Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14517

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Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 22 gennaio 2002 A.E. proponeva, dinanzi al Tribunale di Bolzano, opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 1574/2001 emesso dal Presidente del medesimo ufficio in favore della XXX s.ats. per L. 12.760.000, pari ad Euro 6.589,99, quale prezzo di acquisto per la fornitura di piastrelle in ceramica ed in marmo, di cui alla fattura n. (OMISSIS), deducendo l’effetto liberatorio dei pagamenti dalla stessa eseguiti nelle mani di V.B., che in presenza del legale rappresentante della società opposta, B.I., si era spacciato quale socio ovvero "capo" della s.a.s. ed in tale veste avrebbe percepito i versamenti da lei effettuati; nè avrebbero potuto essere a lei opposti i conflitti interni alla XXX per non avere usato l’ordinaria diligenza nell’eseguire i pagamenti.
Tanto premesso, chiedeva revocarsi il decreto ingiuntivo opposto per estinzione del credito fatto valere.
Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della società opposta, la quale precisava che il titolo di socio che compariva sul biglietto da visita di V.B. esibito dall’opponente era stato aggiunto a mano dalla stessa, peraltro trattandosi di persona che aveva lavorato per la XXX come semplice agente di commercio o procacciatore di affari senza procura per l’incasso, il Tribunale adito, espletata istruttoria, rigettava l’opposizione e per l’effetto confermava il decreto ingiuntivo.
In virtù di rituale appello interposto dalla A., con il quale lamentava l’errata valutazione delle prove e l’applicazione giuridicamente viziata delle fattispecie di estinzione del debito stabilite dagli artt. 1188 e 1189 c.c., la Corte di appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano, nella resistenza della società appellata, in accoglimento del gravame, annullava la sentenza impugnata e dichiarava che i pagamenti eseguiti dall’appellante avevano estinto la pretesa di corresponsione del prezzo relativo alla fornitura in contestazione.
A sostegno dell’adottata decisione la corte distrettuale evidenziava che essendo incontestata la circostanza che la A. avesse effettuato il pagamento della fornitura nelle mani del V., andava pronunciata la sussistenza della fattispecie liberatoria di cui all’art. 1189 c.c. in relazione all’art. 1188 c.c. apparendo persona legittimata a riceverlo in nome del creditore ed avendo la debitrice confidato, senza sua colpa, nella situazione apparente, determinata anche dal comportamento colposo del creditore. In tal senso deponevano il biglietto da visita della società e le prove testimoniali, dalle quali emergeva che detto biglietto era stato personalmente elaborato e predisposto dal legale rappresentante della XXX e recava la sola denominazione completa della ditta (priva dell’indicazione di persone nella ragione sociale), ove appariva quale unico nome quello di V.B., con il suo numero di telefono mobile riportato con lettere più grandi dei numeri di telefono e di fax propri della società; inoltre, mancava qualsiasi indicazione sul biglietto da visita in merito al rapporto di B. V. con la XXX, con la conseguenza che veniva messo in risalto nei confronti di terzi, che entravano in relazione con la stessa per motivi commerciali, il ruolo centrale del V. all’interno della società.
Aggiungeva che la oggettiva situazione di apparenza veniva accentuata dalle modalità di conclusione del contratto presso la sede sociale, che seppure presenti oltre all’appellante e al suo compagno, M.G., il V. ed B.I., quest’ultimo non si presentava nella sua qualità di titolare della ditta, quale amministratore o socio, non facendo così riconoscere ai terzi il suo ruolo nella gestione aziendale; inoltre, acclusa agli atti processuali vi era proposta di acquisto delle piastrelle sottoscritta per la fornitrice dal V., ove venivano annotati anche i pagamenti rateali, per cui doveva ritenersi che quest’ultimo avesse anche in occasione della stipula del contratto assunto un suo ruolo centrale verso l’esterno. Lo stesso fenomeno veniva registrato anche al momento dell’esecuzione del contratto, laddove le forniture parziali veniva eseguite personalmente da B.I., ma i pagamenti, che – secondo l’accordo – dovevano avvenire in contanti alla consegna della merce, avvenivano a mani del V., senza che il B., in occasione delle successive forniture, insistesse per i pagamenti neanche per precedenti materiali.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano ha proposto ricorso per cassazione la XXX KG s.a.s. di XXX & C, che risulta articolato in quattro motivi, cui ha resistito la A.E. con controricorso. Ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c. la società ricorrente.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la società ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 112 e 342 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 per avere la corte di merito omesso di indicare le ragioni esposte dal giudice di primo grado, nonchè quelle di parte XXX, rendendo una decisione con tutta evidenza avulsa dai motivi di gravame proposti dalla A., decidendo la controversia sostituendosi completamente al giudice di primo grado con motivazione avulsa dai limiti posti dai motivi di appello, cosi configurandosi una lesione del principio della domanda.
