Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 10-08-2012, n. 14371

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Svolgimento del processo
La società XXX di C.V. convenne, davanti al tribunale di Urbino, la società XXX srl al fine di ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione dell’immobile adibito a palestra e centro estetico ed il risarcimento dei danni derivanti dalla mancata rimozione dei vizi e difetti strutturali dell’immobile locato; tali da comprometterne la salubrità e l’agibilità; ragione per la quale il Sindaco di XXX, con l’ordinanza n. 11 del 14.7.2008 aveva ordinato alla conduttrice la sospensione dell’attività di palestra.
La convenuta, costituitasi, contestò la fondatezza della domanda, nonchè l’illegittimità dell’ordiananza sindacale sostenendo, in particolare, che il provvedimento era stato emesso nei confronti della sola attrice, cosicchè era ad essa stata preclusa la possibilità di impugnarlo. Concluse chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti. La stessa convenuta, poi, chiese ed ottenne di chiamare in causa il Comune di XXX "affinchè partecipi al giudizio incidentale di declaratoria di disapplicazione della impugnata Ordinanza n. 11 del 14 luglio 2008 ed affinchè, in ipotesi di accoglimento anche solo parziale della spiegata domanda attorea in conseguenza della disposta sospensione della attività di palestra per effetto della medesima Ordinanza Sindacale, i conseguenti danni siano imputati alla esclusiva responsabilità del Comune medesimo con condanna di quest’ultimo ad ogni eventuale risarcimento che sarò accertato e liquidato, con contestuale esclusione di ogni responsabilità in merito, della convenuta XXX Srl". Il Comune, sulla sua chiamata, eccepì il difetto di giurisdizione del giudice ordinario.
La XXX, a sua volta, chiamò in causa, a fini di garanzia, la XXX Assicurazioni.
Il tribunale, con sentenza del 29.1.2010, dichiarò il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda avanzata dalla XXX srl nei confronti del Comune di XXX, indicando nel TAR Marche il giudice fornito di giurisdizione e disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio sulle altre domande.
Ad eguale conclusione giunse la Corte d’Appello che, con sentenza del 4.3.2001, rigettò l’appello proposto dalla XXX srl.
Quest’ultima ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Comune di XXX.
Le altre parti intimate non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione L. 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5, all. E – artt. 103 e 113 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 1.
Sostiene di vantare, nella vicenda oggetto del presente giudizio, una posizione di diritto soggettivo, e non di interesse legittimo, come affermato dalla Corte di merito.
Il motivo non è fondato.
Il giudizio promosso s’incentra su due rapporti.
Da un lato, vi è il rapporto privatistico tra la locatrice XXX srl e la conduttrice XXX, con riferimento al quale la seconda agisce, nei confronti della prima, al fine di ottenere la risoluzione del contratto di locazione ed il risarcimento dei danni "derivanti dalla mancata rimozione dei vizi e difetti strutturali relativi all’immobile locato tali da compromettere la salubrità e l’agibilità dello stesso" (così la sentenza impugnata).
Dall’altro, vi è il rapporto tra la XXX srl ed il Comune di XXX, dalla convenuta chiamato in giudizio con la richiesta che, in ipotesi di accoglimento anche solo parziale della domanda, i conseguenti danni fossero imputati alla responsabilità esclusiva dell’Ente convenuto, con condanna di quest’ultimo ad ogni eventuale risarcimento.
I due rapporti sono collegati per le ragioni che seguono.
La responsabilità che la conduttrice fa valere nei confronti della locatrice attiene al rapporto di locazione ed all’utilizzo dell’immobile locato, sacrificato dalla presenza di vizi tali da giustificare la richiesta di risoluzione del contratto concluso fra le parti ed il risarcimento dei danni.
In ordine ad una domanda in tali termini formulata, l’eventuale inadempimento imputabile alla XXX srl si fonda, in prima battuta, sulla violazione della norma di cui all’art. 1578 c.c. – ed eventualmente dell’art. 1585 c.c. -, compromettendo, i supposti vizi, l’integrità della cosa locata in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento, secondo la destinazione contrattuale (v, per un caso analogo anche Cass. 7.2.2012 n. 1694).
