Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14520

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Svolgimento del processo
Con ricorso deposito il 1 ottobre 2007, dinanzi alla Corte di appello di Brescia, l’Avv.to G.M. formulava, ai sensi della L. 13 giugno 1942, n. 794, art. 28, richiesta di liquidazione di compensi e spese per l’attività difensiva prestata in favore della XXX s.r.l. nel giudizio di appello n. 405/2005, definita con sentenza della medesima corte n. 307/2007 del 10.1/23.4.2007 e nella successiva fase esecutiva, promossa in forza delle statuizioni contenute nella predetta decisione.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della XXX, che sollevava diverse eccezioni riguardanti sia la congruità delle richieste del professionista sia, in via gradata, l’applicabilità della norma di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5, la Corte di appello adita, in parziale accoglimento della richiesta, liquidava in favore del ricorrente la complessiva somma di Euro 3.278,00.
A sostegno della adottata decisione la corte distrettuale evidenziava che nella specie trovava applicazione il D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5, in quanto, come emergeva evidente dalia lettura del provvedimento giurisdizionale e dalla lettera dello stesso professionista del 7.6.2005, l’Avv.to G. aveva provveduto alla unitaria difesa di tre soggetti, la XXX, C.M. e la Immobiliare XXX, anche se da un punto di vista meramente formale, per ragioni di opportunità, risultavano essere parti assistite e rappresentate da differenti professionisti. Di conseguenza, trattandosi di difesa unitaria di tre parti, in rapporto al compenso già liquidato dalla Corte con decreto del 30.1.2008 e corretto con ordinanza dei 4.2.2008 nell’ammontare di Euro 14.290,75 (di cui Euro 4.248,00 per diritti ed Euro 8.150,00 per onorari per il giudizio di appello ed Euro 704,31, di cui Euro 475,00 per diritti ed Euro 45,00 per onorari), andava liquidato il solo ulteriore importo di Euro 3.260,00 e di Euro 18,00, rispettivamente per il giudizio di appello e per la fase esecutiva.
Ha impugnato tale provvedimento, ai sensi dell’art. 111 Cost., l’Avv.to G. articolando tre motivi.
La società intimata non si è costituita.
Parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione di legge con riferimento al D.M. n. 127 del 2004, art. 5, nonchè apparente e/o perplessa motivazione per non avere la corte tenuto conto che la fattispecie disciplinata dalla norma invocata non è sinonimo di unicità di difesa, ma di sostanziale identità delle questioni trattate, esclusa dalle argomentazioni esposte nella sentenza n. 307/2007 e dall’autonoma liquidazione delle spese di cui la XXX s.r.l., l’Immobiliare XXX s.p.a. e C.M., avevano beneficiato. Prosegue il ricorrente che al più nella specie si sarebbe versato nell’ipotesi del quinto comma della norma e non nel quarto, stante la posizione di appellata della XXX nel giudizio promosso dal C.; situazione aggravata dal fatto che nella sentenza resa nel giudizio nel quale il professionista aveva prestato l’attività difensiva erano state liquidate in favore della XXX spese processuali per complessivi Euro 11.957,66, mentre dovrebbe corrispondere in favore del professionista la minore somma di Euro 3.260,00. Aggiunge il ricorrente che la corte distrettuale ha ritenuto di applicare il comma 4 dell’art. 5 anche per la fase esecutiva, liquidando Euro 18,00, senza tenere conto che la disposizione non poteva applicarsi alle spese, diritti ed onorari dovuti per l’autonomo atto di precetto difettando del presupposto, ossia il trattarsi della stessa causa.
Il motivo va accolto nei termini di seguito esposti.
Il ricorrente lamenta l’assoluta inadeguatezza della motivazione laddove riflette la inesistente situazione di "un’attività difensiva svolta in favore di più soggetti aventi la stessa posizione processuale" desunta con generico richiamo alla sentenza n. 307 del 2007 resa dalla stessa corte distrettuale, investita poi del procedimento di liquidazione L. n. 794 del 1942, ex art. 28 e dalle affermazioni contenute nella lettera datata 7.6.2005.
Quanto al contenuto dell’ultimo documento, debitamente trascritto dal ricorrente (v. pagina 10 del ricorso), va osservato che nella lettera viene evidenziato – come del resto riconosciuto dallo stesso giudice distrettuale – la sola assunzione di "una difesa unitaria di tre persone", elemento che non coincide con la identità della posizione processuale prevista dal D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 4 e dunque non sussiste alcuna rispondenza della situazione descritta nella missiva rispetto al dettato normativo.
