Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 20-06-2013, n. 26853

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5 luglio 2012, la Corte di appello di Venezia, 1 sezione penale, confermava la sentenza del GUP del Tribunale di Vicenza appellata da M.G.I. e V.G., con la quale questi erano stati dichiarati colpevoli dei reati di utilizzo di carte di credito donate e condannati alla pena di due anni e seicento Euro di multa ciascuno nonchè di contraffazione di documenti e di false attestazioni dell’identità personale reati questi ultimi per i quali erano stati condannati alla pena di nove mesi di reclusione ciascuno, fatti commessi in (OMISSIS).

La Corte territoriale, rammentato che gli imputati avevano ammesso la loro responsabilità e che l’appello era stato proposto solo per ottenere il riconoscimento delle attenuanti generiche e della continuazione, osservava che la reiterazione degli episodi illeciti e il tentativo di celare la vera identità erano dimostrativi di proclività a delinquere mentre la diversità dei reati commessi rendeva evidente la diversità dell’ animus, sicchè la sentenza doveva essere confermata.

Contro tale decisione hanno proposto tempestivo ricorso gli imputati, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi:

– a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) ed e) in relazione all’art. 81 cod. pen., art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) per erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione, perchè la contraffazione dei documenti di identità è strumentale all’utilizzo fraudolento delle carte di credito e anche alì esigenza di celare la propria vera identità in caso di controllo da parte della polizia;

– a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B) ed e) in relazione all’art. 62-bis cod. pen., art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e) per erronea applicazione della legge penale e mancanza di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, perchè gli imputati hanno tenuto un corretto comportamento processuale, avendo ammesso gli addebiti e declinati le proprie vere generalità al giudice in sede di convalida dell’arresto.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per genericità. Con esso infatti i ricorrenti si limitano a reiterare le critiche svolte con l’appello, senza nulla osservare in riferimento alla motivazione della sentenza impugnata, che ha ricondotto la serialità delle condotte illecite a sintomo della "proclività a delinquere" anzichè ad un medesimo disegno criminoso, motivazione che, in quanto non specificamente criticata, resiste come valido argomento a sostegno della decisione adottata sul punto.

2. Il secondo motivo di ricorso è dedotto in maniera inammissibile, perchè a fronte della motivazione della sentenza impugnata, che ha valorizzato la proclività a delinquere in ragione sia della reiterazione delle condotte illecito di utilizzo delle carte donate sia del tentativo di conseguire l’impunità mediante la falsa indicazione delle generalità e l’esibizione di documenti falsificati, ha sollecitato una valutazione alternativa in considerazione della successiva ammissione di responsabilità ed indicazione delle vere generalità, valutazione che attiene al merito e come tale non è consentita in questa sede.

L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.

Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).

3. I ricorrenti debbono essere in conseguenza condannati al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della cassa delle ammende che, in ragione dei profili di colpa rinvenibili nelle rilevate cause di inammissibilità, si quantifica in mille/00 Euro ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2013

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