Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-08-2012, n. 14377

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Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 25 giugno 2010, la Corte d’Appello di L’Aquila, accoglieva il gravame svolto da B.R. contro la sentenza di primo grado che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimatogli dalla XXX s.p.a., in data 14.11.2006, per superamento del periodo di comporto.
2. La Corte territoriale puntualizzava che non era in contestazione tra le parti la durata dell’assenza, pari a complessivi 465 giorni, ma l’interpretazione della clausola del contratto collettivo di categoria sulla regolamentazione del periodo di comporto discutendosi, in particolare, se nel predetto periodo dovessero ricomprendersi tutte le assenze per motivi di salute, da qualunque causa determinate (malattia, infortuni, infortuni sul lavoro), nel qual caso nella specie sarebbe stato superato, o se esso dovesse limitarsi esclusivamente alle assenze per malattie, nella specie al di sotto del periodo di comporto, dovendosi detrarre i 184 giorni di assenza del lavoratore per infortunio sul lavoro.
3. A sostegno del decisum la Corte territoriale riteneva che le parti sociali avessero fatto riferimento esclusivamente all’evento malattia, tenendo distinti malattia e infortuni non professionali dagli infortuni professionali i quali non incidevano sul comporto, onde doveva ritenersi illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore, atteso il mancato superamento del periodo di comporto (periodo di malattia 281 giorni a fronte dei 365 richiesti dal contratto).
4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la XXX s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi. L’intimato ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità ed infondatezza del ricorso.
Motivi della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 51 del C.C.N.L. 19.12.2007 per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi e violazione e falsa applicazione delle regole di ermeneutica contrattuale, artt. 1362 e ss. c.c..
Assume la ricorrente che, diversamente da quanto statuito dalla corte territoriale, la contrattazione collettiva ha previsto un unico termine di comporto con riferimento sia alle assenze per malattia che all’infortunio, senza distinzione, relativamente a quest’ultimo, tra non professionale e professionale; nè vi è alcun elemento sufficiente di identificazione di una volontà delle parti negoziali volta a fissare una differenziata disciplina in ragione della cause delle assenze (se derivanti o meno da malattia) e di quella degli infortuni (se verificatasi o meno sul lavoro), in riferimento al termine di comporto che appare unico in entrambi i casi. Nessuna esplicita previsione farebbe ritenere che in caso di infortunio sul lavoro le assenze debbano essere escluse dal computo per il raggiungimento del comporto.
6. Con il secondo motivo di ricorso, denunciando la violazione dell’art. 2110 c.c. e L. n. 604 del 1966, art. 3 la ricorrente si duole che la Corte di merito abbia ritenuto che gli infortuni professionali non incidono sul comporto, riproponendo le censure già svolte con il primo motivo.
7. Con il terzo motivo di ricorso è denunciata omessa, insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per avere la Corte di merito omesso di motivare perchè in caso di infortunio non valessero i termini di comporto previsti dalla contrattazione collettiva e perchè le assenze per infortunio sul lavoro non potessero essere conteggiate ai fini del superamento del periodo di comporto.
8. I tre motivi, esaminati congiuntamente per la loro connessione logica, non sono meritevoli di accoglimento.
9. La giurisprudenza di questa Corte ha in più occasioni ribadito che, ai fini della tutela predisposta dall’art. 2110 c.c., l’infortunio sul lavoro deve essere equiparato alla malattia, senza che l’eventuale diversità dei rispettivi sistemi di accertamento sia di ostacolo a una loro considerazione unitaria a opera della contrattazione collettiva ai fini della determinazione del periodo di comporto per sommatoria (ex multis, Cass., 9187/1997; Cass. 4718/1998).
10. Si è anche sottolineato, però, che nessuna norma imperativa vieta che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento il richiamato art. 2110, quelle dovute a infortuni sul lavoro, nè tale esclusione – che è ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata – incontra limiti nella stessa disposizione che, come lascia ampia libertà all’autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, così non può intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale libertà, qual è quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi (v., ex multis, Cass. 9187/1997).
11. Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte (fra le altre, Cass. 28460/2008) ha affermato che nei casi in cui la contrattazione collettiva di categoria prevede nella lettera di alcune sue clausole un unico termine di comporto con riferimento sia alle assenze che all’infortunio, il giudice di merito deve accertare – all’esito di una interpretazione logico-sistematica di tutte le clausole che regolano l’istituto – se siano rinvenibili o meno nell’ambito della predetta contrattazione elementi sufficienti di identificazione di una volontà delle parti negoziali volta a fissare una indifferenziata disciplina, con la fissazione di un unico termine congruo di comporto (da valutarsi anche con riferimento alla specificità dell’attività spiegata dal datore di lavoro), sia per le assenze che per gli infortuni o se, di contro, siano riscontrabili, all’interno della stessa contrattazione, elementi che attestino una diversa volontà e che siano anche sufficienti all’individuazione di termini di comporto differenziati in ragione della causa delle assenze (se derivanti o meno da infortunio) e di quella degli infortuni (se verificatisi o meno sul lavoro). Solo nell’eventualità che si riscontri un’assoluta carenza di disciplina pattizia, il giudice può determinare, secondo equità, il periodo di comporto per sommatoria, tenendo conto, in concreto, della causa dell’assenza dal lavoro e, quindi, del fatto che detta assenza sia imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata, al fine proprio di differenziare i termini di comporto e di determinare la durata del comporto per sommatoria in ragione della diversa causale delle assenze dal lavoro.
12. Tanto premesso, l’art. 51 del C.C.N.L. 19.12.2007 per il personale dipendente da imprese esercenti servizi di pulizia e servizi integrati/multi servizi, applicabile nella specie, recita:
"Il diritto alla conservazione del posto viene a cessare qualora il lavoratore anche con più periodi di infermità raggiunga in complesso 12 mesi di assenza nell’arco di 36 mesi consecutivi. Ai fini del trattamento di cui sopra si procede al cumulo dei periodi di assenza per malattia verificatisi nell’arco temporale degli ultimi 36 mesi consecutivi che precedono l’ultimo giorno di malattia considerato". L’u.c., predetto art., preceduto dalla sottorubrica "trattamento economico per malattia e infortunio per gli operai", recita: "Nei casi di infortuni sul lavoro, all’operaio sarà corrisposto il 100% della retribuzione globale a decorrere dal 2 giorno e fino a guarigione clinica".
13. All’evidenza, le parti stipulanti hanno inteso assicurare agli operai infortunati, all’esito di eventi occorsi sul lavoro, l’erogazione della retribuzione sino alla guarigione clinica, id est la permanenza dell’obbligazione a carico del datore di lavoro pur in assenza della controprestazione lavorativa, condizionata alla guarigione clinica e, pertanto, raccordata ad una variabile, la guarigione per l’appunto, cui rimane indipendente la progressione temporale alla quale è non indefinitamente legato il periodo di comporto.
14. Più semplicemente, mal si concilierebbe, palesando un’evidente contraddizione, una disposizione negoziale che, da un lato, obbligasse il datore di lavoro ad erogare indefinitamente la retribuzione fino alla guarigione, così conferendo continuità giuridica al rapporto di lavoro, dall’altro, per lo stesso evento, imponesse l’esercizio della potestà risolutoria sommando, quella peculiare condizione del lavoratore, infortunatosi sul lavoro e fruente della retribuzione fino alla guarigione, ad altre condizioni di salute del lavoratore ostative della prestazione lavorativa e temporalmente rilevanti agli effetti della cessazione del diritto alla conservazione del posto. Insomma si attribuirebbe alla parti sociali l’introduzione di una disciplina ambivalente e contraddittoria nella regolamentazione del medesimo evento, l’infortunio sul lavoro.
15. Il richiamo, nelle numerose clausole dell’art. in esame, ad eventi inerenti alla salute del lavoratore, menzionati in termini di malattia, infermità, infortunio non professionale, non può non evocare, per evitare di cadere nella menzionata contraddizione, la radicale divisione, agli effetti della regolamentazione del periodo di comporto, tra l’infortunio professionale e tutti gli altri eventi che incidendo sulla salute del lavoratore ne impediscono la prestazione lavorativa.
16. L’interpretazione in tali termini della disposizione de qua è, peraltro, in linea con il principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata.
17. Pertanto, correttamente e con motivazione immune da censure e da vizi logici, la Corte di merito ha ritenuto illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore a cagione del superamento del periodo di comporto, ritenendo, alla stregua della regolamentazione negoziale collettiva, non doversi includere l’assenza per infortunio sul lavoro e, conseguentemente, non decorso il periodo di comporto.
18. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in Euro 40,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.
Cosi deciso in Roma, il 23 maggio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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