Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14522

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Svolgimento del processo
E’ controversa l’avvenuta usucapione di un terreno con soprastante villetta siti in (OMISSIS), che il ricorrente Z.E. afferma di aver posseduto dal 1971 quanto al terreno e dal 1973 quanto al fabbricato ivi costruito.
L’azione è stata promossa nel settembre 2000 da Z., per sè e la moglie in regime di comunione dei beni, nei confronti degli odierni resistenti D.M.C. e A.L., al tempo solo nudi proprietari, nonchè nei confronti di D.M. G. e B.A., che erano usufruttuari.
Costoro avevano acquistato l’immobile nel 1991 dalla XXX srl, società costituita da Z. e dal fratello nel 1972 per acquistare il terreno e costruirvi due villette-Stando al ricorso, il fallimento della XXX e gli accordi presi con gli intestatari fittizi delle quote di essa, avevano condotto questi ultimi alla vendita ai D.M..
I D.M. il 31 gennaio 1992 (ricorso pag. 5) avevano agito in rivendicazione, causa sospesa in attesa della definizione di quella odierna.
La domanda di usucapione svolta da Z. è stata respinta dal tribunale di Milano il 5 aprile 2004 e dalla Corte di appello il 16 ottobre 2009.
Il ricorso per cassazione, imperniato su quattro motivi e resistito da controricorso, è stato già trattato in Camera di consiglio.
Rimesso a pubblica udienza, giunge a decisione dopo il deposito, in prossimità dell’udienza, di memoria dei controricorrenti D. M. e A..
Motivi della decisione
2) Preliminarmente va rilevato infondatamente il contro ricorrente ha eccepito l’inammissibilità del ricorso perchè la firma in calce al mandato sarebbe stata autenticata da difensore non iscritto all’albo dei patrocinanti in cassazione.
Come rilevato dal ricorrente nella memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c., il ricorso era stato sottoscritto anche da altro difensore abilitato.
Tale firma, contrariamente a quanto sostenuto nella memoria di parte ricorrente non è irrilevante.
Secondo le Sezioni Unite (Cass. 10732/03) la mancata certificazione (o la certificazione) da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Suprema Corte dell’autografia della sottoscrizione della parte ricorrente (o di quella resistente) apposta sulla procura speciale "ad litem" rilasciata "in calce" o "a margine" del ricorso (o del controricorso) per Cassazione, costituisce mera irregolarità allorchè l’atto sia stato firmato anche da altro avvocato iscritto nell’albo speciale e indicato come codifensore. Tale irregolarità, non comporta la nullità della procura ad litem, sanabile per effetto della costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con specifiche argomentazioni, l’autografia della firma di rilascio della procura. In mancanza di tali contestazioni nella specie va quindi affermata la regolarità della costituzione in giudizio.
3) Il primo motivo di ricorso lamenta nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c..
Parte ricorrente sostiene che doveva essere citata in giudizio anche la propria moglie, P.E., in forza del regime di comunione dei beni quale acquirente ope legis ex art. 177 c.p.c..
La tesi è infondata. La Corte ha già avuto modo di affermare che in tema di giudizio diretto all’accertamento dell’usucapione, la fattispecie del litisconsorzio necessario ricorre esclusivamente nel caso in cui la pluralità soggettiva sia rinvenibile dal lato passivo del rapporto, cioè tra coloro in danno dei quali la domanda è diretta, non anche nell’ipotesi in cui essa si riscontri dal lato attivo, atteso che, in tale evenienza, l’azione proposta e1 diretta a costituire una situazione compatibile con la pretesa che i soggetti non citati in giudizio potranno eventualmente vantare in futuro.
(Cass. 6163/06).
A questo orientamento intende dare continuità, non senza rilevare che nella specie l’acquisto non è ancora avvenuto, poichè gli acquisti di beni immobili per usucapione effettuati da uno solo dei coniugi, durante il matrimonio, in vigenza del regime patrimoniale della comunione legale, entrano a far parte della comunione stessa, solo con la maturazione del termine legale d’ininterrotto possesso richiesto dalla legge, attesa la natura meramente dichiarativa della domanda giudiziale.
