Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14511

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15 dicembre 1986 i coniugi B.R. e I.M.C. evocavano, dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, P.G., D. R.A. e P.L., esponendo di essere proprietari di appartamento sito in (OMISSIS), posto al terzo piano di fabbricato ottocentesco, dichiarato di interesse storico, avente annesso terrazzino di copertura, stabile confinante con immobile sito al civico (OMISSIS), con retrostante giardino, di proprietà dei coniugi P. – D.R., trasferito in permuta a P.L., il quale era stato abbattuto e ricostruito in violazione delle norme edilizie e di quelle poste a salvaguardia del rispetto delle distanze; precisavano che una parte de muro di confine su cui era stato costruito il nuovo edificio era di proprietà esclusiva degli attori e non già in comune con i convenuti, giacchè sullo stesso si trovava una canna fumaria del forno, apposta dagli stessi B. – I., proprietà esclusiva del muro divisorio che precludeva ai convenuti il diritto di pretenderne la comunione forzosa, stante la dichiarazione di "interesse particolarmente importante" dello stabile degli attori, di cui al decreto del Ministero dei beni culturali ed ambientali del 13.12.1985; aggiungevano che la nuova costruzione, posta a ridosso della terrazza attorea, senza l’osservanza delle distanze prescritte dal cod. civ., aveva illegittimamente soppresso il diritto di veduta esercitato dagli attori sia attraverso la terrazza sia attraverso le due finestre della loro abitazione; tanto premesso, chiedevano dichiararsi la proprietà esclusiva del "muro a delimitazione del lato sud verso la proprietà dei convenuti, della terrazza e di parte dell’appartamento, sino al punto in cui iniziava la preesistente costruzione", la comproprietà del rimanente muro posto sull’originario confine, l’esistenza delle "vedute dirette a favore degli attori e contro i convenuti proprietari confinanti" e l’inosservanza delle norme di legge per le distanze della nuova costruzione rispetto a quella degli attori, con condanna degli stessi alla riduzione in pristino dello status quo ante, con abbattimento di quanto era stato costruito illegittimamente oltre al preesistente fabbricato.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, il Tribunale adito rigettava la domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto dai coniugi B. – I., con il quale lamentavano che il giudice di prime cure non avesse ritenuto di proprietà esclusiva il muro a delimitazione del iato sud verso la proprietà dei convenuti e non avesse fatto applicazione dell’art. 879 c.c., oltre ad erronea interpretazione dell’art. 901 c.c., la Corte di appello di Napoli, nella resistenza degli appellati, proposto appello incidentale condizionato dal P., con il quale deduceva la carenza di legittimazione attiva degli appellanti, rigettava l’appello principale.

A sostegno della sentenza adottata la corte distrettuale evidenziava che dall’accertamento peritale espletato era emerso che il fabbricato posto al civico (OMISSIS), abbattuto e di proprietà dei convenuti, era più alto di quello posto al civico (OMISSIS), di proprietà degli attori e che il terrazzo degli attori si trovava alla medesima quota rispetto al confinante terrazzo del civico (OMISSIS) ed era da esso diviso da un muro, con la conseguenza che il muro della terrazza degli attori e quello della verandina, entrambi ubicati sul confine ovest, erano comuni fra i due edifici, in quanto risultavano, in corrispondenza della loro massima altezza, ad una quota inferiore rispetto alla quota in gronda del fabbricato dei P. – D. R. abbattuto; pertanto doveva presumersi comune il muro in contestazione ex art. 880 c.c., non provato dagli appellanti la esistenza di alcuno degli elementi di cui all’art. 881 c.c. per superare la presunzione, non l’atto di acquisto del 29.6.1978, nè il riferimento alla canna fumaria, laddove risultava la sola presenza di un tubo su una diversa parete, ininfluente ai fini dell’accertamento de quo.

Pure infondato appariva il richiamo al D.M. 13 dicembre 1985, adottato in epoca successiva al rilascio delle concessioni edilizie che avevano consentito la ricostruzione del civico (OMISSIS), rispettivamente del 5.11.1982, del 15.2.1983, del 29.3.1985 e del 6.5.1985, con la conseguenza che il dato temporale escludeva il richiamo all’art. 879 c.c..