Relativamente alle statuizioni della sentenza n. 307 del 2007, che il ricorrente provvede a trascrivere per la parte che interessa in questa sede (v. pagine 12, 17 e 18 del ricorso), viene sottolineato che l’odierna intimata, risultata vittoriosa in quel giudizio di appello, si era vista applicare, nella liquidazione delle spese processuali in suo favore, il D.M. n. 127 del 2004, art. 5, comma 5, il che postula, pur nella identità della posizione processuale dei vari clienti, la sussistenza di situazioni particolari di fatto o di diritto, facenti capo a ciascuno di essi, rispetto all’oggetto della causa, con necessità di apposito esame da parte del professionista unitariamente officiato.
Va, inoltre, rilevato che pur trovando il D.M. n. 127 del 2004, art. 5, applicazione anche in relazione alle procedure esecutive, il giudice distrettuale non ha tenuto conto del fatto che il precetto non costituisce atto del processo (v. in tal senso Cass. 7 febbraio 2012 n. 1687; Cass. 8 maggio 2006 n. 10497), sicchè difettava della identità di causa richiesta dall’art. 5, comma 4, del decreto citato per siffatta liquidazione.
In conclusione, la gravata sentenza incorre nelle censure denunziate con il mezzo di ricorso indicato e, sia pure esclusivamente riguardo al predette prospettazioni, essa va cassata.
Con il secondo motivo viene denunciata la violazione di legge con riferimento agli artt. 1219, 1223, 1224 e 1282 c.c., nonchè apparente e/o perplessa motivazione perchè nonostante l’invio della parcella, atto idoneo a costituire in mora il debitore, la corte di merito ha riconosciuto la decorrenza degli interessi legali dalla domanda giudiziale. Il motivo non merita accoglimento.
Questa corte ha avuto modo di precisare in numerose occasioni che "se è vero che, in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato e procuratore a carico del cliente, la disposizione comune alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale) contenuta nel D.M. 14 febbraio 1992, n. 238, prevede che gli interessi di mora decorrano dal terzo mese successivo all’invio della parcella, quanto tuttavia sorge controversia tra l’avvocato ed il cliente circa il compenso per prestazioni professionali, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che avviene con l’ordinanza che conclude il procedimento della L. 13 giugno 1942, n. 794, ex art. 28 (che è di particolare sollecita definizione), sicchè è da quella data – e nei limiti di quanto liquidato dal giudice – e non da prima che va riportata la decorrenza degli interessi" (in tal senso, Cass. 29 maggio 1999 n. 5240; seguita da Cass. 7 giugno 2005 n. 11777; da ultimo Cass. 2 febbraio 2011 n. 2431).
Nella specie la corte distrettuale ha fatto corretta applicazione del predetto principio essendo la liquidazione de compenso determinata in esito a procedura L. n. 794 del 1942, ex art. 28, nel corso della quale la XXX ha sollevato eccezioni riguardanti la congruità ed adeguatezza delle richieste del professionista.
Con il terzo ed ultimo motivo viene dedotta la violazione di legge con riferimento all’art. 1224 c.c., comma 2, nonchè apparente e/o perplessa motivazione per omessa pronuncia sulla richiesta di condanna al risanamento del danno da svalutazione monetaria, documentato dalla produzione degli estratti di conto corrente ed i relativi interessi passivi addebitati.
E’ da accogliere anche la terza censura.
Invero la sentenza della corte di appello in punto di determinazione degli accessori relativi agli onorari liquidati, con specifico riferimento alla corresponsione del maggiore danno, è priva di alcuna statuizione, pure a fronte di una puntuale richiesta del professionista in tal senso, non essendo dato rinvenire alcun elemento dal quale desumere almeno un’implicita pronuncia di rigetto.
Premesso che l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio si risolve nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, per cui integra un difetto di attività del giudice di secondo grado che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo, nella specie concluso il quesito di diritto con la denuncia di violazione dell’art. 112 c.p.c., si osserva che a mente della sentenza delle sezioni unite di questa corte, la n. 19499 del 16 luglio 2008, "nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali.
Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale".
A questo principio dovrà in proposito attenersi il giudice del rinvio.
In conclusione devono essere accolti, per quanto di ragione, il primo ed il terzo motivo di ricorso, mentre va rigettato il secondo. E, pertanto, l’ordinanza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Brescia, affinchè proceda nuovamente alla liquidazione dell’onorario preteso dall’Avv. G.M. in relazione alla vicenda de qua, tenendo conto dell’attività effettivamente espletata e dei compensi spettanti, alla luce dei principi sopra affermati anche ove ritenga sussistere i presupposti delle maggiorazioni previste dall’art. 5, comma 5 della tariffa professionale vigente pro tempore, oltre alla determinazione del maggior danno, ove dimostrato.
Viene rimessa al giudice del rinvio anche la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo ed in terzo motivo di ricorso, rigettato il secondo motivo;
cassa con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, anche per le spese del giudizio di legittimità, in ordine ai motivi accolti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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