Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14513

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1) Dal 1986 le parti e i loro danti causa dibattono in ordine al confine tra i rispettivi fondi siti in (OMISSIS), la violazione di distanze legali asseritamente perpetrata da un fabbricato del convenuto N.C.M., l’usucapione dei diritti di proprietà e di mantenimento di distanze inferiori a quelle legali per i balconi eretti da quest’ultimo, la legittimità dello scarico di un pluviale.

Accogliendo parzialmente la domanda proposta da N.Z. F., il tribunale di Trento nel marzo 1997 individuava il confine, tra le particelle 441/1 e 441/13 dell’attore da un lato e la particella 356 C. dall’altro, in corrispondenza di un muretto di recinzione esistente; rigettava la domanda C. di usucapione della particella 441/4, nonchè la subordinata richiesta di acquisto ex art. 938 c.c., di area eventualmente invasa;

condannava il convenuto ad arretrare l’edificio ad un metro e mezzo dal confine, nonchè all’abbattimento dei poggioli ed alla eliminazione di una veduta eseguita nell’ampliamento del corpo di fabbrica, ma non di altre vedute – legittimate da usucapione – esistenti nella parete antistante la casa dell’attore. Accoglieva la domanda dell’attore Z. relativa all’eliminazione di un tubo di gronda.

Pronunciava la sentenza nei confronti degli eredi di N. C.M., deceduto nelle more.

L’appello veniva proposto da N.A.M., N. C.H. e N.F. e resistito da N. Z.C. e N.J. eredi di F., anch’egli deceduto. A seguito di provvedimento di integrazione del contraddittorio, interveniva anche in giudizio N.C. R.M. in G., mentre restava contumace N.C. B.E.R..

1.1) La Corte di appello di Trento, dopo aver acquisito nuova ctu, con sentenza 14 giugno 2006 dichiarava il difetto di legittimazione ad intervenire di N.R.M.; individuava il confine tra le particelle 441/13 e 391 C.C. delle eredi Z. e la 356 C.C. degli appellanti eredi N.C. in una diversa linea.

Rigettava di conseguenza la domanda "di arretramento a distanza della particella edificata 356 per tutta la parte di costruzione edificata nell’anno 1967. Condannava gli appellanti C. a demolire i poggioli arretrandoli a m. 1,50 dalla proiezione verso l’alto della linea di confine e a demolire le parti dell’ampliamento eseguito nel 1984 costruite a distanza inferiori a mt. 5 dal confine. Rigettava la domanda Z. di eliminazione delle vedute esistenti nella parete della casa degli appellanti e condannava questi ultimi a collegare il canale pluviale alla rete fognaria. Infine condannava gli eredi Z. a demolire un muretto realizzato nel 1977.

Entrambe le parti hanno proposto ricorso per cassazione: gli eredi del convenuto N.C.M. con ricorso (n. 21653/07) notificato il 18 luglio 2007, resistito da controricorso con ricorso incidentale (n. 26315/07), al quale è stato opposto controricorso.

Gli eredi N.Z.F. con atto notificato il 27 luglio 2007 (n. 21794/07), resistito da controricorso.

Sono state depositate memorie.

Motivi della decisione

2) Devono essere riuniti i tre ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza.

Preliminarmente va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale n. 26315 proposto da N.Z.C. e J. unitamente al controricorso notificato nell’ottobre 2007 per reagire al ricorso principale C..

Le signore Z. avevano infatti già notificato e depositato altro ricorso (n. 21794) – che va peraltro considerato incidentale in quanto successivo a quello principale C. – con il quale hanno consumato il diritto all’impugnazione (Cass. 19150/05).

2.1) Va inoltre preliminarmente chiarito che non è da ordinare l’integrazione del contraddittorio con N.C.E. R., giacchè la Corte d’appello nel dichiarare la carenza di interesse della intervenuta N.C.R.M., avente la medesima posizione, ha rilevato che interessati al giudizio erano solo gli appellanti N.A.M., N.C. H. e N.F. quali eredi testamentari del de cuius.

3) Il primo motivo di ricorso C. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 115 c.p.c., e vizi di motivazione.

