Cass. civ. Sez. Unite, Sent., 10-08-2012, n. 14365

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Svolgimento del processo
Con ricorso notificato il 13 marzo 2000, N.M., premesso di essere proprietaria dell’immobile sito in (OMISSIS), che possedeva ed abitava indisturbatamente da oltre venti anni – immobile situato nelle vicinanze della linea ferroviaria "(OMISSIS)" – lamentava che F.S. s.p.a. e XX s.p.a. avevano cominciato l’edificazione e l’innalzamento di un muro perimetrale lungo la linea ferroviaria e così a realizzare un’opera che, per la parte antistante all’immobile di essa ricorrente, era stata ultimata nel novembre 1999, era alta mt. 4,85 e si situava ad una distanza di mt. 1,20 dal proprio fabbricato. Sosteneva, quindi, che detta opera costituiva una grave turbativa del possesso del proprio immobile, anche in considerazione del fatto che il muro perimetrale sovrastava di circa un metro la propria abitazione, con conseguente grave compromissione sia dell’areazione che della luminosità degli ambienti che su di esso si affacciavano e della veduta che da detti ambienti era stata esercitata, e con incidenza sulla salute degli occupanti dell’immobile stesso. Tanto premesso, la N. chiedeva che in via cautelare e d’urgenza venisse ordinato a F.S. s.p.a.
e a XX s.p.a. di abbattere il muro perimetrale costruito nella parte antistante l’immobile da essa abitato, e comunque di eliminare la turbativa e lo spoglio denunciati, con condanna al ripristino dello stato dei luoghi e al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, da quantificarsi in corso di causa e da liquidarsi anche in via equitativa.
Si costituiva in giudizio F.S. s.p.a. precisando che con D.M. 14 aprile 1995, n. 38-T il Ministero dei Trasporti e della Navigazione, delegato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, aveva indetto Conferenza dei servizi relativa alla linea ferroviaria (OMISSIS) per il tratto da (OMISSIS); che la Conferenza dei servizi aveva approvato il progetto esecutivo che prevedeva, al fine di limitare l’inquinamento acustico nelle aree a ridosso della ferrovia, la realizzazione di paratie fonoassorbenti; che all’approvazione del progetto era stata attribuita efficacia di dichiarazione di pubblica utilità; che il Prefetto di Roma aveva emesso decreto di occupazione temporanea e di urgenza degli immobili di proprietà privata necessari per l’esecuzione dei lavori; che nella esecuzione dei lavori si erano allontanate il più possibile le paratie fonoassorbenti dalle abitazioni limitrofe alla ferrovia, venendo le stesse ad essere realizzate su terreni diversi da quelli di proprietà N., sicchè era di fatto divenuta inutile l’occupazione di dette aree e la loro espropriazione.
Rigettata l’istanza cautelare, l’adito Tribunale di Roma, con sentenza depositata il 17 dicembre 2003, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, sul rilievo che le azioni possessorie attinenti alla materia urbanistica e/o edilizia, e quindi all’uso del territorio da parte della Pubblica Amministrazione o di enti operanti in luogo di questa, non rientravano nella giurisdizione del giudice ordinario ma in quella del giudice amministrativo, conseguentemente competente anche per le domande accessorie di reintegrazione in forma specifica e di risarcimento del danno.
Avverso questa sentenza proponeva appello la N. deducendo l’intervenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, con conseguente devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice ordinario originariamente adito.
Nella resistenza di Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., succeduta a F.S. s.p.a., la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 27 settembre 2006, ha rigettato il gravame, compensando tra le parti le spese del giudizio.
Dopo aver rilevato che l’appellante non aveva osservato, nella edificazione della propria abitazione, le prescrizioni del D.P.R. n. 753 del 1980, che prescrive le distanze degli edifici dalle linee ferroviarie, e dopo avere ricordato le pronunce della Corte costituzionale e dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato in tema di riparto tra giurisdizione ordinaria e amministrativa in materia di urbanistica ed edilizia, la Corte d’appello di Roma ha attribuito rilievo decisivo alla circostanza che, nel caso di specie, per ben due volte era stato emesso il decreto prefettizio di occupazione temporanea e d’urgenza e che quindi, per ciò solo, doveva ritenersi sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto l’amministrazione, o chi per essa, aveva operato nell’esercizio di un potere autoritativo conseguente ai richiamati provvedimenti di occupazione.
