Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-05-2013) 19-06-2013, n. 26661

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Verso le ore 20 del 10 marzo 2009, mentre si trovava alla guida di una Fiat Panda in una strada dell’abitato di (OMISSIS), E. N. veniva raggiunto da nove colpi di pistola che ne cagionavano la morte; il teste P.P. riferiva di essere uscito dal suo locale dopo l’esplosione dei colpi e di aver per questo notato allontanarsi velocemente un motociclo con due persone a bordo. Le immediate indagini attivate dalle forze dell’ordine conducevano i CC, ad eseguire una perquisizione presso l’abitazione di tale D. G., individuato quale corresponsabile di una lontana rapina consumata in concorso con la vittima, dove, assenti tutti i famigliari del padrone di casa, alle ore 2.15 venivano identificati G.A. e F.L., a carico dei quali veniva poi elevata l’accusa di omicidio dell’ E. con i connessi reati in materia di armi. A carico degli imputati gli inquirenti ponevano: le dichiarazioni della moglie della vittima; le intercettazioni telefoniche ed ambientali eseguite per captare le dichiarazioni della stessa e delle sorelle, comprovanti la programmazione di un appuntamento tra la vittima ed il G. per l’ora del delitto al fine di regolare pendenze economiche tra i due; il comprovato impegno del clan Moccia a versare alla vedova aiuti economici; gli esami dei tabulati delle telefonate eseguite nell’imminenza dell’azione omicidiaria dal G., probanti della sua presenza sul luogo del delitto nell’imminenza di esso; la presenza di una traccia di polvere da sparo, da contatto, sul giubbotto del G.; piccole macchie di sangue della vittima trovate sulle scarpe del F..

In forza del sintetizzato quadro probatorio la Corte di assise di Napoli, con sentenza del 12 maggio 2010, condannava G. A. e F.L. alla pena dell’ergastolo dappoichè ritenuti colpevoli, in concorso, dell’omicidio premeditato di E.N. e dei reati in materia di armi collegati e meglio indicati in rubrica.

Avverso la sentenza proponevano appello gli imputati contestando la utilizzabilità delle intercettazioni, la gravità indiziaria a loro carico, l’insussistenza della premeditazione e dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7.

La Corte adita, con sentenza del 7 marzo 2012, rigettava ogni motivo di doglianza e confermava la pronuncia appellata.

2. Hanno impugnato la condanna di secondo grado, con ricorso per cassazione, sia il G., successivamente suicidatosi in carcere il (OMISSIS), sia F.L.; questi, con l’assistenza del difensore di fiducia, avv. DAVINO Claudio, ha sviluppato due motivi di doglianza.

2.1.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge in relazione all’art. 192 c.p.p. e difetto di motivazione per avere i giudici di merito desunto la colpevolezza dell’imputato da un unico indizio a carico, in particolare osservando: i giudici territoriali hanno valorizzato ai fini della condanna la presenza di macchie di sangue riconducibili alla vittima sulle scarpe dell’imputato, circostanza questa che prova soltanto la presenza sul luogo del delitto, ma non certo la sua partecipazione all’omicidio;