Premesso che la Corte di appello ha ritenuto, considerandola circostanza pacificamente acquisita (pag. 14) e accertata dal ctu (pag. 15) che la costruzione C. venne ultimata nell’agosto 1967, rigettando così la domanda di usucapione del diritto a mantenere i balconi a distanza inferiore a quella di legge, i ricorrenti contestano questa data. Sostengono che la decisione sarebbe stata erroneamente fondata sulla consulenza, perchè il perito non poteva d’ufficio vincolare il giudice, in mancanza di prova non assolta dalla parte onerata.

La censura, che in realtà si risolve soltanto nella denuncia di vizio di motivazione, non indica specificamente le ragioni per le quali la motivazione sarebbe errata, cioè superata da risultanze di segno diverso che sarebbero state trascurate o malvalutate, ma chiede in sostanza al giudice di legittimità un’inammissibile rivisitazione dell’apprezzamento reso dal giudice di merito (Cass. 15188/11 citata anche in memoria di parte ricorrente).

4) Altrettanto può dirsi con riguardo al secondo motivo, che denuncia violazione degli artt. 873 e 875, nonchè vizi di motivazione.

Vi si sostiene che l’edificio eretto nella part. 356, in quanto costruito nel 1966 sfuggiva al piano comprensoriale approvato nel 1984 e poteva sorgere sul confine.

Inoltre parte ricorrente afferma: a) che le norme sulle distanze non opererebbero perchè gli edifici non si fronteggiano, ma risultano angolati, non sussistendo la possibilità di intercapedini dannose.

b) che aveva prodotto in appello una fotografia e formulato un ulteriore capitolo di prova in ordine alla epoca di costruzione della casa.

4.1) La censura merita il rigetto per più aspetti: in primo luogo il quesito di diritto è per una parte eccentrico rispetto al motivo, perchè chiede se le distanze minime di legge siano da calcolare dal corpo principale dell’edificio o dagli elementi accessori quali i balconi; per una seconda parte tautologico, perchè chiede alla Corte di dire se il giudice di merito può disattendere acriticamente le prove offerte volte a provare l’epoca della costruzione.

E’ quindi evidente che anche in questo caso si denuncia in realtà un preteso vizio della motivazione, ma lo si fa incongruamente. Quanto ai balconi va infatti osservato che la sentenza non ha fatto riferimento ad essi per discutere delle distanze tra edifici, ma li ha ritenuti illegittimamente edificati con riguardo alle distanze per essi specificamente fissate dall’art. 905 c.c.. Dunque la censura non coglie la ratio decidendi.

Quanto al fatto che gli edifici non fossero frontistanti, il motivo non indica da quali risultanze ciò emerga, sicchè la critica è inammissibilmente apodittica.

Quanto al capo di prova non ammesso, parimenti la formulazione del motivo è inammissibile, giacchè, oltre a mancare su questo, come sul precedente aspetto, un momento di sintesi ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la generica richiesta di prova testimoniale sull’epoca di costruzione non appare decisiva per superare la diversa valutazione alla quale la Corte si è ancorata, cioè il fatto – definito pacifico in sentenza (pag. 14 primo rigo) – che l’edificazione venne ultimata nell’agosto 1967, come desunto dal convincente accertamento del ctu (pag. 15 a metà).

La prova genericamente dedotta in appello non vanificava questa affermazione, giacchè altro è il costruire altro è ultimare un’opera, momento al quale si riconnettono determinati effetti; nè il motivo illustra in qualche modo le altre risultanze di causa, cioè il testo della consulenza utilizzata dalla Corte di merito, per far comprendere la portata decisiva della richiesta e neppure il motivo per il quale solo in conclusioni di appello sembra essere giunta la richiesta di prova orale alla quale la Corte d’appello non ha dato spazio. Non vi è quindi confutazione adeguata della sentenza.

5) Il terzo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1061 e 1158, nonchè vizi di motivazione con riguardo alla tesi secondo la quale era sorta servitù apparente relativa al diritto di tenere i balconi a distanza inferiore a quella legale, sull’assunto che secondo il notorio i poggioli non vengono costruiti alla fine dell’opera, ma durante l’esecuzione di un fabbricato. Da ciò parte ricorrente inferisce che i balconi oggetto di lite esistevano da prima del 1967 e che nel maggio 1986, all’inizio della causa, l’usucapione era compiuta.

