Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14519

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con ricorso al Giudice di Pace di Gallarate, depositato il 22 maggio 2008, A. e P.D., il primo quale proprietario de veicolo, il secondo quale conducente, proponevano opposizione avverso i verbali di contestazione di violazione del codice della strada nn. 379S/2006, 429S/2006, 897S/2006, 935S/2006, 970S/2006, 1528S/2006, 1590S/2006, 1766S/2006, 1776S/2006, 1791S/2006 e 1802S/2006, emessi dalla Polizia Locale di Cassano Magnano, per avere transitato con luce semaforica rossa all’incrocio fra le vie (OMISSIS), di cui all’art. 146 C.d.S., comma 3.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune, il Giudice di pace adito accoglieva il ricorso per tutti i verbali, fatta eccezione per quello di cui al n. 1717S/2006, per il quale veniva confermata nel minimo la sanzione pecuniaria.

In virtù di rituale appello interposto dallo stesso Comune di Cassano Magnano, con il quale lamentava la decisione del giudice di prime cure di provvedere senza disporre consulenza tecnica d’ufficio sull’impianto e sui tempi della proiezione della luce gialla,’considerato che nell’incrocio in questione l’amministrazione comunale aveva posizionato un c.d. semaforo intelligente, caratterizzato da sensori-radar posti a circa 200 metri di distanza che azionava la luce gialla quando i veicoli transitavano ad una velocità superiore a quella consentita nel tratto interessato, il Tribunale di Busto Arsizio – Sezione distaccata di Gallarate, nella resistenza degli appellati, accoglieva il gravame e in parziale riforma della sentenza di primo grado, confermava i verbali di accertamento nn. 379S/2006, 429S/2006, 897S/2006, 935S/2006, 970S/2006, 1528S/2006, 1590S/2006, 1766S/2006, 1776S/2006, 1791S/2006 e 1802S/2006 della polizia locale del Comune di Cassano Magnano.

A sostegno della decisione adottata il giudice del gravame evidenziava che ti giudice di prime cure – diversamente da casi analoghi trattati – aveva ritenuto di accogliere l’opposizione senza espletare c.t.u. ritenendo che "il tempo della lanterna proiettante luce gialla risulta inferiore a 4 secondi dichiarati…", allorchè da una disamina della documentazione fotografica allegata si evinceva che in tutte le ipotesi il tempo del giallo non era mai stato inferiore a 3,687 secondi, tempo sufficiente a consentire l’arresto tempestivo del veicolo. Riteneva decisivo, altresì, la circostanza che in tutte le violazioni contestate il ricorrente era transitato dopo che la lanterna semaforica proiettava luce rossa da parecchi secondi, sino a 6 secondi, con la conseguenza che il conducente avrebbe avuto tutto il tempo sufficiente per arrestarsi prima del semaforo se avesse mantenuto la velocità imposta dal C.d.S. nel tratto interessato, dovendo adeguare la velocità allo stato dei luoghi.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione A. e P.D., articolato su quattro motivi, cui ha resistito il Comune di Cassano Magnano con controricorso.

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c., parte resistente ha depositato copia di decisione di questa corte.

Motivi della decisione

Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del deposito dei documenti, in particolare della sentenza n. 1071/2012 di questa corte, che il Comune resistente ha operato (peraltro nei termini di cui all’art. 378 c.p.c.) al fine di dimostrare l’insussistenza e la infondatezza delle pretese vantate da parte ricorrente, vertendo su fattispecie che si assume identica a quella oggetto del presente giudizio.

La disposizione dell’art. 372 c.p.c., comma 1, infatti, in dipendenza dell’incompatibilità con la struttura del giudizio di cassazione, caratterizzato dalla natura di legittimità del sindacato demandato alla suprema corte; – esplicitamente esclude la produzione di documenti, non prodotti nei precedenti gradi del processo, che, come quello in oggetto, non riguardino la nullità della sentenza impugnata o l’ammissibilità del ricorso, ma la correttezza della sentenza impugnata ovvero il fondamento del ricorso (così Cass. 28 gennaio 2008 n. 1788).