Inoltre, ove si deduca che anche l’altro coniuge abbia posseduto, l’eventuale rigetto della domanda proposta da uno non pregiudica quella proponibile dall’altro, atteso che la prova del possesso dell’uno non implica necessariamente quello dell’altro e viceversa.
4) Il secondo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla sussistenza di possesso ultraventennale.
La doglianza si riferisce alla mancata valorizzazione delle prove documentali, ma soprattutto alla mancata ammissione delle prove testimoniali richieste e non ammesse.
Essa è per più profili infondata.
In primo luogo il ricorso non riporta il contenuto dei capi di prova testimoniale, nè indica se e quando vennero formulati. Tali precisazioni sono indispensabili alla Corte per stabilire se si trattava di risultanze decisive e ammissibili, cioè ritualmente introdotte e idonee a ribaltare la decisione di primo grado. Inoltre la Corte da un lato ha rilevato che l’autorizzazione alla recinzione risaliva al novembre 1972, quindi a soli 19 anni prima dell’inizio dell’azione, dall’altra che comunque non era stato provato il possesso, ma solo alla detenzione e che l’appellante non aveva fornito elementi idonei a qualificare come possesso la semplice detenzione riscontrata dal giudice di primo grado.
5) Vizi di motivazione sono dedotti con il terzo motivo, che sfocia in parte nella critica alla qualificazione come detenzione della situazione vantata dal ricorrente.
La censura ripercorre le vicende di una sentenza del tribunale di Milano, menzionata a pag. 9 della sentenza impugnata, nella quale sarebbe stata affermata la nullità dell’accordo di cessione fittizia delle quote della società XXX e la conseguente nullità del successivo atto di trasferimento a favore di tali sigg.
S. e T..
Ora, la Corte d’appello ha negato che tale nullità sia opponibile agli appellati, acquirenti a loro volta, per mancanza dell’elemento soggettivo, cioè di buona fede degli appellanti, rimasta non provata.
Il ricorso riporta una serie di argomenti di fatto, che la sentenza impugnata non contiene, e cita un breve brano della pronuncia del tribunale resa nell’altro giudizio, ma si limita, in proposito, a porre alcuni interrogativi e non inficia decisivamente la valutazione di merito data dalla Corte in ordine alla natura di detenzione della situazione.
Rimane infatti insuperata, tra l’altro, la circostanza che la vendita a XXX avviene nel dicembre 1972 sicchè, a fronte della citazione del gennaio 1992, i venti anni non sarebbero comunque maturati, anche se si volesse prendere la vendita come data di riferimento di un possesso pieno. Rimane non provata la sussistenza di condizione possessoria nella fase anteriore, in cui vi era solo un contratto preliminare al quale, secondo la sentenza, l’appellante farebbe risalire l’inizio del possesso (sent. Pag. 8). Opportunamente la sentenza impugnata rileva però che tale preliminare non è stato neppure prodotto.
6) L’ultimo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 1141 c.c..
La censura, che doveva riguardare la violazione dell’art. 2697 c.c., in quanto sembra mirata a lamentare violazione dei principi sul riparto dell’onere probatorio, è sostanzialmente assorbita dall’esame delle censure precedenti. Essa muove infatti dal presupposto, negato dalla Corte d’appello, che fosse stata data sufficiente prova dell’elemento materiale del possesso, risalente al 1971.
Poichè di tale prova, che poteva essere data testimonialmente e che era indispensabile presupposto della domanda di usucapione, non v’è acquisizione e la censura relativa alla mancata ammissione di prove testimoniali è stata qui ritenuta inammissibile, la doglianza di cui al quinto motivo non merita accoglimento.
Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 5.000 per onorari, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 19 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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