La censura è priva di fondamento.

E’ sufficiente ricordare, quanto ai profili di diritto, che al fine della determinazione del "dies a quo" per l’usucapione del diritto di servitù costituito dal mantenimento di una determinata opera a distanza illegale, deve farsi riferimento non solo al momento in cui la costruzione sia venuta ad esistenza, con la realizzazione di elementi strutturali ed essenziali, ma anche alla situazione che riveli al titolare del fondo servente l’esistenza della situazione coincidente con quella del diritto reale di servitù (v. Cass. 3699/93; 28784/05; 934/10).

Ora, poichè la veduta dai balconi non si esercita se non quando l’edifico viene abitato e cioè dopo l’ultimazione, occorreva dimostrare o che quel momento risaliva al 1966 o che per la particolare condizione dei luoghi e l’uso fattone, la servitù fosse esercitata da oltre un ventennio con attitudine ad usucapione, superando anche le specifiche contestazioni fotografiche opposte dai resistenti e le valutazioni offerte dal consulente sui rilievi del quale la decisione si fonda.

6) Il quarto motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 905 c.c., nonchè vizi di motivazione.

Parte ricorrente si duole dell’ordine di demolizione, affermando che si possono ordinare cautele alternative, che impediscano l’esercizio della servitù e che non sarebbero state adottate nella specie.

Anche questa doglianza è mal posta. La Corte di appello non ha spiegato per qual motivo essa non si sia orientata per una disposizione meno afflittiva, ma il ricorso non riferisce nè cosa essa avesse specificamente chiesto, nè cosa in concreto potesse essere disposto per inibire stabilmente la servitù di veduta senza giungere all’abbattimento della parte lesiva delle distanze.

Ciò impedisce di valutare se vi sia un qualche aspetto di illegittimità della decisione, posto che l’ordine impartito è comunque consentito dalla normativa vigente e che la decisività della censura deve essere dimostrata da parte ricorrente non con astratta enunciazione, ma con riferimento alle specificità del caso concreto e dunque alla concreta attuabilità di quanto richiesto.

7)Inammissibile è il quinto motivo del ricorso C., che lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2697 e 115 c.p.c. e art. 913 c.c., nonchè vizi di motivazione, con riguardo al "canale pluviale" che le parti appellanti sono state condannate a collegare a loro cura e spese alla rete fognaria.

Prescindendo dalla novità o meno della questione, non specificamente posta in sede di appello, su cui giova rinviare all’esame del terzo motivo di ricorso Z., è sufficiente riportare l’inammissibile quesito di diritto posto a conclusione del motivo: "Può il giudice, basandosi solo su di una personale opinione del c.t.u., in difetto di prova precisa sul punto, condannare il proprietario del fondo superiore ad eseguire opere di contenimento dello scolo di acque pluviali al di fuori dai casi previsti e regolati dalla norma di cui all’art. 913 c.p.c.?".

Si congiungono qui, questa volta inestricabilmente, profili di fatto, da denunciare con vizio di motivazione assistito da chiara indicazione del fatto controverso (SU 20603/07) e profili di diritto apoditticamente posti.

L’affermazione della Corte di appello, sorretta da relazione di c.t.u., secondo cui il deflusso scaricato dal canale in prossimità del confine si riversa poi sul fondo Z. non è nè illogica nè incongrua, sicchè, in difetto di specifiche risultanze di segno contrario, non v’è spazio per la censura, che va dichiarata inammissibile.

8) Il ricorso – da considerare incidentale – Z. quanto ai primi due motivi concerne la individuazione del confine tra i fondi delle parti.

Le censure, da esaminare congiuntamente, pur enunciando, nella prima, violazione degli artt. 950, 2697 c.c., art. 115 c.p.c. e vizi di motivazione, si sostanziano tute nella denuncia di questi ultimi e lamentano che il giudice d’appello si sarebbe incautamente fidato si uno "schizzo controverso" e di una consulenza contestata, omettendo di prendere in esame altri elementi di prova.

