Cass. civ. Sez. I, Sent., 10-08-2012, n. 14391

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Svolgimento del processo
1. Con scrittura privata sottoscritta in XXX (Me) il 18 agosto 1988, l’ing. B.L. vendeva all’arch. C. L., in proprio e quale rappresentante delle altre persone fisiche e giuridiche che si era riservato di nominare, tutto il pacchetto azionario della XXX s.p.a. – titolare del XXX e di un Camping adiacente in territorio di (OMISSIS) con annesso bar-ristorante, e dell’Hotel XXX in (OMISSIS) – per il corrispettivo di L. 17 miliardi, da corrispondersi, detratto l’acconto versato, in quattro rate scadenti il 31.1.1989, 30.4.1989, 31.1.1991 e 31.1.1992. La consegna materiale delle azioni sarebbe stata effettuata, quanto al 50%, alla data del 30.4.89 a fronte del pagamento della seconda rata, e per la restante metà con il pagamento dell’ultima rata. Le prime due rate vennero pagate, ed il venditore trasferì il 50% del pacchetto azionario alle persone fisiche indicate dal L.. 2. Con citazione notificata il 30 settembre 1991, preceduta da lettera di messa in mora del febbraio 1991 diretta anche agli acquirenti della prima metà del pacchetto azionario, S.d.M.T., nella sua qualità di erede dell’ing. B. deceduto nelle more, convenne in giudizio l’arch. L. chiedendone la condanna al pagamento della terza rata scaduta il 31.1.91, in misura pari alla quota, ad essa spettante in virtù di testamento olografo, di un terzo del 90,30% della somma dovuta, essendo questa la percentuale della titolarità delle azioni in capo al de cuius. Il convenuto, costituendosi in giudizio, chiese il rigetto della domanda, deducendo di aver offerto il pagamento della terza rata, decurtata dei debiti relativi alla stagione estiva dell’anno 1989, ultimo anno della gestione B., offerta rifiutata dagli eredi. Si dichiarò inoltre pronto al pagamento anche della quarta rata, previa consegna del restante 50% del pacchetto azionario e dei beni ad esso appartenenti e previa estinzione delle passività gravanti sulla società alla data del decesso del venditore. Passività che, in via riconvenzionale, chiese che la controparte fosse dichiarata obbligata ad estinguere, in proporzione alla propria quota ereditaria. 3. Dopo l’intervento in giudizio degli altri eredi dell’ing. B., i di lui figli O. e M.C. – i quali formulavano le medesime domande proposte dalla S.d. -, e l’escussione delle prove ammesse, la causa veniva riunita ad altra, instaurata dagli eredi B. nei confronti di R., T. e A.S. per sentirli condannare, quali acquirenti dell’intero pacchetto azionario, al pagamento della terza e quarta rata di prezzo. Causa nella quale i convenuti R. e T. A. ( A.S. aveva chiesto l’estromissione avendo ritrasferito a A.R. le azioni acquistate) avevano chiesto il rigetto delle domande e in via riconvenzionale l’accertamento dell’obbligo degli attori di risarcire il danno che essi convenuti – quali acquirenti del 50% del pacchetto azionario – avevano subito in conseguenza della mancata estinzione delle passività gravanti sulla società e della mancata consegna e mancato utilizzo di due terreni (uno rivendicato dal Demanio) con manufatti soprastanti inclusi tra i beni dichiarati dal venditore come appartenenti alla società, al pari di altro terreno acquistato dalla società nel febbraio 1989, del cui prezzo di acquisto (L. 650.000.000) chiedevano il rimborso in misura pari al 50%. R. A. aveva inoltre chiesto la restituzione della somma complessiva di L. 1.105.000.000 data in prestito agli attori. 4.
Espletate alcune prove per interrogatorio formale e per testi, e rimessa al Collegio la decisione sull’ammissibilità e conducenza degli altri mezzi istruttori chiesti da entrambe le parti, con sentenza non definitiva del 26 gennaio 2004 il Tribunale di Patti rigettava la domanda di adempimento proposta dagli eredi B. nei confronti degli A., dichiarando tenuto all’adempimento dell’obbligo di pagamento delle residue rate il L.;
dichiarava che gli attori erano tenuti a garantire la consistenza patrimoniale della società venduta, come descritta nella relazione allegata alla scrittura di vendita, provvedendo con separata ordinanza per la istruzione delle relative domande riconvenzionali del L. e di R. e A.T.; rigettava le altre domande riconvenzionali; ed infine condannava gli attori al rimborso delle spese di lite in favore di A.S.. 5.
