Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-05-2013) 19-06-2013, n. 26662

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 26 febbraio 2012 (depositata il 15 maggio successivo) la Corte di appello di Reggio Calabria, in riforma, quanto alla pena dappoichè esclusa l’aggravante dei futili motivi, di quella pronunciata dal Tribunale reggino il 27 gennaio 2011, condannava ad anni sei e mesi sei di reclusione, con le già concesse attenuanti, R.D., imputato del reato di cui agli artt. 81, 56 e 575 c.p., per aver tentato di uccidere in seguito a litigio per motivi di vicinato, L.G. ed il figlio di questi L.M., attingendoli ripetutamente dapprima con un coltello tipo machete e poi con un coltello a serramanico.

In (OMISSIS).

A sostegno della decisione i giudici di merito ponevano le testimonianze delle due parti lesi, gli accertamenti ospedalieri sulle lesioni cagionate in loro danno dalla condotta dell’imputato, le testimonianze di T.M., moglie e madre delle persone offese, di tale S., vicino di casa, che aveva disarmato l’imputato, dei condomini P. e C.. Interpretando il quadro probatorio in tal modo acquisito, i giudici di merito ricostruivano la vicenda di causa in termini che possono in tal guisa sintetizzarsi: la notte prima del fatto ed il mattino seguente, verso le ore sei, si erano uditi nel condominio teatro della vicenda forti rumori come di mobili spostati che si erano propagati in tutto il palazzo; a seguito di ciò i coniugi R.- L. avevano preso ad inveire contro T.M., come detto moglie e madre delle vittime, fino ad aggredirla fisicamente sull’uscio di casa giacchè ritenuta responsabile di quei rumori; in soccorso della moglie era accorso dapprima il marito, il quale a sua volta era stato affrontato e ferito dall’imputato armato di coltello; interveniva a questo punto in difesa del padre L.M., il quale si avventava contro il R. scaraventandolo a terra, rimanendo però anch’egli ferito dall’arma bianca impugnata ed usata dal prevenuto; a questo punto intervenivano altri condomini, tra i quali il S., il quale riusciva a disarmare il R. strappandogli di mano il coltello più grande e l’altro più piccolo.

2. Avverso detta sentenza ricorre per cassazione l’imputato, con l’assistenza del difensore di fiducia, che ne denuncia la illegittimità sviluppando un unico ed articolato motivo di impugnazione, con il quale denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), d) ed e), violazione di legge in relazione agli artt. 56, 575 e 582 c.p., mancata assunzione di una prova decisiva e difetto di motivazione al riguardo.

Deduce in particolare la difesa ricorrente: errata è la qualificazione giuridica data alla condotta del R., da riferirsi al reato di lesioni personali aggravate e non già al tentato omicidio plurimo; a sostegno della tesi difensiva sono stati indicati numerosi esiti processuali; in primo luogo la contraddittorietà in più punti della deposizione della teste T. quanto ai tempi ed ai modi dell’aggressione; detta teste ha ripetutamente affermato che l’obbiettivo degli aggressori ( R. e la moglie) era lei stessa e non già il marito ed il figlio, circostanza che escluderebbe, a ben vedere, il dolo omicidiario nei confronti delle vittime; la T. ha affermato che l’imputato aveva nella stessa mano due coltelli, mentre i giudici di merito accreditano la versione che al momento dell’aggressione il R. impugnasse un solo coltello; non è stata inoltre valutata la particolarità della testimonianza della T. la quale, benchè non parte civile, aveva ed ha un evidente interesse contrario a quello dell’imputato; la ricostruzione della p.l. L.G. è diversa da quella della moglie, perchè detta p.l. ha dichiarato che il R. salì le scale verso l’uscio della T. quando l’imputato, nel racconto della moglie, era invece già lì da tempo per minacciare la T.; anche la versione dell’altra vittima inserisce nuove contraddizioni rispetto al narrato del padre e della madre; L.M. infatti ha affermato di aver disarmato l’imputato che, per il padre, era già stato disarmato da lui stesso, e che il R. in quel momento era fermo; fu pertanto L. M. ad aggredire l’imputato e non viceversa; anche la tesi della Corte territoriale in ordine alla sussistenza nella fattispecie del dolo alternativo merita censura; le lesioni accertate sono tutte di lieve entità, sono da taglio e non da punta; su tale decisivo profilo fattuale è stata invano richiesta la perizia medica; vi è stato travisamento della prova là dove dalla modestia delle lesioni accertate è stata dedotta la volontà omicidiaria nella forma del dolo alternativo peraltro negando sul punto un accertamento peritale;

anche le parti del corpo attinte sono state apoditticamente considerate vitali senza alcun riferimento alla concretezza del caso e ad una valutazione critica calata nel contesto concreto; le parti lese sono state dimesse dopo poche ore dal loro ingresso in ospedale proprio per la superficialità delle lesioni riportate; non è stata considerata la specificità del ferimento di L.M., il quale ha riferito di essere stato lui ad aggredire l’imputato, circostanza questa che esclude la volontà omicida del R..