Ciò posto, il primo motivo denuncia la nullità della sentenza e del procedimento per falsa applicazione delle norme imperative di diritto regolatrice della materia per avere il giudice del gravame posto alla base del proprio ragionamento di diritto l’obbligo del c.d.

precedente vincolante, inesistente nel nostro ordinamento.

Premesso che la sentenza impugnata per mero errore materiale viene indicata con il n. 49/2009, anzichè con il n. 47/2009, sebbene risulta essere stata regolarmente depositata ex art. 369 c.p.c., il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza pubblicata il 23.1.2009, per cui atteso che l’abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., occorsa con la L. n. 69 del 2009, si applica ai ricorsi avverso provvedimenti depositati dal 4.7.2009 (L. n. 69 del 2009, ex art. 58, comma 5), nella specie trova applicazione ratione temporis il D.Lgs. 15 febbraio 2006, n. 40, in particolare le disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo 1 recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di ricorso per cassazione. Secondo l’art. 366-bis c.p.c. – introdotto dall’art. 6 del decreto – i motivi di ricorso debbono essere formulati, a pena di inammissibilità, nei modo ivi descritto ed, in particolare, nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360, comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (c.d. momento di sintesi).

Precisato quanto sopra, il primo motivo va dichiarato inammissibile e ciò sia che si voglia ritenere proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sia ex art. 360 c.p.c., n. 3, in quanto ad esso non si correla alcun quesito, necessario D.Lgs. n. 40 del 2006, ex art. 27, comma 2. Nè il quesito può ritenersi implicitamente formulato nell’illustrazione del motivo sottoposto all’esame del collegio, "poichè la prescrizione formale introdotta dalla norma in esame – la quale richiede, a pena di inammissibilità, che l’illustrazione di ciascun motivo deve concludersi con la formulazione di un quesito di diritto anche nei ricorsi per motivi di giurisdizione o di competenza e anche nei ricorsi per violazione di legge quando si ponga in discussione una questione di stretto diritto – non può essere interpretata nel senso che il quesito di diritto possa desumersi implicitamente dalla formulazione de motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione" (così Cass. SS.UU. 27 marzo 2007 n. 7258).

Di qui l’esigenza del rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto tale da circoscrivere la pronuncia de giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto de quesito formulato dalla parte, quesito che deve trovare la sua collocazione a conclusione dell’illustrazione di ciascun motivo di ricorso che, da sola, non è perciò sufficiente ai fini del rispetto della norma in esame.

Con il secondo motivo viene lamentata la omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia quale il tempo del giallo e la visibilità dell’impianto di rilevamento, per avere criticamente rilevato che la sentenza del giudice di prime cure aveva ritenuto il tempo di durata della luce gialla inferiore a 4, secondi e poi, a sostegno della propria tesi, affermava che il tempo non era inferiore a 3,687 secondi, considerato sufficiente a consentire l’arresto del veicolo. Tutto ciò, peraltro, omettendo qualsiasi richiamo alla tesi di controparte a sostegno di tale conclusione; aggiungono i ricorrenti che è pacifico che vi fosse un evidente errore di taratura del dispositivo, venendo riconosciuta una impostazione inferiore ai 4 secondi.

Il giudice del gravame avrebbe, altresì, omesso di pronunciarsi in merito alla mancata "visibilità" dell’impianto di rilevamento dell’infrazione, non essendo stato apposto, nel periodo in contestazione, alcun cartello che informasse gli automobilisti della presenza dello strumento T-red; concludono l’illustrazione della censura considerazioni sui tempi di arresto e sugli elementi che incidono sullo spazio di frenata.

Va disatteso anche il secondo motivo di ricorso.