Interposto appello immediato avverso tale sentenza non definitiva da parte sia del L. sia degli eredi B. sia di R. e A.T., la Corte di Messina ha rigettato l’appello proposto dagli eredi B. nei confronti degli A.; ha accolto parzialmente l’appello di R. e A.T. riconoscendo ai medesimi la somma di L. 325.000.000 oltre interessi;
ha accolto parzialmente l’appello del L. riducendo il pattuito prezzo di vendita nella misura di L. 1.525.000.000, da ridursi a sua volta ulteriormente in proporzione delle azioni effettivamente possedute dai venditori; ha compensato integralmente tra le parti le spese del secondo grado e per metà le spese di primo grado liquidate in sentenza. La corte messinese ha ritenuto: a)che, come rettamente giudicato dal Tribunale, il venditore non si era limitato a trasferire il pacchetto azionario della XXX s.p.a. ma ne aveva espressamente garantita la consistenza patrimoniale, in conformità alla relazione allegata al contratto e sottoscritta dalle parti, escludendo solo alcuni beni sociali e quindi includendo tutti gli altri; b)che del pari rettamente il primo giudice ha ritenuto che la riduzione del corrispettivo, spettante ex art. 1480 cod. civ. in relazione alla indisponibilità di alcuni terreni da parte della società, non si giustifica invece con riguardo alle passività della pregressa gestione, non avendo il venditore assunto alcuna garanzia di bilancio, ad eccezione delle rate del mutuo di L. 1.200.000.000, espressamente poste in contratto a carico del venditore ove l’acquirente non avesse inteso accollarsele scomputandole dall’ultima rata di prezzo; c) che quindi il prezzo dovuto dal L. deve essere ridotto di tale somma, nonchè della metà (in ragione della quota di partecipazione alla XXX s.p.a. da lui acquistata) della somma di L. 650.000.000 spesa dalla società per acquistare, nel 1989, uno dei terreni che, contrariamente a quanto indicato nella scrittura di vendita, non era incluso nel patrimonio sociale; d) che inoltre dovrà operarsi ulteriore riduzione in proporzione alla entità delle azioni effettivamente possedute dagli eredi B., da accertarsi nel prosieguo del giudizio; e)che rettamente il Tribunale ha rigettato le domande di condanna all’adempimento, sfornite di prova, proposte dai B. nei confronti di R., T. e A.S., ritenendo inammissibile la prova per testimoni articolata dagli attori, non diretta ad interpretare il contenuto della scrittura contrattuale – di chiaro significato testuale – ma a dimostrare un fatto ulteriore rispetto alla scrittura medesima; f) che l’appello incidentale proposto da R. e A.T. merita accoglimento solo con riguardo al riconoscimento a loro credito (quali titolari del residuo 50% della XXX s.p.a. da essi acquistato) della somma di L. 325.000.000 (pari a quella riconosciuta al L.) oltre interessi, non anche per la domanda, sfornita di prova, di rimborso in favore di A.R. del preteso prestito di complessive L. 1.105.000.000.
6. Avverso tale sentenza, pubblicata il 7 ottobre 2008, gli eredi B., con atto spedito per la notifica il 19 giugno 2009, hanno proposto ricorso a questa Corte sulla base di otto motivi. Resistono il L., R. e A.T. nonchè S. A. con distinti controricorsi e ricorsi incidentali basati, rispettivamente, su sei, sette e due motivi, ai quali resistono a loro volta con controricorso gli eredi B., che hanno altresì depositato memoria difensiva.
Motivi della decisione
1. Ricorso principale:
1.1. Gli eredi B. censurano in primo luogo le statuizioni della sentenza della Corte di Messina riguardanti il gravame proposto dal L..