Ma il locatore deve, in ogni caso, garantire il conduttore per la piena e normale utilizzazione del bene locato.
Ed, a tal fine, la locatrice XXX srl chiama in causa il Comune di XXX per l’ordinanza sindacale emessa in difetto dei suoi presupposti; con ciò chiedendo, in sostanza, di essere garantita dal Comune, perchè l’eventuale inadempimento – con la richiesta di risoluzione del contratto di locazione – fonda le sue radici nella ritenuta illegittimità dell’ordinanza sindacale.
Ed allora, nel rapporto privatistico fra la XXX srl e la XXX – in ordine al quale la locatrice dovrà difendersi dalla imputazione di inadempimento – entra quello di garanzia, definibile impropria, da parte del Comune.
In quest’ottica, va incidentalmente evidenziato che la chiamata in garanzia ricomprende sia i casi di garanzia propria sia quelli di garanzia impropria.
La prima si ha quando la causa principale e quella accessoria abbiano lo stesso titolo, ovvero quando ricorra una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande; la seconda si configura quando il convenuto tenda a riversare su di un terzo le conseguenze del proprio inadempimento, in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale, ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (Cass. 29.9.2009, n. 17688; Cass. 30.9.2005, n. 19208).
Ed è di tutta evidenza che la normativa civilistica sia applicabile anche quando sia la pubblica amministrazione a prestare la garanzia.
Ma, una volta riconosciuta sussistere questa situazione giuridica – che di per se stessa potrebbe comportare che la relativa azione sia conoscibile dal giudice ordinario, ricorrendo un’ipotesi di connessione per garanzia con il rapporto principale – è necessario compiere un ulteriore passaggio logico ed argomentativo.
In questo caso, l’azione di garanzia che l’odierna ricorrente pretende di esercitare nei confronti della pubblica amministrazione nasce dalla ritenuta illegittimità dell’ordinanza contingibile ed urgente, perchè emessa in carenza dei presupposti che la qualificano (v. sul punto anche S.U. 17.1.2002, n. 490).
Si sostiene, in definitiva, che il potere riconosciuto al Sindaco era stato illegittimamente esercitato, non sussistendo le ragioni di tutela della salute pubblica che il provvedimento mira a tutelare;
ragione per la quale l’ordinanza sarebbe stata emessa anche in una situazione di eccesso di potere sotto il profilo del difetto di proporzionalità dell’azione amministrativa (principio mutuato dall’ordinamento comunitario ).
In questo caso, la pubblica amministrazione non agisce nell’ambito di un rapporto privatistico, ma esercita pubblici poteri (quelli relativi all’emissione dell’ordinanza contingibile); il che comporta che si è in materia di giurisdizione esclusiva, non derogabile neppure per ragioni di connessione (in tal senso v. anche D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, lett. q): codice del processo amministrativo) (v. anche per un caso di ordinanza contingibile ed urgente seppure in diversa materia S.U, ord. 17.4.2009 n. 9152).
La relativa domanda deve, quindi, essere conosciuta dal giudice amministrativo.
In conclusione, quindi, seppure con i rilievi espressi, correttamente la Corte di merito ha ritenuto sussistere la giurisdizione del giudice ordinario con riferimento al rapporto privatistico fra XXX e XXX srl, e quella del giudice amministrativo nel rapporto fra quest’ultima ed il Comune di XXX.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione artt. 3, 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – principio di effettività della tutela giurisdizionale.
Sostiene che, essendo nell’impossibilità di proporre, davanti al giudice amministrativo, un’autonoma impugnazione del provvedimento sindacale, perchè emesso nei confronti di un soggetto terzo, l’unica possibilità per tutelare il proprio diritto fosse quello di introdurre, nel giudizio davanti al giudice ordinario, la domanda nei confronti del Comune.