Quanto alla domanda di risarcimento del danno, la Corte d’appello, oltre a rilevare che correttamente il giudice di primo grado aveva osservato come in ordine alla stessa difettasse la prova del nesso di causalità tra i fatti denunciati dalla appellante e i danni asseriti, ha affermato che la sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale nulla ha innovato in ordine alla giurisdizione del giudice amministrativo in materia di risarcimento dei danni cagionati da atti illegittimi, da atti legittimi ma tardivi e da inadempimento della pubblica amministrazione, sicchè sussisteva nella specie la giurisdizione del giudice amministrativo anche con riguardo alla domanda di reintegrazione in forma specifica e di risarcimento del danno.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso N. M. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso, Rete Ferroviaria Italiana s.p.a.
L’altra società intimata non ha svolto attività difensiva.
La ricorrente ha depositato l’istanza di trattazione di cui alla L. 12 novembre 2011, n. 183, art. 26.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 42 e 103 Cost.; degli artt. 834, 1140, 1145, 1168, 1170 e 1171 cod. civ.; dell’art. 37 cod. proc. civ.; della L. n. 2248 del 1865, artt. 2, 4, 5 e 7, All. E; della L. n. 2359 del 1865; della L. n. 865 del 1971, art. 20, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
La ricorrente rileva, innanzitutto, che la Corte d’appello, pur avendo dato atto che la controversia verteva tra soggetti privati, ha poi omesso di trarre le dovute conseguenze da tale accertamento, avendo altresì omesso di considerare che, nella specie, non venivano in rilievo attività connesse ad atti e provvedimenti amministrativi ma a meri comportamenti assunti da società private e svincolate da qualsiasi legame con atti della pubblica amministrazione. Nè sul piano della giurisdizione rileverebbe la circostanza che la questione possa acquisire o acquisisca una valenza di pubblico interesse, atteso che siffatta evenienza attiene al problema dei limiti della giurisdizione del giudice ordinario riguardo ad atti amministrativi.
La Corte d’appello, sostiene la ricorrente, avrebbe altresì errato nel ritenere che le società private avessero agito avvalendosi, per la realizzazione del muro, della procedura espropriativa. Al contrario, per ben due volte le società interessate hanno rinunciato ad avvalersi della detta procedura, non avendo mai dato corso alla immissione in possesso a seguito dei decreti di occupazione, con conseguente inefficacia della intera procedura espropriativa. La rinuncia alla procedura espropriativa comporta, ad avviso della ricorrente, la conseguenza che le società resistenti, nell’innalzare il muro ad una distanza di mt. 1,20 dall’edificio di sua proprietà, hanno agito iure privatorum. La rinuncia alla procedura espropriativa, inoltre, ha fatto venire meno l’obbligo della corresponsione delle indennità di occupazione e di esproprio in favore di essa ricorrente, pur in presenza di una indubbia compressione dei suoi diritti per effetto dell’innalzamento del muro.
A conclusione del motivo, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di cassazione se sussista o meno la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in una controversia tra soggetti privati, alcuni dei quali – nella fattispecie le società resistenti – dopo aver rinunciato alla procedura espropriativa concessa in loro favore, abbiano agito "iure privatorum" con semplici comportamenti, nella fattispecie erigendo un muro a ridosso della proprietà della ricorrente".
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 103 e 111 Cost.; degli artt. 1140, 1145, 1168, 1170 e 1171 cod. civ.; dell’art. 37 cod. proc. civ.; della L. n. 2248 del 1865, artt. 2, 4, 5 e 7, All. E, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
La ricorrente censura la sentenza impugnata sostenendo che la Corte d’appello, pur avendo fondato la propria decisione sulla sentenza n. 204 del 2004 della Corte costituzionale, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, come sostituito dalla L. n. 205 del 200, art 7, non abbia poi di fatto tenuto conto delle statuizioni effettivamente contenute nella stessa sentenza.
Nel caso di specie, osserva la ricorrente, le società resistenti hanno agito iure privatorum con meri comportamenti (costruzione di un muro a ridosso dell’abitazione di essa ricorrente), in assenza di qualsiasi atto o provvedimento della p.a., avendo esse espressamente rinunciato alla procedura espropriativa alla quale avevano inizialmente fatto ricorso; è indubbio, altresì, che da detto comportamento è derivata la lesione di diritti soggettivi di essa ricorrente, sicchè la giurisdizione non poteva spettare ad altri che al giudice ordinario.