Esse vanno disattese. La Corte, proprio per avere esaminato le circostanze di fatto accuratamente riferite in ricorso, ha disposto sia la rinnovazione della consulenza tecnica, sia un supplemento al fine di rispondere alle osservazioni delle parti.

Ciò ha fatto si badi, disponendo di poteri maggiori di quelli spettantigli nelle controversie di revindica e di accertamento della proprietà e potendo scegliere gli elementi probatori ritenuti decisivi o avvalersi di più elementi concordanti senza altro vincolo di pregiudiziali criteri di graduatoria tra gli stessi che quello derivante dalla funzione sussidiaria esplicitamente attribuita alle mappe catastali (Cass. 739/95; 5911/88).

La sentenza ha dato conto della completezza e affidabilità dell’indagine, effettuata con riscontro di dati non contestabili, muovendo da un affidabile schizzo di campagna del 1910 e ricercando segni di riconoscimento (cippo L, spigoli di vecchi muri a secco), fino a pervenire a una planimetria che è frutto del supplemento.

A fronte di quest’ultima acquisizione, che ha risposto ai rilevi svolti in corso di causa, non è qui assumibile quale argomento decisivo della critica la leale ammissione del consulente circa l’impossibilità di ricostruire perfettamente la situazione del luoghi preesistente.

Nè le asserite contrarie risultanze delle mappe catastali – si discute, si badi, di pochi metri quadrati contesi – possono risultare decisive. Altro è infatti un tracciato che è stilato criticamente affrontando le tesi controverse e la ricostruzione storica, altro le burocratiche annotazioni di piccoli cambiamenti avvenuti di volta in volta a cura di tecnici diversi.

Non v’è quindi materia per ravvisare una carenza logico-strutturale della motivazione, resa nella piena consapevolezza delle difficoltà istruttorie, ma con massimo convincente grado di approssimazione al dato reale.

Fondato è invece il terzo motivo del ricorso Z., che espone violazione degli artt. 112, 324, 342 e 346 c.p.c. e art. 2909 c.c. e denuncia che la Corte di appello si sia nuovamente pronunciata sulle questioni relative al tubo pluviale e allo scarico di neve, decise dal tribunale di Trento – punto 5 del dispositivo – e non oggetto di impugnazione alcuna.

Il tribunale di Trento aveva ravvisato l’esistenza dello stillicidio lamentato da Z. e condannato il C. a eliminare il tubo pluviale. Aveva poi respinto la domanda di risarcimento danni da scarico neve da parte del convenuto sul fondo dell’attore.

L’appello degli eredi C. non faceva alcun cenno alla condanna suddetta, ma si diffondeva specificamente sulle altre questioni controverse.

La necessaria specificità dei motivi di appello prescritta dall’art. 342 cod. proc. civ., impone di dedurre le doglianze in modo tale che il giudice del gravame sia posto in grado non solo di identificare i punti impugnati, ma anche le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene richiesta la riforma della pronuncia di primo grado.

Nulla di tutto ciò si rinviene nell’atto di appello C., che si è limitato nella parte conclusiva a richiedere il rigetto di tutte le domande svolte in citazione, ma non ha sviluppato alcuna argomentata censura in ordine alla questione del tubo pluviale.

Ha dunque errato la Corte di appello nel pronunciarsi nuovamente su di essa e sullo scarico neve.

La decisione sul punto va quindi cassata senza necessità di rinvio alcuno.

Discende da quanto esposto, oltre alle statuizioni già indicate, la condanna della parte C. alla refusione in favore dei ricorrenti principali delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso incidentale n 26315/07 proposto da N.Z.C. e N.J.. Rigetta i primi quattro motivi del ricorso principale 21653/07 di N. A.M., N.C.H. e N.F. e dichiara inammissibile il quinto motivo. Rigetta i primi due motivi del ricorso incidentale 21794/07 di N.Z.C. e N.J.. Accoglie il terzo motivo di detto ricorso; cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto.

Condanna parte ricorrente N.A.M., N. C.H. e N.F., in solido, alla refusione delle spese di lite a controparte, liquidandole in Euro 3.000 per onorari, Euro 200 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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