Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-08-2012, n. 14460

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Genova del 30 aprile 2003 la XX s.p.a. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale le era stato ingiunto il pagamento in favore di P. O. della somma di Euro 136.400,00 pattuita, al lordo della ritenute fiscali, quale incentivo all’esodo, oltre il trattamento di fine rapporto, nell’accordo dell’8 novembre 2002 avente ad oggetto la risoluzione consensuale dell’ultratrentennale rapporto di lavoro intercorso tra essa opponente ed il P..
A sostegno dell’opposizione deduceva che il predetto accordo era parte di un più complesso regolamento negoziale, in particolare, ricollegandosi ad altra pattuizione , stipulata in data 7 novembre 2002 tra essa XX e la O’ XX s.r.l. della quale il P. era socio di maggioranza – società di cui chiedeva la chiamata in causa – con la quale si prevedeva la fornitura in "outsourcing" di prestazioni di consulenza in favore della XX per due anni contro un corrispettivo di Euro 40.800,00. Evidenziava che, in realtà, i detti accordi miravano ad ottenere un scopo unitario: la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro subordinato tra XX ed il P. e la stipulazione contestuale con quest’ultimo di un contratto di servizi di "estate &
office management" per un corrispettivo complessivo di Euro 177.200,00 da imputarsi, quanto ad Euro 36.400,00 quale incentivo all’esodo e, quanto ad Euro 140.800,00, a nuovo contratto di consulenza. Precisava che le ragioni della intestazione del contratto di consulenza alla O’ XX s.r.l. e della diversa imputazione dei corrispettivi dichiarati nei due contratti rispetto a quelli dissimulati erano state solo di natura fiscale. Sottolineava che, successivamente a tali accordi, essa XX era venuta a conoscenza di gravi comportamenti tenuti dal P. nel corso del rapporto di lavoro che avevano fatto venir meno la fiducia verso il predetto e dai quali era derivato anche un danno alla società, di cui chiedeva il risarcimento.
L’adito Tribunale, con sentenza del 9 marzo 2006, revocava il decreto ingiuntivo opposto, dichiarava la simulazione parziale della scrittura dell’8 novembre 2002 dichiarando dovuta a titolo di incentivo all’esodo la somma lorda di Euro 36.400,00 oltre interessi e rivalutazione, dichiarava la simulazione del contratto del 7 novembre 2002 stipulato con la O’XX s.r.l. e che nulla era dovuto per tale contratto, dichiarava la simulazione del contratto dissimulato con il P., rigettava le altre domande e quelle avanzate dalla O’XX. Avverso tale decisione proponevano appello il P. e la O’ XX s.r.l. e spiegava appello incidentale la XX s.p.a. e la adita Corte di Appello di Genova, con sentenza pubblicata il 20 giugno 2008, in parziale riforma dell’impugnata sentenza che confermava nel resto, condannava la XX a pagare in favore del P. la ulteriore somma di Euro 100.000,00 dichiarando non simulata la scrittura dell’8 novembre 2002 e compensando tra le parti le spese del grado.
In sintesi, la Corte territoriale aveva ritenuto: non provata la simulazione relativa del menzionato contratto dell’8 novembre 2002;
che i gravi fatti addebitati al P. correttamente erano stati valutati dal primo giudice come idonei a risolvere il contratto di XX con la O’XX s.r.l. ; che la domanda di risarcimento danni spiegata dalla XX correttamente era stata rigettata dal tribunale in quanto non provata.
Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la XX s.p.a. affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso il P. illustrato anche da memoria.
La O’XX s.r.l. in liquidazione è rimasta intimata.
Motivi della decisione
Col primo motivo di ricorso si denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 2721, 2722 e 1417 c.c. e art. 421 c.p.c..
Si lamenta, in particolare, che il giudice di appello ha subordinato la prova della simulazione alla prova documentale ex art. 1417 c.c. ed ha criticato il provvedimento del giudice di primo grado di ammissione delle prove testimoniali, dichiarandolo emesso "oltre i limiti previsti dalla legge". Pone, quindi, a questa Corte i seguente quesito di diritto: "Accertato e verificato che nel caso concreto l’istruttoria, svoltasi nell’ambito di un procedimento pacificamente soggetto al rito del lavoro, ha pienamente confermato la simulazione parziale dell’accordo 8 novembre 2002 e la simulazione dell’accordo 7 novembre 2002, dica la Corte se detta prova testimoniale è idonea a soddisfare i requisiti probatori posti a carico della società XX e se, sempre nell’ambito di un procedimento soggetto al rito del lavoro, la stessa possa essere dichiarata, contrariamente a quanto ha fatto il giudice di appello, rituale e come tale idonea a fini probatori".
