Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2013) 18-06-2013, n. 26439

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il Tribunale di Sala Consilina, con sentenza dell’8/1/2009, dichiarava P.L. e Pa.Le. colpevoli dei reati di cui all’art. 81 c.p., art. 609 bis c.p., comma 1 e cpv n. 1 e artt. 56 e 610 c.p., commessi in danno di L.M.T.;

dichiarava, altresì V.M. responsabile del solo reato di tentata violenza privata, così riqualificata l’originaria contestazione relativa al reato di subornazione, ex art. 377 c.p.;

condannava P.L. alla pena di anni 8 di reclusione, Pa.Le. ad anni 6 di reclusione, e la V. a mesi 5 di reclusione, con concessione del beneficio ex art. 163 c.p. solo per quest’ultima.

La Corte di Appello di Salerno, chiamata a pronunciarsi sugli appelli avanzati nell’interesse dei prevenuti, con sentenza del 20/4/2012, in parziale riforma del decisum di prime cure, concesse a P. L. le attenuanti generiche, ha rideterminato la pena nei confronti di costui in anni 4 e mesi 6 di reclusione, con conferma nel resto.

Avverso la detta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la difesa dei prevenuti, formulando ben otto motivi di annullamento, a mezzo dei quali, in maniera puntuale ed analitica, si procede ad un esame radiografico comparato tra i vari passaggi motivazionali, sviluppati in sentenza, e le emergenze istruttorie, così da rendere evidenti le discrepanze insite nel discorso giustificativo, attraverso cui la Corte territoriale perviene alla conferma del giudizio di responsabilità degli imputati in relazione ai fatti di reato ad essi ascritti. Le lacune e le illogicità motivazionali si palesano con netta evidenza perchè in dissonanza con le emergenze istruttorie.

La sentenza impugnata, inoltre, omette di riscontrare lo specifico motivo di appello relativo alla fattispecie di reato ex art. 81 c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 56 e 610 c.p., ascritto al Pa.

L., in quanto detto delitto non è configurabile in via autonoma, poichè, in forza del principio di specialità, ex art. 15 c.p., l’assunta minaccia sarebbe stata utilizzata per il fine di cui alla ipotesi del reato principale, ex art. 609 bis c.p., posto che la violenza privata ha carattere sussidiario e non è applicabile se il fatto ricade sotto altro titolo delittuoso, specificamente previsto dalla legge.

Di poi la Corte territoriale, per quanto attiene alla posizione processuale della V., è incorsa nella violazione dell’art. 521 c.p.p., per mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, da cui discende la nullità prevista dall’art. 522 c.p.p., atteso che l’imputata è stata condannata per un fatto non contestatole e in ordine al quale non aveva potuto esercitare il proprio diritto di difesa; peraltro, sul punto non sussistono elementi di prova a conferma della condotta posta in essere dalla prevenuta, se non quanto rendicontato dalla p.o..

La difesa della L. ha inoltrato in atti memoria evidenziando la inammissibilità delle censure mosse dai P. in quanto fondate su deduzioni fattuali, non proponibili in sede di legittimità; del pari manifestamente infondata è da ritenere la eccezione sollevata dalla V., che sarebbe stata condannata per un fatto non contestatole, in quanto, come rilevato correttamente dalla Corte di Appello, il giudice di prime cure si è limitato a dare al fatto contestato una definizione giuridica diversa. I ricorrenti vanno condannati alle spese del grado in favore della parte civile.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, svolta in sentenza, è da ritenere logica e corretta in punto di conferma della sussistenza dei reati contestati e della ascrivibilità di essi in capo ai prevenuti.

Il vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, permette di rilevare che la Corte distrettuale è pervenuta a ritenere corretto il giudizio di colpevolezza, pronunciato dal Tribunale, a seguito di una compiuta analisi estimativa degli elementi costituenti la piattaforma istruttoria, evidenziando come, al di là della complessiva attendibilità della ricostruzione della vicenda fornita dalla parte civile (acclarata dalle perizie del dott. R.P. e della dott.ssa N. C.), il compendio probatorio debba considerarsi arricchito dai molteplici e significativi elementi di riscontro esterni (dichiarazioni di F.N., di L.C., messaggio confessorio inviato da Pa.Le. alla p.o.), da considerarsi certamente in grado di superare le censure mosse dai prevenuti con l’atto di appello.

I motivi di annullamento, che per la loro stretta interconnessione possono essere esaminati congiuntamente, tranne le eccezioni di violazione dell’art. 610 c.p. e dell’art. 521 c.p.p., appaiono, nel loro complesso, manifestamente infondati, in quanto supportati da deduzioni fattuali, non proponibili in sede di legittimità.

Con netta evidenza i primi cinque motivi di impugnazione tendono ad una rinnovata lettura delle emergenze istruttorie, sulle quali a questa Corte è precluso procedere a nuovo esame valutativo.

Esula, infatti, dai poteri del giudice di legittimità quello di una rianalisi estimativa degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente, più adeguata valutazione delle risultanze processuali (ex multis Cass. S.U. 2/7/1997, n. 6402).

Il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la relativa motivazione sia: effettiva, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non manifestamente illogica, ovvero sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nella applicazione delle regole della logica; non internamente contraddittoria, cioè esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; non logicamente incompatibile con altri atti del processo dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa, tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento, svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione (Cass. 29/3/2006, n. 10951); nella specie è evidente che il discorso svolto rispetta i canoni indicati.

Del tutto priva di pregio è da ritenere la eccezione sollevata nell’interesse di Pa.Le. in ordine all’assorbimento del reato di tentata violenza privata in quello di violenza sessuale, in quanto in tema di reati sessuali è ammissibile il concorso con il delitto ex art. 610 c.p., quando quest’ultimo, pur strumentale rispetto alla condotta criminosa di cui all’art. 609 bis c.p., rappresenta un quid pluris, che eccede il compimento dell’attività sessuale coatta (Cass. 29/9/2006, n. 33662), come nel caso di specie.

Del pari, manifestamente infondata è la eccezione di violazione dell’art. 521 c.p.p., formulata nell’interesse della V.:

nella diversa qualificazione del fatto, in relazione alla posizione della imputata, non è ravvisabile alcuna violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, dal momento che gli elementi di fatto, costitutivi del ritenuto reato di tentata violenza privata, sono contenuti nella formulazione della imputazione, pur se diversamente rubricata in termini di subornazione di testimone.

Peraltro, a giusta ragione, la Corte territoriale ha rilevato che l’eccezione de qua non faceva parte dei motivi di appello ed era stata sollevata tardivamente, solo in fase di discussione, non immediatamente dopo la contestazione del fatto nuovo, come previsto dall’art. 182 c.p.p., comma 2 (Cass. 29/2/2008, n.9171).

In ordine alla sussistenza del reato di tentativo di violenza privata, ascritto alla prevenuta, il giudice di merito fornisce ampia ed esaustiva giustificazione, richiamandosi alle risultanze probatorie (dichiarazioni della p.o.).

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che P.L., Pa.Le. e V.M. abbiano proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, gli stessi, a norma dell’art. 616 c.p.p., devono, altresì, essere condannati al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno di essi al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di Euro 1.000,00, nonchè alla rifusione, in favore della parte civile, delle spese dalla stessa sostenute nel grado, liquidate in Euro 2.500,00, oltre i.v.a. e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2013

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