Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-05-2013) 19-06-2013, n. 26694

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L.R., con l’assistenza del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con la quale, in data 9 agosto 2012, il GIP del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha convalidato il fermo disposto a suo carico, ai sensi dell’art. 384 c.p.p., su richiesta della DDA della Procura della repubblica di Napoli ed applicato, nel medesimo contesto, la misura cautelare della custodia in carcere giacchè condannato in prime cure per il reato di cui all’art. 416-bis c.p. ed una serie di reati fine e perchè anche per questo ricorrente il pericolo di fuga dell’imputato.

2. Con l’impugnazione denuncia la difesa ricorrente violazione di legge perchè eseguito il fermo ai sensi dell’art. 384 c.p.p. in danno di soggetto che non poteva essere ritenuto indiziato di reato ed al di fuori della fase delle indagini preliminari, eppertanto in assenza delle condizioni di legge.

3. Con motivata requisitoria scritta il P.G. in sede concludeva per il rigetto del ricorso.

4. La doglianza è infondata.

Giova premettere che a carico di L.R. è stata emessa in data 26.5.2008 ed eseguita il 13.6 successivo ordinanza cautelare in carcere per i delitti dì partecipazione ad associazione di stampo camorristico ed estorsione; il 9.5.2012 il tribunale davanti al quale si celebrava il giudizio ordinario rigettava la richiesta difensiva di dichiarare la inefficacia del provvedimento cautelare per decorrenza dei termini di fase, inefficacia viceversa dichiarata il 6.8.2012 dal Tribunale del riesame in sede di appello avverso il provvedimento del giudice del merito, il quale da parte sua, il 12.6.2012, condannava l’imputato alla pena di anni diciassette di reclusione e 3200,00 euro di multa in relazione al reato associativo ed agli altri reati fine; il 9.8.2012 la Procura della repubblica di Napoli decretava il fermo del L. quale indiziato di reato, provvedimento convalidato dal GIP con l’ordinanza in scrutinio. Tanto premesso ribadisce il Collegio che si appalesa infondata la tesi difensiva che accredita la illegittimità del decreto di fermo per pretesa limitazione dei poteri coercitivi "precautelari" del P.M. alla sola fase delle indagini preliminari.

Questa Corte ha invero ripetutamente chiarito che, in presenza dei presupposti previsti dall’art. 384 c.p.p., comma 1, il fermo di persona indiziata di delitto può essere reiterato dal P.M. anche nei confronti di persona detenuta per un precedente titolo di custodia cautelare che debba essere rimessa in libertà per ragioni esclusivamente formali (confr. Cass. 2 febbraio 2005, n. 8124; Cass., sez. 4, 22.2.2008, n. 13199).

Il potere di fermo è pertanto validamente esercitato dal pubblico ministero, ricorrendo i presupposti dei gravi indizi e del pericolo di fuga, anche se la fase delle indagini preliminari è già conclusa, sicchè il giudice per le indagini preliminari, richiesto della convalida del fermo, è comunque tenuto a prendere in esame la contestuale richiesta di applicazione di misura cautelare (Cass., Sez. 2, 20/12/2006, n. 1331, rv. 235815).

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa ricorrente, infatti, nessuna disposizione di legge vieta che, sussistendone i presupposti, sia emesso dal P.M. provvedimento di fermo dopo che sia esaurita, per motivi esclusivamente formali, la vicenda relativa a un precedente titolo di custodia cautelare. Ed invero il potere del P.M. di disporlo ha come unico presupposto l’esistenza di "specifici elementi" che facciano ritenere "fondato il pericolo di fuga" della persona gravemente indiziata di uno dei delitti indicati nell’art. 384 c.p.p..

Nè siffatte conclusioni sono scalfite dai rilievi di carattere sistematico svolti dal ricorrente: e invero, il secondo comma dell’art. 384 c.p.p., al pari del capoverso successivo, regolamenta e limita i poteri di fermo della polizia giudiziaria, non già del pubblico ministero, mentre l’art. 307, comma 4, disciplina una figura affatto peculiare di fermo, quella disposta, ancora una volta dagli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti alla diversa misura cautelare applicatagli ai sensi del comma 1, o versando nelle condizioni previste dal comma 2, lett. b) della medesima disposizione, "stia per darsi alla fuga".

Entrambe le norme, dunque, lungi dall’avere una funzione delimitativa, con procedimento a contrario, del potere di fermo del P.M., dettano le condizioni in cui esso può essere esercitato dalla polizia giudiziaria.

La correttezza di siffatta opzione ermeneutica è del resto avvalorata dal rilievo della gravissima lacuna altrimenti insita nel sistema, che proprio in casi come quello oggetto del giudizio equo non conoscerebbe strumento idoneo a bloccare illic et statim la persona gravemente indiziata di reato della quale si abbia ragione di ritenere che stia per darsi alla fuga.

Non è superfluo aggiungere, infine, che la giurisprudenza di legittimità, ferma sulle posizioni innanzi enunciate, si è piuttosto divisa sulla necessità, ai fini della legittimità del fermo, che l’indagato sia stato preventivamente posto in libertà (in senso negativo, Cass. n. 8124 del 2005, già citata, e n. 7082 del 2005; in senso affermativo, invece, Cass. n. 3867 del 1999 e n. 286 del 1998), problema che per la verità nella fattispecie il ricorrente non ha comunque prospettato.

5. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013

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