Aggiungeva che quanto alla censura relativa alla violazione delle norme antisismiche, premesso che la normativa da applicare, riguardante le distanze tra gli edifici previste dallo Strumento Urbanistico nel Comune di Caserta, risultava essere quella di cui al P.R.G. vigente nell’anno 1954 (Regolamento Edilizio approvato con D.I. 19 gennaio 1954) e ricadendo il suolo su cui era edificato il fabbricato in contestazione, secondo il P.R.G., in zona intensiva, nulla era stabilito e pertanto si doveva fare riferimento a quanto prescritto dall’art. 873 c.c., con la conseguenza che doveva ritenersi legittima la costruzione dell’edificio posto al civico (OMISSIS) in aderenza a quello di cui al civico (OMISSIS), tenuto conto anche dei puntuali saggi effettuati dal c.t.u..

Concludeva affermando che neanche la domanda relativa alla veduta poteva trovare accoglimento in quanto la presenza di un muro alto da mt. 1,77 a mt. 1,37, considerata l’altezza media di una persona (mt.

1,75), lo stato dei luoghi non consentiva nel modo più assoluto nè una comoda inspectio nè una comoda prospectio, nè poteva in alcun modo considerarsi un parapetto. Avverso l’indicata sentenza della Corte di Appello di Napoli hanno proposto ricorso per cassazione i coniugi B. – I., articolato su quattro motivi, al quale hanno resistito i coniugi P. – D.R., nonchè il P. con separati controricorsi, quest’ultimo ha anche proposto ricorso incidentale condizionato con un unico motivo di doglianza.

Sia i ricorrenti sia il P. hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

I due ricorsi – principale dei B. – I. ed incidentale condizionato del P. – vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’art. 335 c.p.c., concernendo la stessa sentenza.

Il resistente P. ha sollevato una questione pregiudiziale e rilevabile di ufficio, di inammissibilità del ricorso per nullità della procura rilasciata al difensore dai coniugi B. – I. ricorrenti, per difetto di specialità. Appare chiaro che la procura apposta sul ricorso per cassazione e autenticata da avvocato iscritto all’albo dei cassazionisti deve ritenersi "speciale" ex art. 365 c.p.c., proprio in quanto incorporata ad esso e posta a margine dell’impugnazione (art. 83 c.p.c.), facendo materialmente corpo con l’atto cui inerisce, esprime di per sè inequivocabilmente i necessario riferimento all’atto stesso, assumendo così il carattere di specialità anche se formulata genericamente e senza uno specifico richiamo al giudizio di legittimita. L’art. 83 c.p.c., comma 3, prevede, infatti, che la procura è "speciale" quando è apposta in calce o a margine del ricorso con sottoscrizione della parte, autenticata dalla certificazione dal difensore, come accaduto nel caso di specie, essendo palese dal contenuto della stessa la volontà dei ricorrenti di stare in giudizio con il difensore designato (sul tema del carattere speciale della procura in Cassazione, cfr. di recente, Cass. 2 febbraio 2006 n. 2340; Cass. 8 gennaio 2005 n. 1826; Cass. 20 agosto 2004 n. 16349; Cass. SS.UU. 5 luglio 2004 n. 12265).

La validità della procura comporta sotto tale profilo l’ammissibilità del ricorso.

Ciò posto, con il primo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 880 e 881 c.c., in relazione all’art. 116 c.p.c., anche quale vizio di motivazione, per avere la corte di merito affermato erroneamente che il civico 33 dei convenuti era più alto del civico (OMISSIS). Ciò che farebbe maggiormente apparire errato il ritenere comune il muro, ad avviso dei ricorrenti, sarebbe rappresentato dall’esistenza di un finestrone nel piano sottostante all’appartamento dei ricorrenti che sporgeva incontestato e libero da qualsiasi fabbrica, ora occluso.

Inoltre dalla consulenza effettuata in via di accertamento preventivo avanti alla Pretura scaturiva che il muro della terrazzina B., prima dell’abbattimento del civico (OMISSIS), non aveva una corrispondente fabbrica del medesimo civico (OMISSIS) (la parte superiore al finestrone).

Il motivo non è accoglibile.

Per quanto riguarda gli asseriti errori in cui sarebbe incorsa la corte di merito è appena il caso di osservare che sebbene il motivo indichi in epigrafe "errata e falsa applicazione dell’artt. 880 e 881 c.c., erronea e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c.", nella sostanza le censure si risolvono essenzialmente nella richiesta di rivalutazione di risultanze istruttorie (peritali, documentali, fotografiche e a.t.p. svoltasi dinanzi alla Pretura di Caserta, procedimento n. 944/1983, elaborato il cui contenuto non viene neanche trascritto, in spregio del principio di autosufficienza del ricorso).