il contrario convincimento della Corte di secondo grado poggia su argomentazioni incomplete dappoichè non considerati i rilievi difensivi e violato il principio dell’oltre ragionevole dubbio; il giudice a quo ha valorizzato l’appuntamento programmato tra il G. e la vittima, appuntamento al quale il ricorrente era del tutto estraneo; quanto alle macchie di sangue ritrovate sulle scarpe del F., questi ha dichiarato di essersi recato a casa del D. dopo aver visto la vittima ormai cadavere all’interno dell’auto, perchè in quel momento si trovava in un vicino bar, di guisa che in quei momenti può essersi sporcato la suola delle scarpe; lo stato dell’autovettura della vittima dimostra che al momento dell’agguato essa era in lento movimento e questo esclude la ricostruzione dei fatti accreditata in prime cure poi confermata in secondo grado; tanto dimostra che i colpi furono sparati dal motociclo verso l’autovettura, circostanza questa che esclude la possibilità di rinvenire macchie di sangue su entrambe le scarpe dell’attentatore; ma anche a voler presumere che il killer abbia sparato da terra, ciò rende comunque incomprensibile il rinvenimento di tre tracce sulla scarpa destra e tre tracce sulla scarpa sinistra, tutte sui lati esterni e nella parte inferiore, come se il sangue avesse seguito una innaturale traiettoria dal basso verso l’alto; per il brigadiere D.N., inoltre, la traccia di sangue era da calpestamento e non da schizzo; di qui la contraddittorietà della ricostruzione accreditata dai giudicanti e la coerenza, viceversa, della versione difensiva; l’inquadramento del F. nel clan Moccia è provato, attraverso una sorta di proprietà transitiva, dall’inserimento nel clan del coimputato G.; la documentazione fotografica dimostra che sul selciato non vi erano macchie di sangue e che queste sono riscontrabili soltanto all’interno dell’autovettura della vittima; gli spari non furono esplosi da fermo ma in movimento e questo è dimostrato dallo stato dell’auto, dalla collocazione dei bossoli, dalla direzione degli spari, circostanze queste in contrasto con la motivazione impugnata che afferma il contrario; il giudice dell’appello non riesce a spiegare in quale modo sarebbe avvenuto detto imbrattamento se non calpestando oggetti intrisi di sangue; in assenza di logiche ricostruzioni, rimane l’ipotesi della contaminazione dei reperti; il m.llo dei CC sentito come teste non ha ricordato in dibattimento su quale scarpa e dove avesse visto le macchie di sangue; le scarpe non sono state sigillate subito ma dopo cinque giorni e su entrambe sono state rilevate tracce di sangue, mentre al momento dei rilievi iniziali le macchie interessavano una soltanto delle due scarpe; il combur test usato in caserma nella immediatezza dei fatti non rileva tracce secche ma la presenza ematica nell’urina, di guisa che non si comprende come abbia potuto il brigadiere D.N. riferire di un combur test su macchie secche rinvenute sulle scarpe; la dott.ssa I., capo biologo della Polizia scientifica, ha riferito che le tracce di sangue reperiate erano visibili ad occhio nudo, eppure non furono esse notate in caserma nell’imminenza dei fatti; la piattaforma indiziaria a carico del F. è del tutto inconsistente e comunque palesemente debole; la moglie della vittima ha coinvolto il G. ma non il F..

2.1.2 Col secondo motivo di impugnazione la difesa del F. denuncia violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’applicazione della L. n. 203 del 1991, art. 7, in particolare deducendo: erroneamente ritiene il giudice territoriale che l’appartenenza dimostrata a clan malavitosi di vittima ed imputati sia dimostrativa dell’agevolazione mafiosa contestata; l’aiuto economico alla moglie della vittima offerto dal clan dimostra che l’azione omicidiaria era al di fuori degli interessi di esso; non è stata provata la riconducibilità agli interessi della struttura mafiosa del fatto per cui è causa.

2.2. Distinto ricorso nell’interesse del F. è stato altresì depositato a cura dell’avv. Gianzi Giuseppe, il quale sviluppa tre motivi di impugnazione.