A conclusione del motivo, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di cassazione se, in applicazione dell’art. 103 Cost., in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo, giudice naturale il primo dei diritti soggettivi ed il secondo degli interessi legittimi, sussista o meno la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria in una controversia relativa alla violazione e/o turbativa del possesso nei confronti della pubblica amministrazione (o di chi agisca per conto di essa) quando il comportamento perseguito dalla medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale".
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce, in riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3, violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 103 Cost.; artt. 2043 e 2059 cod. civ.; dell’art. 37 cod. proc. civ.; della L. n. 2248 del 1865, All. E, nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.
Con tale mezzo la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo anche con riferimento alla domanda di risarcimento del danno, e segnatamente del dedotto danno alla salute.
In particolare, la ricorrente contesta l’affermazione, con la quale la Corte d’appello ha condiviso la valutazione del Tribunale, secondo cui non sarebbe stata fornita la prova della sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento delle resistenti e il danno lamentato. Sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno disatteso le istanze istruttorie da essa ricorrente avanzate e quindi non avrebbero potuto affermare la mancanza di prova del fatto che quelle istanze miravano a dimostrare.
A conclusione del motivo, la ricorrente formula il seguente quesito di diritto: "Dica la Corte di cassazione se, in applicazione dell’art. 103 Cost., in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario ed amministrativo, giudice naturale il primo dei diritti soggettivi ed il secondo degli interessi legittimi, sussista o meno la giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione (o di chi agisca per conto di essa) in una controversia relativa al risarcimento del danno;
subordinatamente, in caso di risposta negativa, se sussista la giurisdizione ove sia dedotta in causa la lesione del diritto alla salute".
4. I primi due motivi di ricorso, all’esame dei quali può procedersi congiuntamente per evidenti ragioni di connessione, sono fondati.
4.1. Occorre premettere che a seguito e per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 281 del 2004, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale del testo originario del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 34 (applicabile alle controversie – quale quella presente – promosse anteriormente al 10 agosto 2000), in materia urbanistica ed edilizia la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo resta contenuta nei limiti oggettivi segnati dalla legislazione previgente all’entrata in vigore del citato art. 34, fermo restando che, in virtù della parte della norma sopravvissuta alla decisione della Corte costituzionale, detta giurisdizione esclusiva, al pari di quella generale di legittimità nella stessa materia, è divenuta piena, essendosi estesa ai diritti consequenziali, compreso quello al risarcimento del danno (Cass., S.U., n. 23827 del 2004).
Il citato art. 34, del resto, come si è di recente rilevato (Cass., S.U., n. 17065 del 2011), "ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia"; il che comporta che, "perchè una controversia abbia un tale oggetto è necessario, da un lato, che la tutela sia chiesta nei confronti di una pubblica amministrazione, dall’altro che sia domandata per la lesione che è stata arrecata da un atto o provvedimento (comportamento) della stessa amministrazione riconducibile ad un potere che la legge le attribuisce nella materia urbanistica od edilizia. Perciò, il risultato che nella domanda si assume contrario a diritto e lesivo della situazione giuridica per cui si chiede tutela, si deve poter considerare come rientrante nell’area degli effetti che richiederebbero, per essere prodotti, l’esercizio di poteri attribuiti per la cura di interessi pubblici in uno dei due campi considerati". E tale soluzione trova appunto "conferma nella intervenuta declaratoria di parziale illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34 ad opera della sentenza della Corte costituzionale 28 aprile 2004, n. 204, che ha espunto dal testo della predetta disposizione i comportamenti tenuti dalla pubblica amministrazione".
4.2. Con riferimento alle azioni possessorie, nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito che le stesse sono esperibili davanti al giudice ordinario nei confronti della P.A. (e di chi agisca per conto di essa) "quando il comportamento della medesima non si ricolleghi ad un formale provvedimento amministrativo, emesso nell’ambito e nell’esercizio di poteri autoritativi e discrezionali ad essa spettanti, ma si concreti e si risolva in una mera attività materiale, non sorretta da atti o provvedimenti amministrativi formali; ove risulti, invece, sulla base del criterio del petitum sostanziale, che oggetto della tutela invocata non è una situazione possessoria, ma il controllo di legittimità dell’esercizio dei potere, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, competente essendo il giudice amministrativo" (Cass., S.U. n. 23561 del 2008).