Il motivo si chiude con la formulazione del seguente quesito: "se la corte di appello nel decidere possa sostituirsi in toto al giudice di primo grado con motivazione avulsa dai limiti rappresentati dai motivi di appello, senza necessità di dar conto delle ragioni per cui ritiene di accogliere i singoli motivi di appello e di discostarsi dalle ragioni del giudice di primo grado e da quelle dell’altra parte, che in quanto totalmente vittoriosa ha solo controdedotto ai motivi di appello avversari, ovvero se la decisione così adottata dalla corte rappresenti una violazione dell’art. 112 c.p.c., 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c. e integri, quindi, la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4".
La doglianza è priva di fondamento.
La corte distrettuale ha pronunciato ritenendo ricorrere nella specie ipotesi di creditore apparente avendo constato la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1188 e 1189 c.c., fornendo una diversa interpretazione delle risultanze probatorie assunte in primo grado, sulla base dei motivi di doglianza prospettati dalla stessa appellante con l’atto introduttivo del gravame. Del resto già dalla citazione in opposizione a decreto ingiuntivo del giudizio di primo grado la A. aveva dedotto che il V. (rappresentante della s.a.s., ma privo di poteri rappresentativi della stessa) aveva sottoscritto l’ordine delle piastrelle, pur avendo trattato l’affare anche nei locali della s.a.s. e alla presenza del B., senza che quest’ultimo nulla precisasse al riguardo, convenendo che il compenso per la fornitura fosse corrisposto allo stesso V.. Tant’è che pur avendo effettuato alcune consegne lo stesso B. nulla opponeva alla resistente circa la mancata corresponsione del prezzo nelle sue mani.
Nel primo grado di giudizio la A. aveva, quindi, esplicitato il fatto sul quale in grado di appello ha fondato l’assunto di essersi affidata, nel versare il corrispettivo per il tramite del V., ai (già apparentemente dimostrati) poteri rappresentativi dello stesso, sicchè quella che la ricorrente considera una violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 112 e 342 c.p.c., pur nelle molteplici articolazioni del motivo, risulta sostanzialmente una censura tautologica, in quanto l’eccezione di pagamento era già contenuta nella difesa svolta dalla A. nel giudizio di primo grado, riproposta in quello di appello, per cui la ricorrente avrebbe dovuto evidenziare che gli specifici motivi di gravame non avevano investito tutte le rationes decidendi presenti nella sentenza del giudice di primo grado e la sua genericità vulnera anche la formulazione del quesito che non presenta una specifica correlazione al caso concreto e ciò sia in relazione al prospettato vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3 (v. in tal senso, Cass. 18 novembre 2011 n. 24253) sia al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 (v. Cass. 21 febbraio 2011 n. 4146; Cass. 23 febbraio 2009 n. 4329).
Con il secondo motivo la XXX lamenta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione agli artt. 1188 e 1189 c.c. in quanto, come rilevato già dal giudice di prime cure, il fatto controverso attiene all’accertamento sul se il pagamento effettuato dalla A. per il tramite di suo rappresentante, M.G., nelle mani di V.B. abbia o meno effetti liberatori: mentre il primo giudice era arrivato alla soluzione negativa argomentando con la insussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1188 e 1189 c.c., la corte di merito è giunta ad una conclusione radicalmente opposta facendo esplicito richiamo al disposto previsto dall’art. 1188 c.c., senza però minimamente motivare la ragione del richiamo. Nè dalle dichiarazioni testimoniali del V. è mai emerso che egli si sia fatto passare per socio o contitolare della XXX, avendo egli dichiarato di essere un procacciatore di affari.
Anche detta doglianza non può trovare accoglimento.
