Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-05-2013) 13-06-2013, n. 26090

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo
1. Con istanza depositata l’8 novembre 2012 il difensore di fiducia di T.A., imputato dei reati previsti dall’art. 416 c.p., comma 2, art. 110, 477 e 482 c.p., commesso il 21 maggio 2010, chiedeva al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli di sollevare conflitto di competenza con il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, dinanzi al quale pendeva procedimento penale per i reati disciplinati dagli artt. 110, 477 e 482 c.p., art. 61 c.p., n. 2, artt. 56 e 640 c.p. riportati nell’avviso di conclusione delle indagini e nell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare fissata per il 20 settembre 2011, poi rinviata. Atteso che entrambi i giudici procedevano per i medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, ricorreva un caso di conflitto positivo di competenza ex art. 28 c.p.p..
Motivi della decisione
Il conflitto è insussistente.
1. Per aversi un conflitto di competenza occorre la coesistenza di volontà contrastanti di due o più giudici di prendere o ricusare la cognizione del medesimo reato con conseguente paralisi del procedimento.
Ne consegue che presupposto necessario di un procedimento incidentale di conflitto è una situazione di contrasto relativamente alla quale solo il giudice può sollevare conflitto e non già le parti, le quali sono abilitate a denunciare unicamente una situazione conflittuale reale ed effettiva e non potenziale (Sez. 1, 3.12.1993, n. 04493, confl, comp. P.M. Trib. Grosseto e Pret. Grosseto in proc. Lenzi, riv. 195742).
In presenza di un atto di parte, da questa qualificato come denuncia di conflitto, il giudice è tenuto a disporne l’immediata trasmissione alla Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 30 c.p.p., comma 2, solo in quanto il contenuto dell’atto di parte, da questa qualificato come denuncia o "sollecitazione" di conflitto, corrisponda esattamente alle previsioni di cui all’art. 28 c.p.p., nel senso che, in base a quanto in esso rappresentato (indipendentemente dalla fondatezza o meno), sia astrattamente configurabile una situazione in cui, secondo la parte, vi siano due o più giudici che contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla medesima persona. Tale condizione non si verifica e l’adempimento anzidetto non deve, quindi, avere luogo, quando la parte non denunci, di fatto (come nel caso in esame), alcun conflitto, ma si limiti a sollecitare il giudice affinchè crei la situazione di conflitto, contestando la competenza di altro giudice in relazione ad un processo in corso di trattazione dinanzi allo stesso (Sez. 1, 21.12.1993, n. 04817, confl, comp. Trib. E Ass. Palmi in proc. Gallico, riv. 196074; Sez. 6, 4.9.1996, n. 02630, rie. Tonini, riv. 205860).
In questa ipotesi il giudice, ove non ritenga di aderire a tale sollecitazione (nel qual caso risulterà applicabile l’art. 30 c.p.p., commi 1 e 2), dovrà considerare l’atto di parte alla stregua di una comune eccezione di incompetenza o di una generica richiesta, formulata ai sensi dell’art. 121 c.p.p., provvedendo di conseguenza (Sez. 1, 27.9.1994, n. 03507, confl, comp. Pret. e Trib. Massa in proc. Camusi, riv. 200045).
2. Il ne bis in idem è, quindi, finalizzato ad evitare che per lo "stesso fatto" si svolgano più procedimenti e si adottino più provvedimenti anche non irrevocabili, l’uno indipendentemente dall’altro, e trova la sua espressione in rapporto alle diverse scansioni procedimentali disegnate dal legislatore. In primis l’art. 28 appresta il rimedio atto a risolvere le ipotesi di litispendenza risultanti dalla simultanea instaurazione dinanzi a giudici diversi di due processi contro la stessa persona per il medesimo fatto, dato che la contemporanea cognizione dell’identica regiudicanda ad opera di giudici differenti, uno dei quali è certamente incompetente, integra un conflitto positivo, risolubile proprio con l’applicazione delle disposizioni degli artt. 28 e srgg.. In simili casi, il criterio di risoluzione della litispendenza è costituito dall’applicazione delle disposizioni del codice che regolano la competenza, che devono sempre prevalere sui parametri empirici della progressione (Sez. 1, 23.11.2004, XXX, CED 222078; C 3^ 23.4.1995, p.m. in proc. XXX, CED 204728) o della maggiore ampiezza della regiudicanda (Sez. 1 20.6.1997, confi, comp. in proc. Ripa, CED 208240; Sez. 1 10.11.1989, XXX, CED 182551), il cui impiego è consentito a condizione che la concentrazione dei procedimenti si realizzi dinanzi al giudice precostituito per legge in base alle norme sulla competenza.
3. L’espressione "medesimo fatto" – la cui cognizione costituisce condizione per la configurabilità del conflitto – è assunta nel suo significato comune per designare l’elemento materiale del reato nelle sue tre componenti costituite dalla condotta, dall’evento e dal rapporto di causalità, realizzatosi nelle identiche condizioni di tempo, di luogo e di persona, nel senso che è indispensabile la piena coincidenza degli elementi strutturali e temporali del fatto, sia dal punto di vista soggettivo, sia da quello oggettivo, con la conseguenza che qualsiasi apprezzabile differenza degli elementi costitutivi delle fattispecie dedotte nei due distinti procedimenti impedisce che possa considerarsi esistente il presupposto dell’identità ontologica del fatto e che possa, quindi, ipotizzarsi un conflitto di competenza ai sensi dell’art. 28, comma 1 (Sez. U. 28.6.2005, P.G. in proc. Donati, CED 231799).
4. Nel caso di specie, dagli atti acquisiti emerge che i fatti per i quali procede l’Autorità giudiziaria di Napoli non sono i medesimi oggetto della cognizione del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, avuto riguardo alla tipologia delle condotte contestate e alla loro qualificazione giuridica, quali desumibili dalle diverse imputazioni formulate nei due processi.
Per tutte queste ragioni, quindi, il conflitto deve ritenersi insussistente.
P.Q.M.
Dichiara insussistente il conflitto.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 13 giugno 2013

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