Con il terzo motivo si denuncia la violazione principio di economicità del procedimento discendente dall’art. 111 Cost., comma 2 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3.
Sostiene la ricorrente che, per il principio di economia processuale di cui all’art. 111 Cost. "nel caso di specie avrebbe dovuto essere seguita la soluzione logica ed opportuna di conservare avanti al G.O. anche la domanda incidentale proposta avverso l’ordinanza comunale".
Tali motivi trattati congiuntamente, per la connessione delle censure con gli stessi proposti, non sono fondati, sia per le ragioni già esposte, sia sulla base delle seguenti considerazioni.
Nel caso in esame, l’attuale ricorrente non si è limitata a far valere vizi dell’atto amministrativo, al fine di ottenerne la disapplicazione nel rapporto privatistico con la XXX; e cioè per far dichiarare l’insussistenza delle pretese che XXX su quel provvedimento fondava, ma ha fatto valere, nei confronti del Comune di XXX una forma di garanzia.
Ha, infatti, richiesto – come già detto – che, in caso di sua condanna nei confronti della conduttrice, gli eventuali danni riconosciuti in favore della XXX fossero imputati al Comune, contestando specifici vizi dell’ordinanza sindacale per l’assenza dei presupposti di esercizio di un tale potere sindacale di emettere ordinanze contingibili ed urgenti ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54, comma 2, e la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo.
E’ di tutta evidenza che il petitum sostanziale – rilevante ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, e che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (fra le tante S.U. ord. 11.10.2011, n. 20902) – integra una domanda finalizzata a far valere, nei confronti del Comune, una forma di garanzia – impropriamente definita quale risarcimento del danno – conseguente alla sostenuta illegittimità dell’attività provvedimentale della pubblica amministrazione; attività che, investendo un potere esercitato in carenza dei suoi presupposti, non può che essere oggetto di esame da parte del giudice amministrativo.
Il che toglie pregio alla circostanza, prospettata dall’odierna ricorrente, secondo cui essa non avrebbe potuto impugnare l’ordinanza sindacale, perchè emessa non nei suoi confronti.
Davanti al giudice amministrativo, infatti, l’odierna ricorrente potrà far valere la garanzia che pretende da parte della pubblica amministrazione per l’uso illegittimo dell’ordinanza sindacale.
Ne deriva che, in una tale situazione sostanziale, la giurisdizione del giudice amministrativo non può essere messa in dubbio, concernendo il rapporto di garanzia fra un privato e la pubblica amministrazione, fondato sulla ritenuta illegittimità del potere esercitato.
I principi di effettività della tutela e di economia processuale – prospettati dalla ricorrente – non possono, quindi, in questa ipotesi, fondare "un’attrazione" della domanda proposta nei confronti del Comune di XXX, davanti a giudice sfornito di giurisdizione sul punto; con la conseguente loro inapplicabilità.
Neppure sussiste, per le ragioni già evidenziate, quella connessione fra le domande proposte, oggetto di distinte giurisdizione, che possa legittimarne lo spostamento da uno ad un altro giudice.
Il riferimento, quindi, al valore della concentrazione della tutela giurisdizionale, nel segno della sua effettività, nel quadro del principio costituzionale del giusto processo – e come premessa di un più impegnativo corollario, rappresentato dal principio di tendenziale unicità della giurisdizione al fine di non rendere difficile la tutela dei diritti (S.U. 19.4.2012, n, 6102; Cass., Sez. Un. 17 novembre 2011 n. 24078, 16 novembre 2007 n. 23731, 26 luglio 2005 n. 15660) -, non può, in questo caso, operare come criterio di collegamento per una sua estensione oltre l’ambito specifico proprio ed esclusivo delle diverse ed esclusive giurisdizioni.
Conclusivamente, il ricorso è rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e, liquidate come in dispositivo in favore del resistente, sono poste a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida, in favore del resistente, in complessivi Euro 7.000,00 di cui Euro 6.800,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 24 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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