Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-05-2013) 18-06-2013, n. 26475

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza emessa in data 12 luglio 2011, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, il Tribunale di Rovigo condannava F.T. alla pena di sei mesi di arresto e di Euro 5.000,00 di ammenda per il reato di guida in stato di ebbrezza (art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c)); disponeva, inoltre, la revoca della patente e la confisca dell’autovettura. A seguito di impugnazione proposta dall’imputato, la Corte di appello di Venezia, con sentenza del 30 aprile 2012, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, concedeva al F. la sospensione condizionale, ma confermava nel resto.

Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il difensore del F. deducendo:

a) Violazione degli art. 446 c.p.p., comma 6, e art. 448 c.p.p.;

mancata allegazione di un motivo di rigetto dell’istanza di patteggiamento. Al fine di cogliere la portata della censura mossa con il motivo di ricorso in esame occorre delineare in breve la vicenda processuale: l’imputato, in sede di opposizione al decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti per il citato reato di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), aveva avanzato richiesta di patteggiamento; il giudice per le indagini preliminari, atteso il dissenso del pubblico ministero, aveva rigettato la richiesta rimettendo le parti al giudice monocratico, e la difesa aveva reiterato la proposta in sede di atti introduttivi; e però, il giudice del dibattimento, preso atto del permanente dissenso del pubblico ministero, aveva disposto l’apertura del dibattimento.

Ebbene, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 446 c.p.p., comma 6, e art. 448 c.p.p., sotto tre profili.

1. Il pubblico ministero non aveva espresso le ragioni del suo dissenso limitandosi a ritenere incongrua la proposta "senza tuttavia riferire le circostanze di fatto per cui tale giudizio veniva espresso".

2. Il giudice del dibattimento contrariamente a quanto previsto dall’art. 448 che prevede una sommaria delibazione circa la fondatezza della domanda di patteggiamento, si era invece limitato alla sola constatazione della presenza formale del dissenso del pubblico ministero.

3. Il giudice di prime cure, quindi, non solo non si sarebbe preoccupato di valutare la proposta ma non avrebbe neppure fornito una motivazione sulla non fondatezza della richiesta.

Il giudice di appello, invece, sempre a detta del ricorrente, "pur riscontrando negli atti quanto lamentato dalla difesa" avrebbe deciso "avocandosi un non previsto potere di integrazione della motivazione".

b) Violazione e falsa applicazione dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), in relazione all’applicazione della pena accessoria della revoca della patente per la recidiva nel biennio.

Il ricorrente assume che "in tema di revoca della patente per il reato di guida in stato di ebbrezza o in stato di alterazione psico- fisica per uso di sostanze stupefacenti, ai fini della realizzazione della condizione di "recidiva nel biennio", rileva non già la data di passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto reato precedente a quello per cui si procede, bensì la data di commissione dello stesso".

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo di impugnazione, e con riferimento alla doglianza sub 1, si osserva che nessuna rilevanza riveste il fatto che il pubblico ministero non abbia espresso le ragioni del suo dissenso al patteggiamento, non potendosi ricollegare a tale mancata motivazione del rappresentante della pubblica accusa alcuna sanzione di ordine processuale.

Il suddetto principio lo si ricava dalla stessa normativa relativa alla applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444 e 448 c.p.p.) nella quale non è previsto alcun obbligo per il pubblico ministero di motivare la sua adesione o il suo dissenso alla richiesta dell’imputato, formulata ex art. 444 c.p.p..

Perciò, il rappresentante della pubblica accusa può limitarsi a esprimere il proprio dissenso ai patteggiamento senza fornire alcuna indicazione in ordine ai motivi della sua scelta; e l’unica sanzione di fatto a tale comportamento è che il giudice potrebbe – non conoscendo le ragioni di quella decisione – ritenere il dissenso stesso ingiustificato.

Del pari infondata è la doglianza indicata sub 2, atteso che – secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, "il giudice non può delibare sulla richiesta di patteggiamento, rinnovata entro la dichiarazione di apertura del dibattimento per il dissenso espresso dal pubblico ministero, se non all’esito del giudizio, disponendo solo allora degli elementi per valutare se il dissenso sia giustificato o meno". (V. Corte cost., n. 426 del 2001 e n. 100 del 2003)" (Sez. 6^, Sentenza n. 42374 del 23/10/2009 Ud. dep. 04/11/2009 Rv 245005). Nè rileva che il giudice del dibattimento non abbia motivato in ordine alla non fondatezza della richiesta.