Come sopra anticipato, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – venendo con la censura dedotti almeno due profili attinenti al vizio di motivazione – l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena di inammissibilità – come già detto – la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di vantazione della sua ammissibilità (in tal senso v. Cass. SS.UU. 1 ottobre 2007 n. 20603;

Cass. 18 luglio 2007 n. 16002). Il quesito, al quale si chiede che la corte di cassazione risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il vizio denunciato alla fattispecie concreta (v. Cass. SS.UU. 11 marzo 2008 n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art. 366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui quesito di diritto si risolva in un’enundazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo).

Orbene nella specie se anche si volesse riconoscere il momento di sintesi quanto alla esposizione della regolazione dei tempi del giallo dell’impianto semaforico (che si assume inferiore a 4 secondi), lo stesso sarebbe generico, non contenendo neppure le ragioni per le quali la motivazione – secondo i ricorrenti – sarebbe viziata.

Il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della decisione impugnata), richiede, infatti, un’illustrazione che, pur libera da rigidità formali, deve concretizzarsi in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (v. Cass. 25 febbraio 2009 n. 4556); ciò che nella specie non ricorre.

In ogni caso il giudice di appello ha fornito adeguata motivazione, consistita nel ritenere che i tempi di permanenza della illuminazione semaforica gialla, giammai inferiori ai 3,687 secondi (come da documentazione esaminata) fossero comunque sufficienti a provocare l’arresto del veicolo (in tal senso le conclusioni peritali espresse in altri giudizi, ma pienamente utilizzabili ex art. 116 c.p.c., così come le prove raccolte in altro giudizio: v. Cass. 25 maggio 1993 n. 5874; Cass. 20 dicembre 1990 n. 12091, ex multis), considerando che l’automobilista deve adeguare la velocità allo stato dei luoghi e non costituendo il tempo di esposizione della luce gialla per quattro secondi un dato normativo inderogabile (la risoluzione del Ministero dei trasporti n. 67906 del 16.7.2007, infatti, nell’accertare che il codice della strada non indica una durata minima del periodo di accensione della lanterna di attivazione gialla, regola tempo minimo di durata della luce gialla che non può mai essere inferiore a tre secondi).

Per ciò che concerne la questione della visibilità dell’impianto di rilevamento occorre osservare che la medesima non risulta proposta dai ricorrenti nel pregresso grado di giudizio, per cui deve ritenersi la novità della prospettazione qui dedotta, con conseguente inammissibilità della stessa.

Sul rilievo di inammissibilità per novità della domanda, si richiamano, tra le tante, la pronuncia di questa corte 26 marzo 2012, n. 4787, la cui massima è nei seguenti termini: "Nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti".

Con il terzo motivo viene denunciato il vizio di motivazione per essere il giudice dei gravame giunto alle sue conclusioni facendo richiamo a decisione della Suprema Corte in cui vengono affermati principi che a nulla rilevano ai fini che qui interessano.

Anche detta censura risulta del tutto generica, dovendosi sul punto osservare che il giudice di appello nel richiamare la pronuncia n. 16768/2008 di questa corte ha voluto unicamente confermare l’esistenza di un generale dovere di diligenza dell’automobilista nell’impegnare un crocevia ancorchè disciplinato da semaforo, senza che ciò crei alcun salto logico nel percorso argomentativo seguito dal esso giudice del gravame.

Con il quarto ed ultimo motivo viene lamentato che il giudice di appello si sia pronunciato non considerando le eccezioni sollevate dagli appellati in merito al c.d. correttivo adottato dall’Ente sull’impianto semaforico, nonchè il parere del Ministero dei trasporti in materia (n. 2488/2004 del 5.9.2005).

Pure inammissibile è quest’ultima censura non risultando la questione relativa alla valenza interpretativa del parere del Ministero dei trasporti dedotta nei pregressi gradi di giudizio. In ogni caso va rilevato che il giudice di appello non ha inteso affatto attribuire all’impianto semaforico la funzione di rilevare eventuali eccessi di velocità, nè la violazione contestata va in tal senso, essendo relativa all’art. 146 C.d.S., comma 3.

Inammissibile, infine, risulta l’istanza ex art. 373 c.p.c., di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza, che va proposta al "giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata".

Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile, con regolazione delle spese processuali secondo il principio della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012
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