Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-08-2012, n. 14466

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Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza del 27.10. 2010 – 18.6.2011, rigettò il gravame proposto dalla XX srl nei confronti di P.G. avverso la pronuncia di prime cure che, per quanto ancora in questa sede rileva, aveva condannato la Società predetta al pagamento, in favore del P., delle retribuzioni maturate sino al 12.12.2003, dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute relativamente al periodo 17 – 28.2.2003, dell’indennità di trasferta per i giorni 6, 7 e 24.3.2003 e del rimborso delle relative spese documentate, oltre accessori di legge dal dovuto al saldo.
A sostegno del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue:
l’eccezione di incompetenza per territorio del Giudice adito a favore del foro di Napoli doveva essere disattesa, poichè la contestazione secondo cui non poteva ritenersi Taranto quale foro della dipendenza per non avere l’appellante una dipendenza in tale luogo "alla data del deposito del ricorso" non era pertinente al criterio da seguire ai sensi dell’art. 413 c.p.c., dovendo per contro aversi riguardo a quello della dipendenza alla quale il lavoratore prestava la sua opera al momento della fine del rapporto (data non coincidente con quella del deposito del ricorso) e tenuto conto che, pacificamente, il P. era sempre stato addetto ad una mensa di (OMISSIS);
l’eccezione di prescrizione era infondata poichè:
a) correttamente il Giudice di prime cure l’aveva disattesa, "attesochè la richiesta di tentativo di conciliazione, avente efficacia interruttiva, è datata 11/3/03";
b) quand’anche si fosse voluto aderire alla tesi circa la "recettizietà" della richiesta del tentativo di conciliazione, doveva rilevarsi che il lavoratore era stato licenziato il 12.12.2003 e che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato depositato il 9.10.2008 e ricevuto dalla parte datoriale il 3.12.2008, nel rispetto quindi del termine quinquennale di prescrizione, "in assenza di qualsivoglia prospettazione da parte dell’appellante in ordine a garanzie di stabilità reale invocabili nel caso in esame".
Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la XX ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
P.G. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia trascurato di considerare che, con la memoria difensiva di primo grado, era stato dichiarato che "La resistente opera nel settore delle pulizie e ristorazione con oltre 100 dipendenti…" e che, nel ricorso d’appello e nella documentazione dimessa, era stato precisato che, solo nel cantiere Saram di (OMISSIS), aveva alle proprie dipendenze oltre 40 unità.
Con il secondo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 2, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale non abbia tenuto conto del disposto dell’art. 413 c.p.c., comma 3, avuto riguardo al fatto che l’azione era stata promossa ben oltre il sesto mese dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Con i terzo motivo la ricorrente denuncia:
la violazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 laddove prevede l’applicazione delle norme sulla stabilità reale ai datori di lavoro che "nell’ambito dello stesso comune occupano più di quindici dipendenti…";
la violazione dell’art. 2943 c.c., comma 3, per non avere considerato che il mero deposito dell’istanza di cui all’art. 410 c.p.c. non può essere interpretato come un valido atto interattivo della prescrizione, se il creditore non dia la prova dell’avvenuta notifica al debitore.
2. La disamina del secondo motivo è logicamente prioritaria.
In base al disposto dell’art. 413 c.p.c., comma 3, la competenza collegata al luogo ove si trova la dipendenza presso cui il lavoratore è addetto ovvero presso cui prestava la propria opera al momento della fine del rapporto, permane dopo il trasferimento dell’azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purchè la domanda sia proposta "entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione". Ne consegue che non è di per sè conducente il rilievo, svolto dalla ricorrente, secondo cui l’azione era stata promossa oltre il sesto mese dalla cessazione del rapporto di lavoro, poichè, come detto, la cessazione della dipendenza e non quella del rapporto di lavoro segna il momento a partire dal quale decorre il termine decadenziale per poter radicare la competenza territoriale secondo il criterio all’esame.
Al contempo deve rilevarsi che la questione della inapplicabilità del suddetto criterio per essere stata la domanda proposta oltre il termine di sei mesi dalla cessazione della dipendenza non risulta trattata nella sentenza impugnata, che si limita a rilevare l’inconferenza della deduzione difensiva dell’appellante secondo cui non vi era prova che la Società avesse una dipendenza in (OMISSIS) "alla data del deposito del ricorso"; nè la ricorrente, come sarebbe stato suo onere, indica i tempi e i modi con cui la questione, implicante un accertamento in fatto sulla data di effettiva cessazione della dipendenza, sarebbe stata specificamente devoluta al Giudice dell’appello.
Cosicchè il motivo all’esame, anche a prescindere dalla rilevata inconducenza delle argomentazioni svolte, si presenta inammissibile per novità della censura (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 16303/2002;
2140/2006; 13958/2007; 4752/2011; 12138/2011).