1.1.1. Sotto un primo profilo, denunciano omissione e/o insufficienza di motivazione su fatto controverso che, nella sintesi conclusiva richiesta (secondo l’orientamento consolidato di questa Corte: cfr.
tra molte S.U. n. 20603/07; Sez. 3 n. 16002/07; n. 8897/08) dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile nella specie in ragione della data di pubblicazione della sentenza impugnata), individuano nella "relazione tra il prezzo di vendita pattuito e la affermata pretesa mancata detrazione da tale prezzo dell’importo del mutuo e dell’importo corrispondente alla somma erogata dalla società per l’acquisto del terreno in (OMISSIS)". Sotto altro profilo, denunciano inoltre la violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362 c.c. e segg.) con riguardo alla statuita detrazione dal prezzo di vendita delle somme corrispondenti al mutuo gravante sulla società ed al prezzo di acquisto di un terreno, esponendo che la Corte di merito avrebbe erroneamente interpretato il contratto nel ritenere che esso, comportante univocamente la vendita del pacchetto azionario della XXX s.p.a., comprendesse anche, nonostante l’univoco tenore letterale in senso contrario, la garanzia di una determinata consistenza patrimoniale della società. 1.1.2.
Entrambi i motivi sono inammissibili. Il primo per la assoluta inadeguatezza della sintesi che, da un lato, non appare di chiara intelleggibilità, dall’altra non sembra individuare un fatto controverso (la relazione indicata si mostra piuttosto operante sul piano logico-giuridico) in relazione al quale viene prospettato (ed è unicamente prospettabile:cfr. S.U. n. 21712/04) il vizio di motivazione, nè peraltro indica le ragioni per le quali si tratterebbe di fatto decisivo. Il secondo, perchè con esso ci si limita ad affermare la violazione di legge senza specificare le ragioni in base alle quali il giudice del merito avrebbe errato nella ricognizione del contenuto dispositivo delle norme che si assumono violate, limitandosi in effetti a criticare la valutazione compiuta in concreto dal giudice del merito ed a sollecitare una diversa interpretazione, non consentita in questa sede di legittimità.
1.2. Con il terzo, quarto, quinto e sesto motivo vengono censurate le statuizioni della sentenza impugnata riguardanti l’appello proposto dagli stessi eredi B..
1.2.1. Con il terzo ed il quinto motivo, i ricorrenti si dolgono del rigetto del proprio gravame con riguardo alla non ammissione della prova per testi da essi articolata, diretta a dimostrare che la vendita del pacchetto azionario, ancor prima della sottoscrizione della scrittura contrattuale tra L. ed il loro dante causa ing. B., era stata convenuta verbalmente da quest’ultimo con gli A.. Sotto un primo profilo, denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 111 Cost., artt. 112 e 132 cod. proc. civ, art. 132 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) per difetto di motivazione, sostenendo che la Corte messinese si sarebbe limitata a condividere integralmente le argomentazioni esposte dal primo giudice a sostegno della inammissibilità della prova, senza esporre alcun riferimento alla serie di argomentazioni da essi prospettate in atto di appello. Sotto altro profilo, denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2724 e 2733 cod. civ. (in relaz. all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) nonchè vizio motivazionale, sostenendo che la Corte di merito non avrebbe considerato che la prova di acquisto di azioni di s.p.a. può essere data anche a mezzo di testimoni, e non avrebbe tenuto conto di tutta una serie di elementi probatori diretti a dimostrare "il coinvolgimento" degli A., nè della confessione giudiziale che il L. avrebbe reso: la quale, essendo ex art. 2733 liberamente apprezzabile nei confronti delle altre parti, varrebbe quale principio di prova scritta ai sensi dell’art. 2724. 1.2.2. Il Collegio, esaminando congiuntamente le suddette doglianze strettamente connesse, osserva innanzitutto che la denuncia del vizio di omessa pronuncia a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, da un lato, è in contraddizione con l’assunto, che la sostiene, del difetto di motivazione (che è previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e presuppone che una pronuncia vi sia, ancorchè priva di motivazione); dall’altro sarebbe comunque configurabile esclusivamente con riferimento a domande, eccezioni o assunti di merito che richiedano una statuizione di accoglimento o di rigetto, e non anche in relazione all’ammissione di istanze istruttorie, per le quali l’omissione è denunciabile solo sotto il profilo del vizio di motivazione (cfr. tra molte: Sez. 3 n. 3357/09; n. 1701/09; S.U. n. 15982/01). Quanto poi alla motivazione per relationem, il Collegio condivide l’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui tale modalità di motivazione non è illegittima ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto (cfr. n. 15483/08; n. 18625/10;