La prima ragione per cui non rileva tale difetto di motivazione è che, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, "il giudice non è tenuto, all’esito del dibattimento, ad enunciare specificamente le ragioni per le quali ritiene giustificato il dissenso del pubblico ministero sulla richiesta predibattimentale di applicazione della pena, sussistendo un obbligo di specifica motivazione solo quando, al contrario, ritenga tale dissenso ingiustificato" (Sez. 3^, Sentenza n. 12002 del 15/02/2011 Ud. dep. 25/03/2011 Rv. 249679). La seconda ragione – da cui discende l’infondatezza della doglianza sub 2 – è che la motivazione in ordine alla correttezza del dissenso del pubblico ministero è stata fornita dalla Corte di appello di Venezia; e che non può trovare accoglimento l’assunto difensivo secondo cui il giudice di secondo grado avrebbe "avocato a sè un non previsto potere di integrazione della motivazione". E infatti, ancora una volta secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte, "la mancanza assoluta di motivazione della sentenza non rientra tra i casi tassativamente previsti dall’art. 604 c.p.p., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integrai mente, la motivazione mancante" (Cass. Pen. Sez. 6^, 8 giugno 2011, n. 26075, RV 250513; conformi: RV 246227; RV 244118; RV 240554; RV 236062; RV 232058; 215726).

Ora, i giudici della Corte di appello di Venezia hanno evidenziato, nella sentenza impugnata, anzitutto che "la proposta avanzata non appariva congrua: a ben vedere il calcolo della pena non corrispondeva a quello per cui era stato emesso il decreto di condanna ed implicava una pena base non più di 6 mesi di arresto e 4.000 Euro di ammenda bensì di 4 mesi di arresto e 2.500 Euro di ammenda"; e subito dopo hanno affermato che "l’applicazione della pena è stata negata correttamente per difetto di congruità della stessa, ovvero essendo inadeguata la misura base della pena oggetto della proposta, pena che – muovendo da misura prossima al minimo edittale (rispetto alla pena edittale allora vigente da 3 mesi e 1 anno di arresto a da 1.500 a 6.000 Euro di ammenda) – non teneva adeguatamente conto del precedente penale specifico e non lontano nel tempo (guida in stato di ebbrezza e rifiuto di sottoporsi all’alcoltest)". Ebbene, in tal modo, i giudici del secondo grado hanno dato adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che li hanno indotti a confermare sul punto la decisione del tribunale, ed hanno chiarito, con argomenti logici, non censurabili in sede di legittimità, i motivi per cui hanno rigettato la doglianza difensiva in esame.

Del pari destituita di fondamento è la seconda censura.

E infatti, secondo la ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte, "in tema di revoca della patente per il reato di guida in stato di ebbrezza, ai fini della realizzazione della condizione di "recidiva nel biennio", rileva la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto – reato precedente a quello per cui si procede, e non la data di commissione dello stesso" (Cass. Pen., sez. 4^, 7 febbraio 2013, n. 15913, RV 255020; conformi: Cass. pen., sez. 4^, 17 ottobre 2012, n. 48286, RV 253923; Cass. pen., sez. 4^, 24 marzo 2010, n. 15657, RV 247029).

A tale giurisprudenza si sono uniformati i giudici del merito, evidenziando che la precedente condanna subita dal F. risaliva a Decreto penale emesso in data 8 giugno 2006, divenuto definitivo l’11 novembre 2006, e che il fatto nuovo era stato commesso in data (OMISSIS), circostanza questa per cui sussistevano nella fattispecie i presupposti della recidiva nel biennio, necessari per l’applicazione della sanzione accessoria della revoca della patente di guida. Conseguentemente, anche sotto tale profilo la decisione della Corte di appello di Venezia è corretta e resiste, perciò, alla censura difensiva in esame. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, in Camera di Consiglio, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2013

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