3. Il primo e il terzo motivo di ricorso, fra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.
3.1 Come esposto nello storico di lite, una delle due ragioni poste dalla Corte territoriale a base del rigetto dell’eccezione di prescrizione risiede nel fatto che, "in assenza di qualsivoglia prospettazione da parte dell’appellante in ordine a garanzie di stabilità reale invocabili nel caso in esame", il ricorso di primo grado era stato notificato entro il quinquennio dalla data di cessazione del rapporto lavorativo.
3.2 A mente della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 1 per quanto qui specificamente rileva, le disposizioni ivi dettate in tema di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato (cosiddetta stabilità reale) si applicano al datore di lavoro che, in ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento, occupa alle sue dipendenze più di quindici prestatori di lavoro, nonchè ai datori di lavoro che, nell’ambito dello stesso comune, occupano più di quindici dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro che occupa alle sue dipendenze più di sessanta prestatori di lavoro.
In base alla giurisprudenza di questa Corte, premesso che il principio della non decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro durante il rapporto di lavoro opera solo per quei rapporti che non sono assistiti dalla garanzia della stabilità – come risulta dalla evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia -, deve ritenersi stabile ogni rapporto che, indipendentemente dal carattere pubblico o privato del datore di lavoro, sia regolato da una disciplina la quale, sul piano sostanziale, subordini la legittimità e l’efficacia della risoluzione alla sussistenza di circostanze obiettive e predeterminate, e, sul piano processuale, affidi al giudice il sindacato su tali circostanze e la possibilità di rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo; il che, per la generalità dei casi, coincide attualmente con l’ambito di operatività della L. 20 maggio 1970, n. 300, per effetto della cosiddetta tutela reale del posto di lavoro apprestata dal suo art. 18, restando i relativi presupposti di applicazione, agli effetti della decorrenza della prescrizione in costanza del rapporto di lavoro, da provarsi dal datore di lavoro, che la eccepisce (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 6806/1987; 10555/1994; 7565/1997; 6441/1998).
3.3 Secondo la ricorrente la relativa prova – non considerata dalla Corte territoriale – dovrebbe ravvisarsi nel fatto che, con la memoria difensiva di primo grado, era stato dedotto che "La resistente opera nel settore delle pulizie e ristorazione con oltre 100 dipendenti…" e che, nel ricorso d’appello e nella documentazione dimessa, era stato precisato che, solo nel cantiere Saram di (OMISSIS), aveva alle proprie dipendenze oltre 40 unità.
3.4 Le considerazioni relative al numero dei dipendenti asseritamente occupati nel cantiere di Taranto non possono condurre all’accoglimento del motivo, poichè, a fronte della chiara indicazione contenuta nel ricorso introduttivo, secondo cui il personale addetto alla dipendenza di (OMISSIS) si era ridotto di 31 unità (sulle originarie 41) per effetto dell’assunzione di tali lavoratori da parte della Società che era subentrata nell’appalto e tenuto conto che le differenze retributive rivendicate e riconosciute si riferiscono al periodo successivo a tale diminuzione delle maestranze, la ricorrente non deduce di avere contestato tale circostanza nella memoria difensiva di primo grado, nè, comunque, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, indica, riportandone il contenuto, la documentazione dimessa in giudizio che dovrebbe provare il proprio assunto.
3.5 Le considerazioni svolte in merito al numero complessivo dei propri dipendenti non sono accompagnate dall’indicazione delle prove che dovrebbero dimostrare tale assunto, salva la sintetica enunciazione della non contestazione dello stesso da parte del lavoratore; in ordine alla quale ultima circostanza, tuttavia, il motivo è privo di autosufficienza, non essendo stati indicati – nè, tanto meno, essendone stato riportato il contenuto – gli atti del ricorrente, successivi alla memoria difensiva di primo grado (memorie illustrative, deduzioni di udienza o quant’altro), dai quali dovrebbe risultale la dedotta non contestazione.
3.6 La censura testè esaminata non può dunque trovare accoglimento.
3.7 Trova conseguentemente applicazione, quanto all’altra ratio decidendi enunciata nella sentenza impugnata, il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacchè, ancorchè esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 12976/2001; 18240/2004; 20454/2005;
13956/2005).
3.8 Anche il primo e il terzo motivo di ricorso non possono quindi essere accolti.
4. In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come in dispositivo e da distrarsi a favore dell’avv. , antistatario, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, da distrarsi a favore dell’avv. B.M. e che liquida in Euro 40,00 (quaranta/00), oltre ad Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.
Così deciso in Roma, il 11 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2012

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