n. 11138/11). E’ quanto può affermarsi nel caso in esame, in cui la Corte di merito non si è limitata a far proprie le considerazioni svolte dal primo giudice sulla inammissibilità, per contrasto con l’art. 2722 c.c., della prova testimoniale in questione, ma ha aggiunto (pag. 11) la propria osservazione secondo la quale tale mezzo non era diretto ad interpretare la scrittura contrattuale bensì a dimostrare per testi un fatto ulteriore. Osservazione questa che peraltro, pur se sinteticamente espressa, non merita le critiche esposte in ricorso: invero i ricorrenti, limitandosi a rilevare genericamente che la prova in questione aveva per oggetto l’inquadramento della scrittura contrattuale nel contesto del rapporto, non hanno precisato quali specifici elementi di fatto necessari per l’interpretazione della scrittura contrattuale dovessero trarsi da una prova diretta a dimostrare che l’intero pacchetto azionario sarebbe stato acquistato verbalmente dagli A. prima della scrittura stessa che vedeva invece acquirente di tale bene il L..
Nè possono condurre a diverse conclusioni le argomentazioni, che la Corte di merito ha implicitamente disatteso, con le quali gli odierni ricorrenti intenderebbero provare il "coinvolgimento" degli A. nella compravendita. Invero, premesso che l’uso di tale espressione – che appare del tutto generica sotto il profilo giuridico ed inidonea a definire la questione dibattuta, attinente all’individuazione della parte acquirente – si mostra in sè significativo, va comunque osservato: a) che ininfluente nella specie è il principio (peraltro affermato nella pronuncia indicata dai ricorrenti Cass. n. 2258/98 – in relazione a quote di società di persone) che la prova dell’acquisto di azioni di s.p.a. possa essere data anche a mezzo di testimoni, perchè la Corte non ha affermato la necessità dello scritto ad substantiam, bensì la inammissibilità della prova contro il documento contrattuale; b) che le dichiarazioni rese da una parte in sede di interrogatorio formale possono qualificarsi quale confessione giudiziale ai sensi dell’art. 2733 cod. civ. solo ove abbiano ad oggetto fatti sfavorevoli alla parte stessa, ed i ricorrenti non hanno specificato se e quali ragioni essi avessero illustrato in atto di appello avverso la statuizione del Tribunale che aveva escluso, per difetto di quel requisito, la natura confessoria delle dichiarazioni del L. convenuto in giudizio per l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto – circa la sua estraneità all’acquisto.
1.2.3. Con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono del rigetto del proprio gravame avverso la reiezione della domanda di condanna di R., T. e A.S. al pagamento della terza e quarta rata di prezzo (seconda metà del pacchetto azionario), denunziando violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 111 Cost., art. 112 e 132 cod. proc. Civ., art. 132 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4) per assoluta carenza di motivazione. Tuttavia, premesso che anche qui la doglianza risulta contraddittoria e non chiara nella deduetio (nel prospettare sia l’omissione di pronuncia sia il difetto di motivazione, senza peraltro richiamare la norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5), va comunque osservato che la Corte di merito ha affrontato, con riguardo alla domanda di adempimento nei confronti degli A., il tema centrale concernente la prova offerta dagli attori, ed una volta confermata la valutazione di inammissibilità della prova testimoniale articolata dai predetti – quindi anche della prova per presunzioni, stante il disposto dell’art. 2729 c.c., comma 2 – ha implicitamente ritenuto esaurito l’esame del gravame sul punto.
Valutazione, questa, alla quale il ricorso in esame non oppone la indicazione specifica di altri elementi di prova, che la Corte di merito avrebbe dovuto esaminare in quanto non preclusi dalla suddetta inammissibilità. Sì che il rigetto anche di questa doglianza si impone.
