siano vietate in difetto delle relative autorizzazione di polizia.

4. Anche l’ultimo motivo di ricorso è fondato.

La motivazione è formulata in favore dell’accoglimento dell’ultimo motivo di ricorso e quindi della mitigazione della pena attraverso un diverso giudizio di bilanciamento, in aperta contraddizione rispetto alla decisione di cui al dispositivo che è di conferma della sentenza di primo grado.

5. Si impone quindi l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla ritenuta sussistenza del delitto di cui al capo B e al giudizio di valenza delle riconosciute attenuanti generiche con le aggravanti contestate (e sussistenti) con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro che, nella piena libertà di valutazione propria del giudice di merito, proceda a nuovo giudizio sul detto capo e sul detto punto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al delitto di cui al capo B nonchè al giudizio di valenza delle riconosciute attenuanti generiche, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per un nuovo giudizio.

Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2013
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