Anche nella parte in cui la censura è titolata come vizio di motivazione, essa si concreta nella prospettazione di una diversa analisi del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità, nonchè nella pretesa di contrastare valutazioni ed apprezzamenti dei fatti e delle risultanze probatorie che sono prerogativa del giudice del merito e la cui motivazione al riguardo non è sindacabile in sede di legittimità se – come appunto nella specie – sufficiente ed esente da vizi logici e giuridici. Inoltre si ha carenza di motivazione soltanto quando il giudice di merito omette di indicare nella sentenza gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indica tali elementi senza però un’approfondita disamina logico-giuridica, ma non anche nel caso di valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte. Alle dette valutazioni parte ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilità di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non è certo consentito discutere in questa sede di legittimità, ciò comportando un nuovo autonomo esame del materiale delibato che non può avere ingresso nel giudizio di cassazione.

Nella specie il giudice di appello è pervenuto alle conclusioni sopra riportate nella parte narrativa che precede (e dai ricorrenti criticate) attraverso complete argomentazioni, improntate a retti criteri logici e giuridici, oltre ad essere frutto di un’indagine accurata e puntuale delle risultanze di causa riportate nella decisione impugnata e relative, in particolare, ai documenti acquisiti, dando conto delle proprie valutazioni, circa i riportati accertamenti in fatto, esponendo adeguatamente le ragioni del suo convincimento.

Ed invero la corte distrettuale ha escluso la sussistenza di proprietà esclusiva del muro divisorio sulla scorta di una ponderata condivisione delle risultanze peritali, della ritenuta ininfluenza, ai fini in questione, del contenuto dell’atto di acquisto del 22.6.1978, della poca chiarezza del riferimento alla canna fumaria.

Si aggiunga che segnatamente alla questione della preesistenza di un "finestrone" non risulta essere stata prospettata nel pregresso grado di giudizio, atteso che il giudice distrettuale indica compiutamente il contenuto del primo motivo (v. pag. 6 della gravata pronuncia), contenuto al quale risulta estranea la suindicata tematica e dunque è inammissibile, in quanto tesa ad introdurre nel giudizio di legittimità un fatto del tutto nuovo.

Con il secondo motivo viene dedotta la errata e falsa applicazione degli artt. 872, 873 e 879 c.c. in relazione all’art. 116 c.p.c., anche quale vizio di motivazione per non essere stato considerato a fine probatorio che le foto della vecchia costruzione rispetto alla terrazzina degli appellanti si trovava indietro di ben mt. 5,8, mentre la nuova costruzione ha occupato tutto detto spazio, allineandosi alla facciata interna verso il cortile del vecchio edificio civico (OMISSIS), con notevole modificazione della volumetria, che integrando una nuova costruzione avrebbe dovuto rispettare le distanze minime dal fondo finitimo.

Infondato risulta anche detto secondo mezzo avendo il giudice distrettuale fatto corretta applicazione del principio della irretroattività del riconoscimento dell’interesse storico dell’edificio e per tale ragione ha escluso l’applicabilità dell’art. 879 c.c., ampiamente argomentando che in base al P.R.G. di Caserta del 1954 (applicabile ratione temporis al procedimento avviato dai resistenti per il rilascio della licenza edilizia) non esisteva alcun problema di distanze legali minime nella zona intensiva in cui insistono le costruzioni in questione.

Nè i ricorrenti per scalfire la statuizione del giudice di merito possono invocare la variante n. 40/1986 della quale non indicano la data (v. pag. 11 del ricorso) ed il contenuto, sì da potere verificare la pertinenza del documento all’oggetto della lite e la decisività probatoria dello stesso. Inoltre i ricorrenti non hanno neanche dedotto di avere provato nei precedenti gradi di merito che l’edificio delle controparti fosse stato comunque realizzato successivamente all’emissione del decreto, del 13.12.1985, che ha imposto il vincolo e quindi in epoca notevolmente successiva rispetto alla data di rilascio della licenza edilizia n. 169/1982.

Inoltre, del tutto nuovo – e quindi inammissibile – è la pretesa relativa alla circostanza di fatto della distanza in arretramento di mt. 5,8 rispetto alla nuova costruzione, di cui non vi è alcun cenno nella sentenza impugnata.