La corte distrettuale, con argomentazioni congrue, esaustive ed esente da vizi logici, ha chiarito che il pagamento aveva effetto liberatorio siccome eseguito a chi appariva rappresentante del creditore o comunque persona da questi autorizzata e ciò in esito a scrutinio di elementi documentali, di risultanze testimoniali, oltre che attraverso l’utilizzo di elementi logico – deduttivi. La corte di merito partendo dal pacifico dato di fatto dell’avvenuta dazione per conto della A. di pagamenti rateali a mani di V.B., individuato quale rappresentante della XXX e conosciuto solo nell’occasione della conclusione dell’affare, ha correttamente ritenuto che il debitore avesse assolto l’onere di provare il fatto estintivo dell’obbligazione. Del resto in tal senso deponevano il biglietto da visita che recava la denominazione completa della ditta ed ove appariva quale unico nome quello del V., senza alcuna altra specificazione, oggettiva situazione di apparenza avvalorata dalle modalità di conclusione dell’ordine di piastrelle presso la sede sociale della fornitrice, alla presenza di B.I., legale rappresentante della XXX, il quale oltre a non esternare ai terzi il suo ruolo di gestione dell’azienda, accettava l’ordine che per la ditta da lui amministrata risultava sottoscritto dal V.. Di talchè il giudice di appello ha ritenuto accertata la buona fede del debitore nell’effettuare il pagamento, affermando che le stesse considerazioni risultavano avvalorate dal comportamento tenuto dal B.I. al momento dell’esecuzione del contratto, giacchè avendo egli stesso provveduto alla dazione di talune forniture e pur prevedendo l’accordo il saldo in contanti alla consegna, non ne pretendeva il pagamento, riconoscendo a saldo quello corrisposto dalla debitrice al V., senza smentire la circostanza della rappresentanza in capo a quest’ultimo. Nè la censura può risolversi nella richiesta di una nuova valutazione delle prove assunte dai giudici di merito, inammissibile in sede di legittimità.
Con il terzo motivo viene ancora denunciato il vizio di motivazione per non avere la corte di merito tenuto in debito conto elementi probatori nettamente contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia ed idonei ad invalidare l’efficacia probatoria degli elementi sui quali ha fondato il suo convincimento. In primo luogo l’assenza nel biglietto da visita dell’indicazione del rapporto intercorrente ovvero del collegamento esistente tra la XXX ed il V., mentre la dizione "socio" era di pugno della stessa opponente, circostanza che – ad avviso della ricorrente – farebbe cadere tutte le teorie ed argomentazioni della Corte di merito. Altro elemento sarebbe costituito dalla sottoscrizione della offerta:
quella in originale appare firmata dal B. per la XXX in calce, controfirmata da M.G. sul lato destro dell’ultima delle due pagine, mentre l’altra invocata dalla corte di merito sarebbe una semplice copia del testo dell’offerta firmata unicamente dal V.. Circostanza che avrebbe dovuto indurre la A. a considerare la posizione del V. quale procacciatore di affari, non legittimato a ricevere pagamenti per la società fornitrice, anche perchè rilasciava quietanza di pagamento non sull’originale, ma solo sulla copia da lui sottoscritta dell’ordine.
Inoltre, il B. all’atto delle singole consegne della merce non aveva richiesto i pagamenti che avrebbero dovuto avvenire in un’unica soluzione, alla consegna definitiva della merce, come da prassi commerciale, mentre dagli atti risulterebbe una modalità di pagamento assai complicata, circostanza anche questa si complessa che avrebbe dovuto richiamare l’attenzione della A.. Aggiunge la ricorrente, che il giudice del gravame avrebbe estrapolato solo alcune dichiarazioni del V., senza tenere conto della sua deposizione complessiva. Ancora: la A. firmato l’ordine dal B., avrebbe consegnato un acconto di L. 2.000.000 davanti alla sede della società in assenza del B. e dopo avere concordato il pagamento alla consegna in contanti. Nè la corte di merito ha considerato il fatto che la società aveva sporto querela nei confronti del V. per appropriazione indebita, rimessa solo a seguito del risarcimento del danno non patrimoniale, vicende penali rilevanti e che confuterebbero l’ordito argomentativo del giudice del gravame. Valgono anche per il terzo motivo considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al secondo, essendo la censura accomunata dall’ipotesi della omissione e della contraddittorietà della motivazione, risolvendosi, in maniera ancora più evidente, nella richiesta di rilettura degli elementi istruttori in modo da conseguire un risultato corrispondente agli assunti difensivi della società ricorrente.