Con specifico riferimento a controversie nelle quali venga fatta valere la pretesa – azionata nei confronti di una società privata concessionaria della pubblica amministrazione – al ripristino delle distanze legali tra il fondo ed il manufatto dalla detta concessionaria realizzato nell’area confinante, e al risarcimento dei danni, si è di recente affermato che la stessa appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, giacchè "detta società è convenuta in giudizio non già come amministrazione o concessionaria che svolge il pubblico servizio di pubblica utilità di produzione di energia e suo trasporto nella rete elettrica nazionale, ma in quanto impresa costruttrice e proprietaria del manufatto, come tale responsabile del pregiudizio che il manufatto stesso, "staticamente", venga ad arrecare al terzo confinante"; con la precisazione che, tuttavia, l’esecuzione dell’opera di pubblica utilità anzidetta (nella specie, una pala eolica), rappresentante elemento di esercizio di un servizio pubblico (quale la rete elettrica nazionale), "non può essere ricondotta ad attività realizzata iure privatorum, così da poter essere suscettibile di riduzione in pristino, con la conseguenza che la pretesa del privato deve essere circoscritta alla sola indennità prevista dalla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46 (e successivamente dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 44)" (Cass., S.U., n. 24410 del 2011).
4.3. Nella specie, la Corte d’appello di Roma ha ritenuto che le società convenute nel giudizio possessorio avessero realizzato l’opera, della cui illegittimità la ricorrente si duole, nell’ambito di un procedimento espropriativo. Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che "nel caso in esame, nel quale per ben due volte è stato emesso il decreto prefettizio di occupazione in via temporanea e d’urgenza, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto l’amministrazione, e chi per essa, hanno operato nell’esercizio di un potere autoritativo conseguente ai provvedimenti amministrativi anzidetti. Bene, quindi, il primo giudice ha declinato la sua giurisdizione sulla domanda di tutela possessoria".
La stessa società resistente, tuttavia, riconosce che l’attività esecutiva del progetto di pubblico interesse, finalizzato al raddoppio della linea ferroviaria Roma-Viterbo con la prescrizione della installazione di paratie fonoassorbenti, ha interessato terreni di soggetti diversi da quello di proprietà della ricorrente. Tale area avrebbe in effetti potuto essere direttamente interessata dalla procedura ablatoria nell’ambito della quale è stata realizzata l’opera; e tuttavia la società resistente, come esplicitamente ha chiarito nel proprio controricorso, ha ritenuto di non dover procedere alla occupazione della detta area, perchè non necessaria per il completamento dell’opera, determinando quindi l’inefficacia per questo aspetto dei due decreti di occupazione adottati dal Prefetto di Roma.
Risulta dunque evidente come nel presente giudizio rilevino non già la procedura espropriativa e i provvedimenti nell’ambito della stessa adottati, ma, come efficacemente evidenziato nella citata sentenza n. 24410 del 2011, il manufatto per come realizzato, considerato "staticamente", e cioè nella sua relazione con il contesto nel quale esso viene ad essere inserito. Nella specie, rileva dunque l’accertamento della liceità del manufatto in relazione al bene di proprietà della ricorrente e non la legittimità degli atti amministrativi in base ai quali il manufatto stesso è stato realizzato.
Nè rilevano le osservazioni svolte dalla controricorrente in relazione alla asserita violazione, da parte della ricorrente, dei limiti imposti alle costruzioni in prossimità delle linee ferroviarie, non avendo la questione formato oggetto di una qualsivoglia richiesta di accertamento, neanche in via incidentale.
5. Si deve quindi affermare la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia avente ad oggetto la denunciata violazione delle distanze legali, atteso che in relazione ad essa vengono in rilievo posizioni di diritto soggettivo. Ovviamente, la individuazione delle statuizioni che potranno essere adottate nell’ambito del procedimento dal giudice ordinario, è questione che rileva nell’ambito dei limiti interni della giurisdizione del detto giudice nei confronti della pubblica amministrazione.
I primi due motivi del ricorso vanno pertanto accolti, con assorbimento del terzo, concernente il profilo della attribuzione della giurisdizione in ordine alla domanda risarcitoria, la quale non può non essere attratta dalla giurisdizione sulla domanda principale.
6. La sentenza impugnata deve conseguentemente essere cassata, rimettendosi le parti dinnanzi al Tribunale di Roma, previa riassunzione nei termini di legge.
La regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità è rimessa al merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbito il terzo; dichiara la giurisdizione del giudice ordinario; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte suprema di cassazione, il 17 gennaio 2012.
Depositato in Cancelleria il 10 agosto 2012

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