Con il terzo motivo viene denunciata la errata e falsa applicazione della legge antisismica n. 64/1974, in particolare "art. C.4.2.", nonchè il vizio di motivazione, avendo la corte di merito ignorato completamente detta legge, riportandosi genericamente al regolamento edilizio del 1954, mentre si dovevano ritenere tassative le norme della L. n. 64 del 1974 per gli edifici costruiti in distacco ed in particolare per i giunti di dilatazione, non suscettibili di interpretazione forfettaria. Infatti nella descrizione delle distanze il c.t.u. individua dei punti non corrispondenti alla distanza prevista dalla legge e nelle conclusioni si contraddice asserendo che l’edificio è conforme alla legge. Precisano i ricorrenti che le distanze non conformi ammontano a ben due su sei pari al 33% del totale delle misure, laddove anche una sola misura fuori norma rende l’edificio non conforme alla legge antisismica.

Va disattesa anche detta censura che, sebbene riportata sotto l’epigrafe "errata e falsa applicazione della Legge Antisismica n. 64 del 1974", si risolve in una critica alle conclusioni del c.t.u.

ponderatamente condivise dal giudice distrettuale.

Sono, peraltro, insussistenti gli asseriti errori nel calcolo delle distanze per i distacchi: il c.t.u., infatti, non ha disconosciuto la vincolatività della prescrizione di cui al paragrafo C.4 (Distanze tra edifici), punto C.4.2. (edifici contigui) del D.M. CC.PP. 16 gennaio 1996, quanto all’ampiezza del giunto tecnico, ma ha solamente ritenuto – conclusione condivisa dalla corte di merito – che la distanza minima negli edifici contigui andava calcolata in relazione ai due organismi strutturali contrapposti (ossia alla parte essenziale del giunto), senza considerare accidentali sporgenze localizzate, dovute ad elementi sovrapposti di finitura che per la loro morfologia, limitatezza, posizionamento, ecc… non escludevano quella libera ed indipendente oscillazione degli edifici che la normativa antisismica vuole assicurare. Del resto una interpretazione del dettato normativo nel senso auspicato dai ricorrenti dovrebbe condurre unicamente al taglio, di appena qualche centimetro, delle isolate sovrapposizioni delle strutture verticali.

Con il quarto ed ultimo motivo viene denunciata la errata e falsa applicazione degli artt. 901, 906 e 907 c.c., nonchè il vizio di motivazione, in quanto le vedute non sarebbero esercitagli solo a partire dai due metri a salire, mentre nella specie il muretto è di cm. 175/177 ed è sempre stata esercitata anche per il tramite del poggiolo di antica fabbrica che ne sanciva l’esercizio e ne riduceva l’altezza a mt. 1,37 dal lato sud, poggiolo che non può essere interpretato come "uso di mezzi artificiali" e che costituiva una tecnica costruttiva del tempo per permettere una comoda veduta.

Va disatteso anche l’ultimo motivo del ricorso principale con il quale si censura, sostanzialmente, un apprezzamento di fatto operato dal giudice distrettuale e consistito nell’escludere che un muro, per le sue dimensioni ed in particolare per la sua altezza pari a mt.

1,77, ridotta in un punto a mt. 1,37 per la presenza di un retrostante "poggiolo", costituisca opera atta a consentire una comoda inspectio e prospectio.

In ogni caso la pronuncia del giudice distrettuale, quanto ai caratteri dell’opera destinata a consentire la veduta, risulta conforme alla riflessione giurisprudenziale di questa corte (in tal senso, v. Cass. 21 maggio 2012 n. 8009; Cass. 8 marzo 2011 n. 5421;

Cass. 5 dicembre 2003 n. 18637).

Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato e tale statuizione assorbe il ricorso incidentale, con il quale il P. ha dedotto il difetto di legittimazione dei ricorrenti per essere legittimato ad agire a tutela di un muro condominiale il solo condominio, che è stato proposto solo per l’ipotesi di accoglimento del ricorso principale.

Secondo l’ordinario criterio, i ricorrenti principali vanno condannati, in solido tra loro, al rimborso delle spese per il giudizio di legittimità sostenute dal ricorrente incidentale e dai coniugi P. – D.R., liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato;

condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida per ciascuna parte in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori, come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012
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