1.2.4. Il sesto motivo ha ad oggetto la statuizione di rigetto del motivo di appello formulato dagli odierni ricorrenti avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda riconvenzionale degli A. diretta ad una riduzione del prezzo di vendita (della prima metà del pacchetto azionario) per la diversa consistenza del patrimonio della XXX s.p.a. rispetto a quella descritta e garantita nella scrittura di compravendita, a causa della mancanza di alcuni beni ivi inclusi. I ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362 c.c., e segg.) nonchè vizio motivazionale, sostenendo: a) sotto il primo profilo, che la sentenza impugnata si fonda su una errata interpretazione del contratto, secondo la quale il venditore delle azioni avrebbe garantito una determinata consistenza del patrimonio sociale, laddove la corretta interpretazione complessiva delle clausole contrattuali condurrebbe alla conclusione che egli aveva solo trasferito il pacchetto azionario; b) sotto il secondo profilo, che il fatto controverso, in ordine al quale la motivazione della sentenza sarebbe carente, è il motivo di appello da essi proposto, delle cui prospettazioni la Corte non avrebbe tenuto conto. Tali doglianze, così formulate, non superano il vaglio preliminare di ammissibilità, come in parte già esposto in relazione all’analogo motivo di ricorso nei confronti del L. (cfr. sopra 1.1.2).
Anche qui infatti i ricorrenti si sono limitati ad affermare la violazione delle regole di ermeneutica poste dal codice civile senza fornire specifica indicazione del modo attraverso il quale si sarebbe realizzata la violazione ma semplicemente affermando l’erroneità della interpretazione del contratto esposta nella sentenza impugnata, contrapponendovi una propria diversa interpretazione. In tal modo vengono violati anche i limiti della denuncia del vizio di motivazione, che d’altra parte neppure può consistere nella doglianza circa l’omessa esplicita confutazione delle tesi non accolte dal giudice di merito ove, come nella specie, ad essa non si accompagni l’indicazione specifica di lacune, incoerenze o incongruenze tali da impedire l’individuazione del criterio logico posto a fondamento della interpretazione adottata nella sentenza impugnata: questa infatti non deve essere l’unica possibile, ma una delle possibili, o plausibili, interpretazioni (cfr. ex multis Sez. 1 n. 4178/07; n. 10131/06; Sez. 3 n. 11193/03).
1.3. Con il settimo e l’ottavo motivo i ricorrenti censurano il capo della sentenza che, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dagli A., ha condannato gli odierni ricorrenti alla restituzione in favore degli appellanti della somma di L. 325.000.000, pari alla metà della somma spesa dalla XXX spa per l’acquisto di un terreno che doveva essere compreso nel patrimonio sociale (v. sopra 1.1.1.). Denunciano, da un lato, violazione di norme di diritto (artt. 111 Cost., art. 132 c.p.c., art. 132 disp. att. c.p.c.), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o in alternativa all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per totale omissione della motivazione. Dall’altro, tornano a dedurre la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ. per l’erronea interpretazione del contratto nel senso di prevedere la garanzia in ordine alla consistenza patrimoniale della società. Formulano infine un ulteriore quesito nel quale si deduce la carenza di legittimazione alla domanda di restituzione di una somma della quale non vi è prova dell’esborso da parte degli A., essendo l’acquisto stato compiuto dalla società. 1.3.1. Osserva tuttavia il Collegio, quanto alla motivazione della statuizione impugnata, che dalla lettura della sentenza emerge chiaramente come la Corte di merito, nell’accogliere sul punto in questione l’appello incidentale degli A., abbia fatto implicito richiamo alle considerazioni già svolte (pag. 10) in relazione all’appello incidentale proposto sul medesimo punto dal L.. Ivi infatti si legge che, essendo il pacchetto azionario diviso fra il L. e gli A. ( R. e T.) al 50%, l’esborso di L. 650.000.000 per l’acquisto di un terreno che doveva essere già compreso nel patrimonio aziendale al momento della cessione delle azioni va riconosciuto, per metà, a riduzione del prezzo dovuto dal L. e in eguale misura per gli A..
Non vi è dunque alcuna omissione di motivazione. Quanto poi alla questione inerente alla legittimazione, essa non risulta sollevata in sede di merito dagli odierni ricorrenti, e quindi non può essere esaminata per la prima volta in questa sede, comportando accertamenti di fatto non consentiti nel giudizio di legittimità. Quanto infine alla riproposizione della denuncia di violazione delle norme codicistiche sulla interpretazione del contratto in questione, valgono le considerazioni già esposte.