Il motivo è inammissibile perchè non conferente rispetto alla motivazione dell’impugnata decisione.
Ed infatti, dalla lettura della sentenza impugnata emerge in tutta evidenza che la Corte di Appello, dopo aver osservato che la XX non aveva fornito una prova documentale della simulazione (fatto questo incontroverso), ha proceduto alla valutazione della prova testimoniale raccolta dal primo giudice giungendo alla conclusione che la stessa non aveva "…avuto un esito chiaro ed inequivocabile…" e, quindi, non era stata idonea a superare il tenore letterale della scrittura dell’8 novembre 2002.
In effetti l’inciso "..ammessa dal primo giudice oltre i limiti previsti dalla legge" contenuto nella decisione gravata e riferito alla prova testimoniale – inciso sul quale si fonda il motivo in esame – non integra una censura alla sentenza del primo giudice ma altro che non è che la constatazione di una attività svolta, come dimostrato dal fatto che la corte di merito ha poi valutato le risultanze di detta prova orale avendole ritenuta – al pari del tribunale – ammissibile. Ciò in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale ai fini della prova della simulazione nelle controversie soggette al rito del lavoro, è in facoltà del giudice ammettere ogni mezzo di prova anche al di fuori dello specifico limite della prova testimoniale (e, correlativamente, di quella presuntiva) di cui all’art. 1417 c.c., in quanto l’art. 421 c.p.c. – nel consentire al giudice, nell’ambito de rito speciale, di ammettere mezzi di prova senza i limiti fissati dal c.c. – si riferisce ai limiti stabiliti per la prova testimoniale dalle relative disposizioni generali degli artt. 2721, 2722 e 2723 c.c., alle quali si ricollega l’art. 1417 c.c., che, d’altronde, fa applicazione, in tema di simulazione, della regola generale, di cui al menzionato art. 2722 c.c., dell’inammissibilità della prova testimoniale di patti contrari al contenuto di un documento (Cass. 1 dicembre 1983, n. 7197; 28 ottobre 1995, n. 11255; 21 maggio 2002, n. 7465; 26 giugno 2004, n. 11926; 13 aprile 2006, n. 8678; 15 aprile 2009 n. 8928).
Con il secondo motivo si deduce la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso per il giudizio.
In particolare, il ricorrente nel riassumere , ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., le doglianze concernenti la motivazione della sentenza e la valutazione delle prove sviluppate nei motivi in una esposizione sintetica ed univoca delle ragioni addotte a sostegno del motivo ha specificato che: "Il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria riguarda la quantificazione dell’importo effettivamente voluto dalle parti a titolo di incentivo all’esodo; le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione sono rappresentate dal fatto che il giudice, pur dichiarando non essere stata raggiunta in sede testimoniale la prova del fatto controverso in modo apodittico e astratto, non ha preso specifica posizione sul concreto contenuto delle dichiarazioni rese dai testi. Infatti, a fronte di dichiarazioni che espressamente hanno confermato la simulazione voluta dalle parti , confermando anche il contenuto della loro reale volontà, il Giudice di appello non ha spiegato perchè tali testimonianze non possono essere assunte come elementi di prova. Tanto più che non è stata messa in discussione la loro attendibilità. Il fatto di aver dichiarato raggiunta la prova senza averne specificato le motivazioni pregiudica la decisione stessa".
Il motivo è inammissibile.
Osserva la Corte che il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza dei criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della "ratio decidendi", e cioè l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata. Ne consegue che detti vizi non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove, dato dal giudice dei merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. 29 settembre 2009 n. 20844; 6 marzo 2008 n. 6064; S.U. 11 giugno 1998 n. 18885).
Nel caso in esame la corte di merito ha valutato le deposizioni dei due testi escussi ma ha ritenuto che le risultanze della prova testimoniale non avevano avuto un esito chiaro ed inequivocabile a fronte del contenuto delle scritture del 7 e dell’8 novembre 2002 e stante l’assenza di controdichiarazioni. Nella motivazione della sentenza impugnata si da conto compiutamente e con un iter logico immune da vizi delle ragioni per le quali quanto formalizzato nella predetta scrittura corrispondesse alla reale ed effettiva volontà dei contraenti e perchè fosse da ritenere prevalente rispetto a quanto dichiarato dai testi escussi. Dunque, la motivazione non risulta omessa.
