Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 20-06-2013, n. 26852

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Svolgimento del processo

Con sentenza in data 26 gennaio 2012, la Corte di appello di Bari, 3 sezione penale, confermava la sentenza del Tribunale in sede appellata da K.T., con la quale questi era stato dichiarato colpevole di ricettazione e detenzione per la vendita di merce riproducente i loghi e i marchi contraffatti di note griffes nazionali ed estere e condannato, ritenuta I’ ipotesi attenuata di cui al capoverso dell’art. 648 cod. pen., concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di un anno di reclusione e trecento Euro di multa.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, che ne ha chiesto l’annullamento per violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 648 e 474 cod. pen. nonchè mancanza e manifesta illogicità della motivazione per avere la sentenza impugnata tratto il convincimento della contraffazione esclusivamente dalle modalità della vendita e di confezionamento senza esperimento di alcuna perizia, non potendosi escludere che si trattasse di merce incautamente acquistata. Il trattamento sanzionatorio risultava sproporzionato rispetto alla gravità dei fatti. I reati erano comunque estinti per prescrizione.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, perchè mera reiterazione delle doglianze mosse con l’appello, compiutamente analizzate dalla Corte territoriale che ha tenuto conto degli accertamenti di polizia giudiziaria dai quali ha dedotto, con motivazione non manifestamente illogica, come tale non censurabile in questa sede, la falsità del marchi e quindi la ricettazione della merce non solo dalle modalità di vendita e di confezionamento ma anche dalla mancata esibizione dei certificati attestanti la provenienza della merce stessa. La critica a tale motivazione è inoltre formulata in maniera generica, perchè ipotetica, attraverso l’indimostrato ed incerto assunto di provenienza della stessa da delitti di furto o appropriazione indebita.

2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perchè formulato mediante la sollecitazione di una ulteriore valutazione di merito, in ragione di affermata sproporzione rispetto alla scarsa rilevanza dei fatti, come tale non consentita in questa sede. L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostenere il suo convincimento o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula infatti dai poteri della Corte di cassazione quello della "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice del merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Cass. S.U. 30.4/2.7.97 n. 6402, ric. Dessimone e altri; Cass. S.U. 24.9-10.12.2003 n. 47289, ric. Petrella).

3. Il conseguenza è manifestamente infondato anche l’ultimo motivo di ricorso, perchè al momento della pronuncia della sentenza di appello neppure il delitto di cui all’art. 474 c.p. era prescritto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2013

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