2.2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente violazione di legge, anche processuale, e difetto di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, e art. 575 c.p., n. 3, in particolare osservando e deducendo: la colpevolezza del F. è stata dichiarata sul dato indiziario che sulla parte inferiore delle sue scarpe sono state trovate tracce di sangue appartenente alla vittima e sulla circostanza che l’imputato la notte dell’omicidio fu trovato in casa del D. insieme al coimputato G. A., da ciò desumendo che il F. partecipò all’agguato omicida e che fu anzi proprio lui ad esplodere i colpi mortali; sui vestiti del F. non sono state trovate tracce si sangue; la replica motivazionale a tale dato e cioè che il F. si sarebbe cambiato d’abito, contraddice la circostanza che non abbia cambiato le scarpe; la moglie della vittima, che ebbe immediatamente a sospettare del G., nulla dice del F. che neppure conosce; il F. è estraneo all’appuntamento concordato tra la vittima ed il G. ed al movente ricostruito dai giudici (la pretesa economica della vittima verso il G.) non lo coinvolge neppure indirettamente; anche in relazione all’unico indizio a carico dell’imputato acquisito al processo, le macchie ematiche sulle sue scarpe, queste vengono lette in modi del tutto diversi dai giudici di prime cure e da quelli di appello; per i giudici di primo grado le macchie sono state cagionate da schizzi provocati dalla esplosione dei colpi, per la Corte di assise di appello, invece, le macchie sono da calpestio di vetri ed altro materiale sporco di sangue; il contrasto di letture evidenziato dimostra l’incertezza dell’indizio;

anche la presenza dell’imputato nelle ore notturne successive al delitto presso l’abitazione del D. non appare indizio grave; di qui i vizi denunciati in relazione alla disciplina codicistica di cui all’art. 192 c.p.p..

2.2.2. Col secondo motivo di ricorso denuncia ancora la difesa ricorrente violazione di legge, anche processuale, e difetto di motivazione in relazione alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e art. 575 c.p., n. 3, in particolare osservando e deducendo: il F. non ha mai fatto parte del clan Moccia; non spiega la sentenza le ragioni per le quali il contrasto tra G. e la vittima, con il conseguente omicidio, abbiano determinato un vantaggio per il clan di appartenenza; anche quanto al metodo deve osservarsi che l’azione omicidiaria non è affatto tipica dell’azione mafiosa.

2.2.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia infine la difesa istante violazione di legge e difetto di motivazione in relazione alla ritenuta aggravante della premeditazione, in particolare osservando e deducendo: la sentenza confonde la premeditazione con la preordinazione di mezzi ed uomini, con ciò contraddicendo l’insegnamento della Suprema Corte per la quale, oltre alla predisposizione dei mezzi, occorre un quid pluris al fine di configurare nel caso concreto l’aggravante in parola.

Motivi della decisione

1. Fondati, ritiene il Collegio, nei limiti che si passa ad esporre, i primi motivi di entrambi i ricorsi difensivi proposti nell’interesse di F.L., assorbenti dei restanti.

Appare utile premettere che a carico di detto imputato la Corte territoriale di secondo grado, ai fini dell’affermazione di colpevolezza, ha elencato: la certa presenza del F. sul luogo del delitto nel momento in cui esso veniva commesso; la sua grande amicizia con il coimputato G. e la frequentazione continua tra i due; l’essersi nascosto con il G., subito dopo l’omicidio, presso l’abitazione di D.G., preparata per questo (mancavano alle 2.00 di notte i familiari del padrone di casa); la certa colpevolezza del G., attesa la prova (deducibile dai tabulati telefonici) che egli era nelle vicinanze quando l’omicidio venne consumato, che è provato a suo carico un movente certo e che aveva egli appuntamento con la vittima per quella sera proprio per regolare pendenze economiche (i punti sono stati riferiti dalla vedova); l’essersi il F. nascosto presso il D. immediatamente dopo il delitto, giacchè la Gr., vedova della vittima, recatasi dal D. non appena appreso della morte del marito, li nota in quel luogo; i sospetti immediati nutriti dalla Gr., appresi i fatti, sul G. quale autore dell’omicidio; il ritrovamento sulle scarpe del F. di macchie di sangue riferibile alla vittima.

2. Non v’è dubbio che nella fattispecie i giudici territoriali siano stati pertanto chiamati a giudicare sulla base di prove di tipica valenza indiziaria, ma ciò hanno fatto, ad avviso del Collegio, non pienamente applicando le relative regole codicistiche sulla valutazione della prova dettate dall’art. 192 c.p., comma 2, dappoichè enfatizzata la portata probatoria di alcune acquisizioni processuali e per questo di poi contraddittoriamente interpretato (e motivato) il quadro complessivo del compendio indiziario.

