Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 13-08-2012, n. 14452

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Bolzano, il prof. A.M. R., dal 1 ottobre 1997 insegnante di musica nel ruolo organico dell’Istituto di educazione musicale di lingua tedesca e ladina, nella materia principale clarinetto e secondaria sassofono, impugnava il licenziamento intimatogli con lettera del Direttore della Ripartizione Provinciale Personale del 7 agosto 2006, per ritenuto "persistente insufficiente rendimento", consistente nei gravi fatti ivi indicati, in tesi dimostrativi della "piena incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio", ed impugnava inoltre tutti i provvedimenti adottati nel corso di un precedente procedimento disciplinare, avviato nel 2003 e conclusosi con l’irrogazione della sanzione della sospensione dal servizio per sessanta giorni in data 17 novembre 2004. Chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro, con condanna dell’amministrazione al pagamento di tutte le retribuzioni arretrate, ed al risarcimento dei danni cagionatigli dagli ingiustificati procedimenti e provvedimenti disciplinari.

Costituitasi l’amministrazione, il giudice, ritenendo di poter prescindere dall’istruttoria orale, considerata l’ampia documentazione scritta relativa alle vicissitudini del rapporto di lavoro, ed ai fatti di presunto rilievo disciplinare, con sentenza del 26 marzo 2008, rigettava tutte le domande attoree, ritenendo raggiunta la prova della sussistenza di un giustificato motivo di licenziamento, e la validità dello stesso anche sotto il profilo procedurale, e precluso invece un riesame della sanzione espulsiva inflitta con provvedimento del 17 novembre 2004, essendosi proceduto a riduzione, col consenso del lavoratore, della sanzione espulsiva a quella della sospensione del servizio con riduzione dell’orario di lavoro, rendendo il detto consenso la sanzione insuscettibile di ulteriore impugnazione ai sensi dell’art. 60, comma 6, del c.c.i.p. del 2002.

Avverso tale sentenza proponeva appello il R., esponendo che la stessa Provincia gli aveva inizialmente contestato talune circostanze, non più richiamate nella lettera di licenziamento, e precisamente quelle di cui ai punti 3 e 12 della lettera di contestazione, ossia tentativi, di presunto rilievo anche penale, di truffa; che il Tribunale aveva comunque omesso di valutare gli elementi a discolpa forniti da esso appellante; che i fatti contestati erano come tali inidonei a fondare validamente un licenziamento per persistente ingiustificato rendimento, ed ugualmente inidonei a fondare un licenziamento per incapacità ad adempiere agli obblighi di servizio; che risultavano anche violati i principi di proporzionalità, gradualità e tassatività, nonchè i criteri generali posti dalla contrattazione collettiva, ed inoltre i principi di immediata contestazione degli addebiti ed il principio di correttezza e buona fede contrattuale; che era mancata, infine, l’affissione del codice disciplinare. Inoltre riproponeva anche l’impugnazione del precedente provvedimento disciplinare del 2004, essendo la sua accettazione stata determinata da violenza morale, ed insisteva altresì per la declaratoria di illegittimità dell’unilaterale trasformazione del suo orario di lavoro, da tempo pieno a tempo parziale per il periodo settembre 2004 – agosto 2005, con conseguente condanna al risarcimento dei danni.

Costituendosi in giudizio, l’amministrazione appellata contestava la fondatezza dell’impugnazione, chiedendone il rigetto.

La Corte d’appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ammessa ed espletata prova testimoniale, con sentenza depositata il 26 aprile 2010, respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il R., affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste la Provincia di Bolzano con controricorso.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione ed erronea applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 1, in relazione agli artt. 55 e 58, comma 1, lett. e), del contratto collettivo intercompartimentale provinciale del 2002, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta il ricorrente che i due motivi posti a base del licenziamento non dimostravano in alcun modo la dedotta sua incapacità di adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio, essendo le mancanze in questione sanzionate, dalle citate disposizioni contrattuali collettive, con provvedimenti conservativi.

Riportava quindi in ricorso il contenuto degli artt. da 55 a 59 del c.c.i.p., evidenziando che i fatti così come emersi dall’istruttoria, sovrattutto testimoniale (di cui riportava una propria ricostruzione), erano risultati del tutto ridimensionati rispetto a quelli contestati, e spesso sforniti di prova.

Il motivo è inammissibile, in primo luogo per la mancata produzione (o indicazione della sua ubicazione all’interno dei fascicoli di parte, Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726) del c.c.i.p., inerente diversi comparti lavorativi pubblici della Provincia di Bolzano (personale dell’amministrazione provinciale; dei Comuni e delle Case di riposo; del servizio sanitario provinciale, etc.).

