Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 23-05-2013) 18-06-2013, n. 26437

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Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Perugia, con sentenza del 6/3/2001, assolveva N.L. dal reato di violenza sessuale a danno di T.S. minore degli anni 14, figlia di F.F., convivente dell’imputato.

La Corte di Appello di Perugia, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto dal P.M. presso il Tribunale, con sentenza del 28/2/2012, in riforma del decisum di prime cure, ha dichiarato il prevenuto colpevole del reato ad esso ascritto, condannandolo alla pena di anni 2 e mesi 4 di reclusione.

Propone ricorso per cassazione la difesa del N., con i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., rilevato che unica prova assunta nei due gradi di giudizio risulta essere la deposizione della presunta p.o., la quale ha negato di essere stata oggetto di violenza sessuale da parte dell’imputato, con il quale, peraltro, ha ripreso da tempo la convivenza;

-erra il giudice di appello nell’utilizzare ed attribuire valore probatorio a dichiarazioni rese fuori dal processo penale, davanti al got del Tribunale per i minorenni, in difetto delle garanzie che sono proprie del processo medesimo ed in palese violazione delle norme che stabiliscono le modalità di assunzione delle prove ed i criteri di utilizzabilità delle stesse;

– vizio di motivazione in relazione alla valutazione delle dichiarazioni testimoniali rese nel giudizio di appello, ritenute mendaci.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato per quanto di ragione.

Va, preliminarmente, evidenziato che nel corso del primo grado del giudizio, a seguito della richiesta formulata nell’interesse del prevenuto di essere giudicato con rito abbreviato, accolta dal Gip, lo stesso giudice, rilevato di non potere decidere allo stato degli atti, disponeva l’audizione della minore ed una perizia ginecologica sulla stessa.

A seguito dei rilievi sottoposti dai genitori adottivi, adombranti un pericolo di danno alla psiche della T.S., qualora costei fosse stata sottoposta ad interrogatorio, lo stesso giudice revocava la disposta assunzione testimoniale.

La perizia ginecologica sulla vittima, al fine di accertare la sussistenza di eventuale deflorazione, non veniva esplicata, per la impossibilità, secondo il nominato perito, di assolvere al mandato affidatogli.

A fronte di ciò, il Gip riteneva la tesi accusatoria non sorretta da alcuna prova, per cui assolveva l’imputato dal reato ad esso ascritto.

La Corte territoriale, investita a decidere sull’appello avanzato dal Procuratore Generale di Firenze, rilevata la assoluta carenza di riscontri probatori, criticando la scelta del tutto ingiustificata del giudice di prime cure, che aveva revocato la disposta audizione della minore, ha ritenuto necessario, al fine di rendere una corretta pronuncia sulla vicenda de qua, ordinare l’assunzione a testimoniare della T., ormai venticinquenne.

Costei ha deposto nel senso di non ricordare alcunchè dell’accaduto, quindi, contraddicendo totalmente il contenuto del verbale redatto in sede di sua audizione davanti al Got presso il Tribunale per i minorenni di Roma in data 31/10/97.

Il giudice di seconde cure, prendendo le mosse dal ritenuto mendacio della T. in sede di appello, ha considerato attendibile il narrato offerto dalla stessa nel corso della predetta audizione davanti al Tribunale per i minorenni, così da pervenire alla affermazione di concretizzazione del reato di cui alla imputazione e alla ascrivibilità di esso in capo all’imputato.

Con i motivi di annullamento si censura l’iter logico-giuridico, svolto dalla Corte distrettuale, evidenziando che l’unica prova emersa nelle fasi processuali scagiona il N., mentre, di contro, in maniera del tutto illogica ed apodittica la stessa Corte perviene ad un giudizio di colpevolezza dell’imputato.

Orbene, si osserva che il vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata pronuncia, in correlato alle censure mosse in ricorso, permette di ravvisare dei vuoti argomentativi evidenti nel corpo della decisione gravata:

– in primis, va rilevato che il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di indicare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa, ritenuta, incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Cass. 20/9/2005, n. 33748; Cass. 11/11/2008, n. 42033).

Nella specie, la carenza giustificativa si palesa evidente, visto che la Corte territoriale si è limitata a censurare la scelta effettuata dal Gip nel revocare la ordinanza con la quale era stata disposta l’audizione della minore.

– secondariamente, è da ritenere scarsamente logico il criterio di valutazione, applicato dal giudice di appello, col fondare il giudizio di condanna essenzialmente sulla ritenuta falsità della deposizione della p.o.; che avvalorerebbe la precedente dichiarazione, di cui al verbale del 31/10/1997: viene ritenuto falso il riferito dalla T. in sede di deposizione testimoniale, in difetto di dovuta rappresentazione del motivo, ampiamente esposto dal Gup di Perugia, in sentenza di primo grado, per cui quanto dichiarato dalla minore al Got del Tribunale di Roma dovesse ritenersi falso, o quanto meno frutto di elaborazione o addirittura il sistema più veloce ed efficace adottato dalla bambina per andare a vivere in una nuova famiglia affidatala, nella speranza di trovare, finalmente, quella serenità che fino a quel momento adolescenziale non le era stata concessa.

Conseguentemente, si ritiene di dovere annullare la impugnata pronuncia con rinvio, affinchè il giudice ad quem, in considerazione delle osservazioni ut supra svolte, proceda a nuovo esame.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 18 giugno 2013

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