E’ noto infatti che l’art. 192 c.p., comma 2, stabilisce che "l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti". Questo significa che la deduzione indiziaria deve muovere da dati fattuali certi dai quali, per inferenza basata su regole di esperienza consolidate ed affidabili, si può pervenire alla dimostrazione del fatto incerto da provare.

Poichè di norma il fatto indiziante è però sintomatico di una pluralità di fatti non noti, la relativa ambiguità indicativa può essere superata solo secondo un percorso logico che presuppone la previa valutazione di ogni singolo indizio; acquisitane la valenza indicativa – sia pure di portata possibilistica e non univoca – deve allora passarsi al momento metodologico successivo dell’esame globale ed unitario, attraverso il quale la polivalenza sintomatica di ciascun elemento probatorio può risolversi, perchè nella valutazione complessiva ciascun indizio sì somma e si integra con gli altri, di tal che l’insieme può assumere quel pregnante ed univoco significato dimostrativo che consente di ritenere conseguita la prova logica del fatto (cfr. Cass., Sez. Un., 4.2/4.6.1992, Musumeci ed altri).

Di ogni dato indiziario peraltro, il giudicante ha l’onere di ricavare l’intera sua pregnanza significativa, sia nei profili logici che in quelli puramente empirici, dappoichè soltanto se assunto nella sua sintomaticità complessiva, tenuto conto pertanto anche degli elementi di contorno eventualmente svilenti di siffatta sintomaticità, l’indizio può poi validamente concorrere, con gli altri indizi, alla conclusiva valutazione probatoria.

3. Orbene, il quadro indiziario come innanzi valorizzato dal giudice territoriale, alla luce dei principi di diritto appena richiamati, non appare logicamente probante oltre ogni ragionevole dubbio della partecipazione del F., individuato come esecutore materiale, all’omicidio per cui è causa, la cui ritenuta matrice camorristica non è stata peraltro adeguatamente dimostrata, dappoichè non risulta dimostrato in termini di necessaria coerenza in quale modo le circostanze indiziarie innanzi indicate, singolarmente e poi complessivamente considerate, siano significative della sua partecipazione all’azione omicidiaria e del ruolo assegnatogli in essa dall’accusa.

La presenza sul luogo del delitto, ammessa dall’imputato perchè era in quel momento in un bar del posto, è circostanza comune ad un numero indeterminato di persone, plausibile per l’ora e per le abitudini locali, di guisa che la sua valenza probatoria risulta attenuata, soprattutto se posta poi in relazione al fatto da provare:

il ruolo di concorrente in un’azione omicidiaria per un movente che lega il fatto ad altra persona, il G., individuato con maggiori certezze probatorie come autore dell’omicidio. La presenza dopo il delitto presso l’abitazione del D., per questo preparata, insieme al G. – indicato come coautore del delitto, titolare del movente ed impegnato in un appuntamento con la vittima per la sera del fatto di causa – è invece circostanza indiziaria di valenza probatoria certamente più consistente, ma altrettanto certamente non sufficiente nè di per sè, nè se col legata alle altre emergenze istruttorie.

Quella presenza infatti non dimostra la partecipazione attiva al momento dell’omicidio, nè tampoco il ruolo di esecutore materiale dell’uccisione, e deve essere necessariamente collocata, al fine di valutarne appieno il significato probatorio, nel quadro generale delle acquisizioni processuali, posto che nessuna traccia di polvere da sparo risulta rilevato sulle mani e sugli abiti dell’imputato. E’ pur vero che gli abiti indossati al momento degli spari sarebbero stati cambiati, ma gli stessi giudici di merito sostengono che non sono state cambiate le scarpe (dove saranno rilevate tracce ematiche ma non polveri da sparo) e che dodici colpi esplosi con una pistola cal. 9×21, in rapida successione, pressocchè nello stesso punto (i bossoli sono stati raccolti nel raggio di tre metri) secondo regola di esperienza diffondono una notevolissima quantità di polveri che necessariamente investono lo sparatore dappertutto, sulle mani e su quanto indossato, non escluse affatto anche le scarpe.