Deve infatti osservarsi che in tema di giudizio per cassazione, l’esenzione dall’onere di depositare il contratto collettivo del settore pubblico su cui il ricorso si fonda deve intendersi limitata ai contratti nazionali, con esclusione di quelli integrativi, atteso che questi ultimi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8 (Cass. 11 aprile 2011 n. 8231).

In tal senso, con riferimento alle norme del contratto integrativo provinciale applicabile nelle Province autonome di Trento e di Bolzano, Cass. 2 marzo 2009 n. 5025, secondo cui è inammissibile la denuncia, con ricorso per cassazione, della violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, in riferimento alle norme del contratto (integrativo) collettivo provinciale del lavoro della dirigenza medica e veterinaria del 25 maggio 2002, applicabile nelle Province autonome di Trento e Bolzano, ostandovi la testuale e specifica limitazione al livello nazionale della contrattazione collettiva, che investe anche il potere di diretta interpretazione del contratto collettivo di diritto comune attribuito, dalla novella legislativa, alla Corte di cassazione.

L’inammissibilità del motivo deriva inoltre dalla circostanza che esso ripropone e richiede alla Corte una nuova valutazione dei fatti e delle risultanze istruttorie.

Giova al riguardo rammentare che il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), non equivale alla revisione del "ragionamento decisorio", ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 6 marzo 2006 n. 4766; Cass. 25 maggio 2006 n. 12445; Cass. 8 settembre 2006 n. 19274;

Cass. 19 dicembre 2006 n. 27168; Cass. 27 febbraio 2007 n. 4500;

Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1455, 2106 e 2119 c.c.; L. n. 300 del 1970, art. 7 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), oltre ad un difetto assoluto di motivazione in ordine alla proporzionalità della sanzione adottata, ed alla corretta valutazione di tutte le circostanze caratterizzanti il caso di specie.

Lamentava inoltre che la Corte di merito ritenne di poter valutare in modo più grave di quanto previsto dalla contrattazione collettiva con riguardo alle singole infrazioni, il comportamento complessivo del ricorrente al fine di giustificarne il licenziamento. Anche tale motivo risulta in larga parte inammissibile per richiedere alla Corte un riesame del fatto e delle risultanze istruttorie, rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito (cfr. giurisprudenza sopra citata).

Deve peraltro chiarirsi che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa. Cass. 16 luglio 2010 n. 16698; Cass. 26 marzo 2010 n. 7394.

Nel merito deve rimarcarsi che ben può il datore di lavoro, come affermato nella sentenza impugnata, contestare unitariamente al lavoratore una serie di infrazioni omogenee, al fine di valutare nel modo più appropriato la natura e gravità della condotta (Cass. n. 2283 del 2010; Cass. n. 2579 del 2009), conseguendone anche la necessità per il giudice di merito di una valutazione complessiva della loro incidenza sul rapporto di lavoro (Cass. 27 gennaio 2009 n. 1890).

Come anzi chiarito da Cass. 14 settembre 2007 n. 19232 (cui adde:

Cass. 13 febbraio 2012 n. 2013 in tema di proporzionalità), allorquando vengano contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice di merito deve esaminarli non partitamente, ma globalmente al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia riposta dal datore di lavoro nel dipendente, atteso che la molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che costituisce ulteriore negazione degli obblighi del dipendente ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento degli obblighi stessi.

La motivazione sul punto della sentenza impugnata risulta dunque logica e conforme ai principi ora enunciati, sicchè il motivo deve in definiva respingersi.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia un difetto assoluto di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) quanto al primo procedimento disciplinare, con particolare riferimento alla riduzione dell’orario di lavoro che venne disposta in tale occasione, riduzione dal ricorrente non accettata (a differenza di quella della sospensione dal servizio).

La censura è infondata, avendo la Corte di merito adeguatamente esaminato la censura e respintala, rilevando che l’accettazione della sanzione della sospensione seguiva l’accordo tra le parti in base al quale l’amministrazione rinunciava alla sanzione espulsiva alla condizione dell’accettazione della riduzione dell’orario di lavoro stabilita, rendendo così la sanzione inoppugnabile ai sensi dell’art. 60, comma 6, del c.c.i.p. Tale statuizione non viene adeguatamente censurata dal ricorrente, che peraltro, come detto, non produce, nè indica la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, il c.c.i.p, in questione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla valutazione dell’istruttoria testimoniale, lamentando che la Corte di merito non valorizzò una serie di testimonianze di cui riportava una sintetica ricostruzione.

Il motivo è inammissibile, per richiedere alla Corte un riesame delle prove testimoniali, laddove il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti è inammissibile, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata (ex plurimis, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

5. Il ricorso deve pertanto rigettarsi.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 maggio 2012.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2012
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