Neppure è insufficiente avendo evidenziato che l’assetto degli interessi così come regolato nella scrittura dell’8 novembre e, in specie, l’ammontare dell’incentivo all’esodo indicato era effettivo trovando giustificazione e perchè inferiore a quello richiesto dal P. inizialmente in una sua proposta scritta e perchè congruo avuto riguardo: a) al fatto che il rapporto di lavoro subordinato intercorso tra la XX ed il P., di durata ultratrentennale, sarebbe potuto continuare, fino al pensionamento, per ulteriori dieci anni; b) al complessivo assetto degli interessi così come deciso dalle parti che già avevano concordato che l’attività già svolta in azienda dal P. diventasse oggetto del contratto di prestazione di servizi sottoscritto il 7 novembre con al O XX s.r.l., per la durata di due anni, società nella quale il P. avrebbe continuato a lavorare personalmente fornendo servizi alla XX come in precedenza cioè nella sede della XX ed utilizzando le strutture e le risorse aziendali.
Nè sussiste il vizio di contraddittorietà della motivazione. Ed infatti non è corretta l’affermazione secondo cui la corte di merito pur negando la simulazione della scrittura dell’8 novembre avrebbe contradditoriamente ritenuto, sia pure implicitamente, la simulazione assoluta dei contratto stipulato il 7 novembre tra XX e O XX s.r.l. simulazione che era emersa, in mancanza di una controdichiarazione, dalla prova testimoniale (quindi dalle deposizioni dei due testi escussi). Invero, dalla lettura della sentenza impugnata, si evince che la corte di merito ha affermato che era pacifico tra le parti che il P., una volta risolto il rapporto di lavoro subordinato, avrebbe continuato a collaborare con la XX fornendo il proprio apporto personale attraverso il contratto di prestazioni di servizi concluso il 7 novembre tra XX e O XX s.r.l. di cui il P. era socio di maggioranza. In altri termini nella sentenza viene data per pacifica la simulazione relativa (e, quindi, non assoluta) per interposizione fittizia di persona ( reale contraente il P. e non la O XX s.r.l.), così come aveva ritenuto il giudice di primo grado.
Quindi, la prova testimoniale non risulta essere stata utilizzata per valutare come relativamente simulato il contratto del 7 novembre 2002.
In definitiva il motivo è, come detto, inammissibile risolvendosi in un difforme apprezzamento dei fatti e delle prove rispetto a quello dato dal giudice di merito.
Con il terzo motivo ed il quarto motivo di ricorso è stata censurata la decisione impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di risarcimento dei danni, patrimoniali ed all’immagine, asseritamente subiti da essa XX a causa dei gravi fatti addebitati al P.. In particolare, con il terzo motivo si deduce ex art. 360, n. 3 la violazione o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 1226 e 2056 c.c. e e all’art. 115 c.p.c.. In sintesi, ci si duole del fatto che la corte di merito non avrebbe ritenuto sussistente il danno all’immagine subito da essa società ricorrente a causa dei comportamenti illeciti tenuti dal P. e viene, quindi, formulato il seguente quesito: "Accertata e verificata nel caso concreto l’infedeltà del comportamento del P., consistita nell’aver tradito gravemente la fiducia del suo datore di lavoro, per aver chiesto ed ottenuto da parte di due fornitori, Ecocleaning e Offix, tangenti per complessi Euro 48.987,41, al pagamento delle quali ha subordinato il rinnovo dei loro contratti con la stessa XX, dica la Corte se tale comportamento rientra o meno in quelle "nozioni di fatto che in base alla comune esperienza"portano a qualificarlo come illecito e come tale idoneo di per sè a comportare un danno patrimoniale e non alla parte offesa liquidabile dal giudice in via equitativa".
Il motivo è inammissibile.
In primo luogo non presenta il requisito della "autosufficienza" in quanto non contiene in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass n. 5808/2008; Cass n. 15952/2007; SU, n. 11653/2006). Invero, nel motivo e nel quesito si fa riferimento a tangenti richieste dal P. ai fornitori Ecocleaning e Offix deducendo che le circostanze relative a dette due vicende avevano trovato piena conferma laddove, invece, nella impugnata sentenza è contenuto solo un riferimento ad un caso – identificato come la tangente richiesta al fornitore C. – mentre è affermato che nulla era emerso circa altre richieste di tangenti ad altri fornitori. In altri termini, dal motivo non si evince se la vicenda indicata nella decisione della corte di merito come tangente richiesta al fornitore C. sia riferibile ai due casi di tangenti indicati (ai fornitori Ecocleaning ed Office) dato questo imprescindibile visto che la corte di appello ha espressamente escluso che altre ipotesi di ccdd. "tangenti" erano emerse e, sul punto, tale statuizione non è stata oggetto di censura alcuna.