Le esposte considerazioni limitano pertanto anche il significato indiziario della presenza dell’imputato in casa del D., giustificabile con l’amicizia dell’imputato con il G., con la volontà di stare vicino all’amico perchè a conoscenza di quanto era accaduto e comunque non univocamente riferibile alla condotta contestata.

Le tracce ematiche della vittima rilevate sulle scarpe del F. sono invece il dato probatoriamente più significativo tra quelli valorizzati dai giudici di merito ai fini della decisione, ma anche per esse l’imputato ha fornito una giustificazione plausibile.

Fermo restando che non possono condividersi i rilievi difensivi in ordine alla regolarità del sequestro delle scarpe ed al loro isolamento, generici quanto alla conservazione delle tracce di sangue, osserva il Collegio che il F. ha infatti dichiarato di essersi avvicinato all’autovettura fatta segno ai colpi micidiali di pistola per la curiosità determinata dall’evento e che per questo può aver calpestato tracce cadute sull’asfalto ovvero residui di vetro od altro imbrattati del sangue della vittima.

Giova a questo punto rilevare che il quadro fornito dalle sentenze dei giudici territoriali introducono su tale dato indiziario una serie diffusa di contraddizioni e di incertezze. Vi è incertezza infatti sulla presenza o meno di macchie di sangue lasciate sull’asfalto, posto che dopo il delitto piovve sui luoghi, vi è certezza invece sulla presenza sulla strada di vetri esplosi in seguito ai colpi di pistola che perforarono in più punti l’autovettura guidata dalla vittima, vi è nuovamente incertezza sulla origine delle tracce ematiche riscontrate dal Ris dei CC, da schizzi di sangue cagionati dagli spari per i giudici di prime cure, da calpestio di materiale sporco di sangue, frammenti di vetro innanzitutto, per quelli di appello. Di qui la palese incertezza dell’indizio in parola così come trattato nelle motivazioni in esame, incertezza che ne offusca necessariamente la valenza probatoria ai fini della decisione. A tacere poi del complesso articolarsi dei fatti nei quali si pone l’accertamento indiziario in parola, di necessità coinvolgente poi la valutazione giudiziaria.

Per la responsabile del RIS le macchie accertate sono tre su una scarpa e tre su un’altra scarpa, tutte ben visibili ad occhio nudo, ma non notate dai CC che nella notte condussero in caserma il F. sequestrandogli gli indumenti (ma non le scarpe) se non il mattino successivo, quando il m.llo D. notò piccole macchie su una solo delle scarpe dell’imputato ma non sull’altra.

La sentenza in esame non ha pertanto chiarito con certezza in che modo il sangue della vittima abbia lasciato traccia sulle scarpe del F. e come la collocazione di tali tracce (sul bordo inferiore delle scarpe) si inserisca logicamente nell’ipotesi accusatoria, nè ha dato una spiegazione logica del perchè non possa ritenersi plausibile la versione dell’imputato di essersi avvicinato alla autovettura dell’amico per vedere cosa gli era successo e di essersi poi subito allontanato, senza soccorrerlo, per paura.

4. In conclusione la sentenza impugnata va annullata con rinvio affinchè il giudice territoriale, in piena libertà di giudizio, rivalutato complessivamente il quadro indiziario a carico del Fe., sia nella sua valenza accusatoria che nei profili all’imputato favorevoli, giudichi sulla fondatezza dell’accusa logicamente deducendo le conclusioni ritenute di giustizia.

La sentenza deve essere altresì annullata, senza rinvio, nei confronti di G.A. dappoichè estintisi i reati contestatigli in seguito al decesso dell’imputato.

P.Q.M.

La Corte, annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G. perchè i reati sono estinti per morte dell’imputato.

Annulla altresì la sentenza impugnata nei confronti di Fe. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Napoli.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2013
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