Con memoria difensiva depositata il 5 maggio 2013 la difesa ricorrente ha altresì argomentato al fine di ribadire le ragioni già diffusamente sviluppate col ricorso principale e di arricchirle con recentissima lezione giurisprudenziale.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Giova qui ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un’altra, ancorchè altrettanto logica (cfr. Sez. 4^, n. 15227 dell’11/4/2008, Baratti, Rv.239735; Cass. sez. 2^, sentenza n. 7380 dell’11/01/2007, Rv.

235716, imp. Messina; Sez. 6^, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv.

223061).

Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di un’ampia e lodevolmente esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi ricostruire uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata. Quanto alla ricostruzione degli accadimenti la Corte di merito ha infatti valorizzato non solo la testimonianza della T., come riduttivamente denunciato dalla difesa dell’imputato, ma anche quella di altri coinquilini che hanno seguito lo svolgersi dei fatti, financo intervenendo, il S., per disarmare l’imputato dei due coltelli usati per ferire le parti lese. Ed in relazione a dette risultanze processuali, al sequestro dei due coltelli, agli accertamenti di polizia giudiziaria sui luoghi, agli accertamenti ospedalieri sulle vittime al momento del loro ricovero le certosine individuazioni difensive di contraddizioni nel racconto di protagonisti e testimoni non involge mai profili sostanziali e decisivi per modificare significativamente la versione assunta come veritiera dai giudicanti. Gli aggressori furono senza possibilità di incertezze i coniugi R., le armi utilizzate furono certamente quelle poi sequestrate, le ferite inferte non poterono che essere cagionate dal loro uso da parte del R., le lesioni cagionate dall’azione delittuosa per cui è causa sono quelle oggettivamente descritte dai certificati ospedalieri.

Orbene, su nessuna di questi fondati dati fattuali le rilevate contraddizioni dichiarative di pp.ll. e teste T. hanno efficacia sostanziale e decisiva.

3.2 Quanto, invece, alla qualificazione giuridica della condotta accertata, rileva il Collegio che la motivazione impugnata appare giuridicamente e logicamente corretta, oltre che coerente con l’insegnamento di questa corte di legittimità. Secondo tale insegnamento infatti, in tema di omicidio volontario, in mancanza di circostanze che evidenzino "ictu oculi l’animus necandi", la valutazione dell’esistenza del dolo omicidiario può essere raggiunta attraverso un procedimento logico d’induzione da altri fatti certi, quali i mezzi usati, la direzione e l’intensità dei colpi, la distanza del bersaglio, la parte del corpo attinta, le situazioni di tempo e di luogo che favoriscano l’azione cruenta (Cass., Sez. 1^, 08/06/2007, n. 28175; Cass., Sez. 1^, 16/12/2008, n. 5029; Cass., Sez. 1^, 14/02/2006, n. 15023).

Con riferimento specifico poi all’ipotesi dell’omicidio solo tentato, ai fini dell’accertamento della volontà omicidiaria assume valore determinante l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, senza essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, dovendosi diversamente l’azione ritenersi sempre inidonea, per non aver conseguito l’evento, sicchè il giudizio di idoneità è una prognosi, formulata "ex post", con riferimento alla situazione così come presentatasi al colpevole al momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare (Cass., Sez. 1^, 23/09/2008, n. 39293). Ne consegue che ricorre la fattispecie di tentato omicidio, e non quella di lesioni personali, se il tipo di arma impiegata e specificamente l’idoneità offensiva della stessa, la sede corporea della vittima raggiunta dal colpo di arma e la profondità della ferita infetta inducano a ritenere la sussistenza in capo al soggetto agente del cosiddetto "animus necandi". (Cass., Sez. 1^, 22/09/2010, n. 37516).

Gli esposti principi risultano puntualmente applicati dalla Corte territoriale con argomentazioni, anche per quanto concerne la ritenuta non necessità di approfondimenti peritali, alle quali la difesa ricorrente oppone, giova ribadirlo, nulla più che una alternativa valutazione degli esiti processuali.

La Corte territoriale ha innanzitutto valorizzato le dimensioni dei due coltelli, rispettivamente di cm. 32 e di c. 20, eppertanto logicamente considerati micidiali, idonei cioè ad uccidere e, con esse, le circostanze dell’essersi armato, da parte dell’imputato, di due armi micidiali, di averle utilizzate entrambe, di aver insistito nell’azione aggressiva anche dopo essere stato disarmato di una delle due, a riprova di una pervicace e ferma intenzione di cagionare lesioni serie, incurante delle conseguenze. La Corte inoltre ha fondato il giudizio ricognitivo del dolo omicidiario alternativo in capo all’imputato sulla reiterazione dei colpi e considerando le parti anatomiche attinte; per L.M., l’ipocondrio sinistro e cioè la cavità addominale dove si trova lo stomaco, la milza e parte del rene, per L.G., l’emitorace, dove si trovano i polmoni.

4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso deve essere pertanto rigettato ed il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013

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