Ad ogni buon conto, va pure evidenziato che, riguardo alla vicenda richiamata nella decisione impugnata (rispetto alla quale il P. risultava essere stato condannato in primo grado alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione per il reato di cui all’art. 629 c.p. per avere minacciato il fornitore C., nella sua qualità di responsabile dei servizi generali della XX, di far valere i suoi poteri di trattativa alfine di impedire la rinnovazione del contratto di appalto, facendosi pagare la somma di Euro 14.000,00), il rigetto della domanda di risarcimento del danno all’immagine avanzata dalla XX è stata motivata dal rilievo che detto danno non scaturiva automaticamente dall’inadempimento e che, comunque, esso non ricorreva nei caso in esame in considerazione delle modalità con le quali detta tangente era stata richiesta.
Quindi, il motivo in esame è inammissibile anche perchè si risolve in una critica all’apprezzamento del fatto compiuto dal giudice di appello, non reiterabile in sede di legittimità, dove è esclusivamente consentito il controllo dell’iter logico mediante il quale il giudice è pervenuto alla propria decisione, censurabile solo se il ragionamento si rilevi incompleto, incoerente o illogico e non anche quando come nella specie – il giudice abbia, con motivazione congrua, semplicemente attribuito agli elementi vagliati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni della parte.
Peraltro, il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio) ex art. 115 c.p.p., comma 2 attiene all’esercizio di un potere discrezionale riservato al giudice di merito. E, l’esercizio sia positivo, sia negativo, del potere di fare ricorso al notorio non è sindacabile in sede di legittimità, ed il giudice non è tenuto ad indicare gli elementi sui quali la determinazione si fonda. (Cass. 10 settembre 2010 n. 19283; Cass. civ., Sez. lavoro, 12/03/2009, n. 6023; Cass. 29 aprile 2005 n. 9001). Ne consegue che il lamentato mancato ricorso al "notorio" nel ritenere sussistente il danno derivante dal comportamento tenuto dal P. da parte della corte di appello non può essere in questa sede censurato.
Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 5, la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per i giudizio. Si censura l’impugnata sentenza deducendo che la corte di merito, per respingere la richiesta di valutazione in via equitativa del danno avrebbe dovuto valutare se nel caso di specie sussistessero o meno, particolari difficoltà nella quantificazione del danno, come sostenuto dalla XX, specificando, in relazione al disposto dell’art. 366 c.p.c. che: "il fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria riguarda l’accertamento della effettiva difficoltà a dar corso da parte della società alla quantificazione del danno nelle sue componenti specifiche ; le ragioni per le quali la dedotta insufficienza di motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione sono rappresentate dal fatto che il giudice per rigettare la richiesta di valutazione in via equitativa avrebbe dovuto accertare e dichiarare la possibilità, in capo a XX, di quantificare il danno. Nessuna deduzione in tal senso è rinvenibile nella motivazione".
Il motivo è infondato.
La corte di merito, una volta ritenuto insussistente il danno non aveva alcun obbligo di motivare il mancato ricorso ad una valutazione equitativa dello stesso. Ed infatti, la liquidazione in via equitativa, che può aver luogo soltanto in caso di impossibilità o difficoltà di una precisa prova sull’ammontare e sull’entità del danno subito, non esonera l’interessato dall’obbligo di offrire gli elementi probatori sulla sussistenza del medesimo – la quale costituisce il presupposto indispensabile per una valutazione equitativa – per consentire che l’apprezzamento equitativo sia, per quanto possibile, limitato alla funzione di colmare solo le inevitabili lacune al fine della precisa liquidazione del danno.
(Cass. civ., Sez. 2, 11/07/2007, n. 15585).
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, cedono a carico della ricorrente in favore del P. e sono liquidate, come da dispositivo. Non si provvede in ordine alle spese nei confronti della O’ XX s.r.l. in liquidazione rimasta intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 40,00 oltre Euro 4.000,00 per onorari, oltre IVA e c.p.a. e spese generali, in favore di P.O.. Nulla per le spese nei confronti della O’XX s.r.l. in liquidazione.
Così deciso in Roma, il 28 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2012
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