2). Ricorso incidentale di R. e A.T.:
2.1. Con i primi quattro motivi, i ricorrenti censurano, sotto il profilo sia della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1362 c.c. e segg..) sia della omessa e contraddittoria motivazione, il rigetto dell’appello incidentale da essi proposto avverso la reiezione della loro domanda riconvenzionale di riduzione prezzo in misura pari alle passività pregresse della gestione sociale della XXX s.p.a. Deducono che la Corte messinese avrebbe dovuto ritenere sussistente la garanzia di bilancio a carico del venditore (in relazione cioè non solo all’importo del mutuo espressamente previsto, ma anche a tutte le altre passività non menzionate ed aventi titolo anteriore alla cessione), se avesse proceduto ad una corretta interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, se avesse valorizzato le risultanze della prova testimoniale (resa dai mediatori intervenuti nella conclusione dell’affare e dall’amministratore della XXX s.p.a.) e se avesse ammesso gli ulteriori capitoli di prova articolati dagli odierni ricorrenti, sui quali il Tribunale non si era pronunziato. Deducono inoltre che la motivazione del rigetto sarebbe contraddittoria perchè la Corte ha ritenuto sussistente solo la garanzia per gli elementi attivi del patrimonio e non anche per quelli passivi.
Tali doglianze, che attesa la loro connessione possono essere esaminate congiuntamente, non meritano condivisione. Invero, anche in questo caso la denuncia della violazione delle norme codicistiche sulla interpretazione del contratto si sostanzia in effetti, più che nella specifica indicazione dei canoni in concreto inosservati e soprattutto del modo in cui tale violazione si sarebbe realizzata, nella mera contrapposizione di una differente interpretazione del testo contrattuale, che i ricorrenti fondano su una possibile diversa valutazione delle clausole sui mutui e sulle modalità di pagamento del prezzo di vendita delle azioni, oltre che di alcune circostanze di fatto che i ricorrenti assumono potersi porre in relazione con l’interpretazione della volontà manifestata dalle parti nel contratto. Ma, come già evidenziato, neppure la denuncia del vizio di motivazione può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice di merito, con la proposizione di una differente opzione interpretativa verso una delle possibili diverse tesi, ove, come nella specie, il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quegli elementi che siano stati ritenuti di per sè soli idonei e sufficienti a giustificarlo. La Corte di merito ha invero congruamente giustificato il suo convincimento evidenziando la chiarezza di significato di alcune clausole contrattuali, in assenza peraltro di ogni riferimento in contratto alla situazione della contabilità sociale della XXX s.p.a., e di allegazione del relativo bilancio. Nè in tal modo è incorsa in alcuna contraddizione, essendosi limitata a riconoscere, sulla base del testo contrattuale, che il venditore ha garantito la sola esistenza nel patrimonio sociale di alcuni beni e l’eventuale pagamento delle rate di un mutuo già ottenuto, cosa diversa dalla c.d. garanzia di bilancio, che comporta l’assunzione a carico del venditore di tutte le obbligazioni che risultino dal bilancio gravare sulla società ad una determinata data, oltre che la presenza, nell’attivo patrimoniale, dei beni ivi indicati.
2.2. Con il quinto e sesto motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza – o alternativamente la violazione di legge – per omissione di pronuncia sulla loro domanda di risarcimento dei danni da inadempimento dell’obbligo di consegna dei beni dei quali il venditore aveva garantito la inclusione nel patrimonio sociale.
Osserva tuttavia il Collegio che i ricorrenti non indicano in quale sede essi avrebbero utilmente allegato di quali danni chiedessero il risarcimento. Peraltro l’esame degli atti, consentito in relazione alla natura processuale del vizio denunciato, conduce ad escludere che tale allegazione sia stata espressa utilmente, essendo contenuta solo nella comparsa conclusionale in appello, sì che rettamente la corte non l’ha considerata in quanto inammissibile per tardività.