Nè rilevano le circostanze richiamate dalla XXX – per le quali lamenta l’omesso esame, sotto il profilo del vizio di motivazione, da parte del giudice di secondo grado – nella sostanza l’assenza nel biglietto da visita esibito dal V. del rapporto intercorrente con la ricorrente e la sottoscrizione di copia dell’offerta da parte del legale rappresentante della società, argomenti non idonei a dimostrare i fatti in discussione nel senso voluto dalla ricorrente, dal momento che indipendentemente dalla titolarità del potere di rappresentanza della società creditrice, il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento può sussistere, prescindendo dalla sua regolamentazione statutaria, ed essere conferito per determinati atti, senza particolari formalità, al pari dell’ipotesi in cui venga effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, ove quest’ultimo abbia determinato o concorso a determinare l’errori del solvens (v. Cass. 9 agosto 3007 n. 17484).
"Il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera (…) il debitore di buona fede, ai sensi dell’art. 1189 c.c., ma a condizione che il debitore, che invoca il principio dell’apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel "solvens" in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell’"accipiens" (v. Cass. 3 settembre 2005 n. 17742; conforme Cass. 25 febbraio 2002 n. 2732).
Tali principi sono stati applicati dalla corte di appello che ha evidenziato da un lato l’attività di gestione del rapporto quale rappresentate di fatto del V. e dell’altro la inerzia gravemente colpevole del B., legale rappresentante della società, che aveva consentito per tutta la durata del vincolo contrattuale in contestazione una tale condotta.
D’altro canto il giudice di merito è libero di formare il proprio convincimento utilizzando gli elementi probatori che ritiene rilevanti per la decisione, senza necessità di prendere in esame tutte le risultanze processuali e di confutare ogni argomentazione prospettata dalle parti, essendo invece sufficiente che egli indichi, come è avvenuto nel caso concreto, gli elementi sui quali si fonda il suo convincimento, dovendosi ritenere per implicito disattesi tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene specificamente non menzionati, siano incompatibili con la decisione adottata. Infatti i vizi di motivazione che legittimano il sindacato della corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non possono consistere unicamente nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove contenuto nella sentenza impugnata rispetto a quello preteso dalla parte (v. fra le tante, Cass. 29 novembre 2009 n. 24696; Cass. 29 aprile 2010 n. 10297).
Il motivo va, pertanto, rigettato.
Con il quarto ed ultimo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1188, 1189 e 2697 c.c. in quanto dall’omessa e contraddittoria motivazione circa i fatti di cui sopra, sarebbe conseguita la violazione delle norme invocate laddove dalle risultanze probatorie, documentali e testimoniali, si ritiene emergano una serie di indizi che avrebbero dovuto fare concludere per l’inesistenza di una apparenza giuridica da tutelare, essendo onere della A. provare gli elementi per cui aveva dedotto che il V. fosse legittimato ad incassare in nome e per conto della XXX. Il quesito a conclusione del motivo chiede di affermare "se A.E. abbia superato l’onere probatorio ad essa incombente e dalle risultanze processuali sia possibile o meno riconoscere effetto liberatorio ai sensi degli artt. 1188 e 1189 c.c. ai pagamenti eseguiti da A.E. a V.B.". Anche con detto motivo viene sollecitato un inammissibile riesame nel merito della controversia, in quanto la corte di merito ha dato conto delle ragioni per le quali ha ritenuto provato l’incolpevole affidamento evidenziando non solo l’utilizzo da parte del V. di biglietto intestato della società e la sottoscrizione da parte dello stesso del contratto di fornitura delle piastrelle su modulo predisposto dalla stessa società, ma anche dell’assistenza prestata al rapporto dal B., legale rappresentante, senza chiarire all’acquirente, che per la prima volta era entrata in contatto con la XXX, il diverso ruolo nella compagine societaria del V., tanto da accettarne l’ordine senza riserve. Ed all’uopo ha richiamato la documentazione allegata da entrambe le parti e le prove testimoniali assunte: come è evidente si tratta di elementi che non violano le norme invocate dalla ricorrente e possono essere posti a base del convincimento enunciato. Alla stregua delle osservazioni che precedono il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2A Sezione Civile, il 12 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012
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