Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-08-2012, n. 14456

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata del 9 maggio 2007 La Corte d’appello di Torino accoglieva la domanda proposta da B.O. concernente il diritto all’assegno sociale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3.

La B., titolare dal 1997 dell’assegno di invalidità civile L. n. 118 del 1971, ex art. 13 al compimento dei 65 anni era divenuta titolare del predetto assegno sociale, la cui erogazione le era stata sospesa dall’aprile 2005, per superamento dei limiti di reddito per gli anni 2003 e 2004; la Corte territoriale riteneva, contrariamente all’assunto dall’ente previdenziale, che ai fini del riconoscimento delle prestazioni assistenziali in questione il reddito della casa di abitazione andasse escluso dal reddito imponibile.

Di questa sentenza l’INPS domanda la cassazione sulla base di un unico articolato motivo.

La B. resiste con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo l’Inps, denunciando violazione della L. n. 118 del 1971, art. 19 e della L. n. 335 del 1995, art. 3 nonchè D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies convertito in L. n. 33 del 1980 sostenendo che il reddito della casa di abitazione si computa ai fini del limite reddituale per le prestazioni di invalidità civile, posto che l’assegno social in godimento costituisce trasformazione del trattamento assistenziale.

Il ricorso non è fondato.

Occorre prendere le mosse dalla sentenza delle Sez. U, di questa Corte n. 10972 del 09/08/2001 con cui si è affermato che L’ammissione degli invalidi civili, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, alla pensione sociale erogata dall’INPS in sostituzione della pensione di invalidità corrisposta dal Ministero dell’interno ha, in applicazione della L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 19 carattere automatico e prescinde pertanto dall’accertamento, da parte di detto Istituto, della rivalutazione della posizione patrimoniale dell’assistito, costituendo la titolarità della pensione di invalidità sufficiente presupposto per il conseguimento della pensione sociale alle condizioni di maggior favore già accertate….

Quindi, per decidere la questione per cui è causa è necessario accertare quale fosse il limite reddituale prescritto per la prestazione assistenziale, di cui la controparte godeva, prima della sua trasformazione in assegno.

La L. n. 114 del 1974, art. 8 di conversione del D.L. n. 30 del 1974 (Condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili) stabiliva che le condizioni economiche per la concessione sia della pensione di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 sia per l’assegno di cui all’art. 13, fossero quelle previste dall’art. 3, della cit. legge per la concessione della pensione sociale.

Indi la L. n. 114 del 1974, art. 3 concernente la pensione sociale, dopo avere condizionato il diritto a pensione sociale a determinati limiti di reddito prevedeva che "dal computo del reddito suindicato sono esclusi gli assegni familiari e la casa di abitazione".

E’ vero poi che il D.L. n. 663 del 1979, art. 14 septies conv. in L. n. 33 del 1980 ha elevato i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art. 4 convertito in L. n. 114 del 1974, ma non ha per nulla modificato quella parte del comma 8 che escludeva il reddito della casa di abitazione ai fini del limite di legge. In altri termini, l’elevazione, per tener conto della svalutazione intervenuta nelle more, del limite reddituale non ha però travolto la specifica disposizione che escludeva appunto dal computo la casa di abitazione, facendo rinvio alla disciplina concernente la pensione sociale.

Anche nei riguardi di quest’ultima, la L. n. 153 del 1969, art. 26 esclude dal computo dei redditi il reddito dominicale della casa di abitazione.

Ed ancora lo stesso L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 6 prevede che per l’assegno sociale, il quale dal primo gennaio 1996 si eroga in luogo della pensione sociale, non si computano redditi casa abitazione.

Diversamente opinando il mantenimento del limite reddituale previsto per le prestazioni assistenziali, quando le medesime si convertono, al compimento dei 65 anni in pensione o assegno sociale, andrebbe a detrimento dell’interessato, nonostante che all’invalidità si accompagni anche la debolezza dell’età.

Nello stesso senso si è già espressa la sentenza di questa Corte n. n. 5479 del 05/04/2012, in cui si è affermato che In tema di pensione di inabilità, ai fini del requisito reddituale non va calcolato il reddito della casa di abitazione, in quanto la L. n. 118 del 1971, art. 12 rinvia per le condizioni economiche, alla L. n. 153 del 1969, art. 26 che, per la pensione sociale, esclude dal computo il reddito della casa di abitazione. Nè rileva, in senso contrario, la previsione di cui al D.M. n. 553 del 1992, art. 2 che impone, ai fini assistenziali, la denuncia dei redditi "al lordo degli oneri deducibili", in quanto la casa di abitazione, non costituisce, a tal scopo, un onere deducibile, ma una voce di reddito".

Detta sentenza rileva giustamente che non si può tenere conto di disposizioni dettate ad altri fini, come quelle che impongono la denuncia dei redditi ai fini assistenziali, perchè queste nulla dicono sulla determinazione effettiva del reddito da considerare ai fini del diritto alla prestazione.

Antecedentemente aveva deciso nello stesso senso Cass. n. 2509 del 08/04/1983.

Non sembra quindi condivisibile il diverso orientamento espresso dall’ordinanza di questa Corte n. 4223/2012.

Il ricorso va quindi rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro trenta/00 per esborsi ed Euro duemilacinquecento/00 per onorari, oltre spese generali, Iva e CPA. Così deciso in Roma, il 28 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2012
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