2.3. Con il settimo motivo, i ricorrenti lamentano l’insufficiente motivazione su fatto controverso, costituito dalla effettuazione da parte di A.R. del pagamento di un debito di L. 150.000.000 di B.L., ai fini dell’accoglimento della domanda di condanna degli eredi B. alla restituzione di tale somma. Assumono i ricorrenti che la Corte messinese si sarebbe limitata sul punto a rinviare integralmente alla pronunzia di primo grado, che aveva ritenuto carente la prova di tale pagamento, fornita mediante la deposizione testimoniale dell’amministratore della XXX s.p.a. il cui contenuto sarebbe stato – secondo i ricorrenti – travisato dal Tribunale. Osserva tuttavia il Collegio che, facendo riferimento a quanto qui già esposto in ordine alla motivazione per relationem, la sentenza impugnata non si è limitata a far proprie le valutazioni del primo giudice ma ha aggiunto la propria considerazione circa la singolarità della ipotesi di un pagamento di una somma rilevante senza che l’ A. sia in possesso di una prova documentale di tale pagamento di un debito altrui.
Considerazione questa che appare non priva di logica, peraltro non censurata specificamente dai ricorrenti, i quali si sono limitati a sollecitare inammissibilmente una diversa interpretazione della deposizione testimoniale suddetta.
3. Ricorso incidentale di L.C.:
Il ricorso si articola in sei motivi, dello stesso tenore dei primi sei motivi del ricorso incidentale di R. e A.T.:
valgono quindi le stesse considerazioni già svolte con riguardo a tali doglianze.
4. Ricorso incidentale di A.S.:
Nei due motivi, il ricorrente censura la compensazione delle spese, sia del giudizio di appello sia – per metà – del giudizio di primo grado, disposta nei confronti "degli A.", dunque anche nei suoi confronti, dalla sentenza della Corte messinese. Denuncia violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e motivazione contraddittoria:
la compensazione nei suoi confronti sarebbe priva di ragione, giacchè egli era sostanzialmente rimasto estraneo al giudizio, non aveva proposto domanda riconvenzionale – a differenza degli altri due A. -, era vittorioso sia in primo che in secondo grado, quindi anche la modifica della liquidazione delle spese di primo grado – disposta esclusivamente in suo favore dalla sentenza non definitiva del Tribunale – sarebbe contraddittoria.
Tali doglianze, esaminabili congiuntamente attesa la loro connessione, sono fondate, attesa la palese erroneità della motivazione della statuita compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio anche nei confronti di A.S.. Tale statuizione, succintamente motivata con riferimento alle ragioni della decisione d’appello – ivi compreso il rigetto dell’appello incidentale riguardante la restituzione del prestito in favore di A.R. – non tiene in alcun conto, nel considerare unitariamente la posizione processuale "degli A.", che – come in effetti si evince dalla stessa esposizione dello svolgimento del processo – A.S. era stato solo convenuto in giudizio dagli eredi B., risultando vittorioso in primo e secondo grado rispetto alle domande proposte da questi ultimi nei suoi confronti:
in ragione di ciò, evidentemente, la sentenza di primo grado, non definendo il giudizio che nei suoi soli confronti, aveva liquidato le spese solo in suo favore, riservando alla sentenza definitiva il regolamento delle spese nei confronti delle altre parti.
Si impone dunque la cassazione sul punto della sentenza d’appello e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, può decidersi nel merito confermando la sentenza di primo grado quanto alla liquidazione delle spese in favore dell’odierno ricorrente, e condannando gli eredi B., in ragione della loro soccombenza, al pagamento in favore del predetto delle spese sia del giudizio di appello sia di questo giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
5. Quanto alle altre parti, la reciproca soccombenza giustifica la compensazione tra le stesse delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale e i ricorsi incidentali di L.C. e di A.R. e T.. In accoglimento del ricorso incidentale di A.S., cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, conferma la pronuncia sulle spese della sentenza non definitiva di primo grado e condanna S.d.M.T., B.O. e B.M. C. al pagamento in solido delle spese processuali in favore di A.S., che liquida, quanto al giudizio di appello, in complessivi Euro 15.000,00 – di cui Euro 12.000,00 per onorari, e quanto a questo giudizio di cassazione in complessivi Euro 14.200,00 – di cui Euro 14.000,00 per onorari – oltre, per entrambi i gradi, spese generali e accessori di legge. Compensa integralmente tra le altre parti le spese di questo giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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