Cass. civ. Sez. II, Sent., 14-08-2012, n. 14510

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il Professor M.F. impugna la sentenza della corte d’appello di Milano n. 1533 del 2006, che rigettava il suo gravame avverso la sentenza del tribunale di Milano che, a sua volta, aveva accolto l’opposizione proposta dagli odierni intimati al decreto ingiuntivo ottenuto dal ricorrente per il pagamento del compenso professionale per le prestazioni rese per l’assistenza medico-legale svolta nel giudizio proposto per ottenere il risarcimento del danno subito dal figlio degli intimati, F..

Il Tribunale aveva negato il diritto al compenso per l’attività svolta dal professionista rilevando che: 1) questi si era impegnato a prestare la sua assistenza medico-legale nell’instaurando giudizio "in cambio di un compenso (commisurato al 10% del risarcimento del danno alla persona) da corrispondersi solo in caso di esito positivo della lite"; 2) la causa si era conclusa in primo grado in senso sfavorevole agli istanti i quali erano stati condannati anche alle spese; 3) la sentenza di primo grado era stata poi confermata in appello.

La Corte d’appello di Milano rigettava il gravame dell’odierno ricorrente osservando, quanto al primo motivo, che l’accordo in questione doveva ritenersi aleatorio (diritto al compenso solo in caso di esito favorevole della lite), che l’attività cui professionista si era impegnato era quella di assistenza medico- legale; che tale attività poteva assumere rilievo in primo grado, risultando solo residuale negli altri gradi; che non era stata stabilita la durata dell’accordo e non era quindi possibile ritenere che il recesso era stato operato prima del termine; che, in ogni caso, non si poteva evincere che il patto intendesse riferirsi all’esito del giudizio nei gradi successivi al primo, potendosi anche ritenere già esaurito il mandato di consulenza in un primo grado;

che, infine, il recesso operato non aveva impedito il realizzarsi della condizione relativa all’esito del giudizio.

Il ricorrente formula quattro motivi di ricorso. Resistono gli intimati

Motivi della decisione

1. I motivi del ricorso.

Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la "violazione e falsa applicazione degli artt. 1373 e 2237 cod. civ. e dei principi e norme che disciplinano gli effetti del recesso unilaterale nel contratto a prestazioni continuata qual è il contratto d’opera".

Con il secondo motivo viene dedotta la "violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1321, 1322, 1372 e 1373 cod. civ. e dei principi e norme che disciplinano l’autonomia privata e che stabiliscono che le parti sono vincolate al vincolo contrattuale, con la conseguente irrilevanza giuridica dell’evento, dedotto quale condizione, che si sia verificato successivamente allo scioglimento del contratto o che era comunque pendente al momento dello scioglimento del contratto".

Con il terzo motivo viene dedotta la "violazione e falsa applicazione dei principi che disciplinano i contratti aleatori in cui una prestazione del contratto è subordinata al verificarsi di un evento futuro e incerto: l’alea, inteso come fatto esterno non correlato all’entità e all’incidenza della controprestazione".

Con il quarto motivo viene dedotta la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale, riconosciuta la natura aleatoria del contratto, ha affermato l’irrilevanza del recesso esercitato dagli odierni resistenti il 30 aprile 1987 all’esito del giudizio di primo grado, ma anticipatamente rispetto alla definizione dell’intero giudizio. Così operando la Corte territoriale avrebbe errato perchè l’esercizio del recesso, ammissibile e lecito, aveva determinato lo scioglimento del vincolo contrattuale, "escludendo, a priori, il realizzarsi della causa voluta dalle parti". Infatti, il pagamento del corrispettivo della prestazione (che aveva avuto esecuzione) era condizionato all’evento futuro e incerto dell’esito positivo della lite, evento questo che, per effetto del recesso anticipato, "aveva perso la sua funzione giuridica di condizionare la sussistenza o meno della prestazione" a carico degli odierni intimati. Doveva, quindi, trovare applicazione l’art. 2237 cod. civ., che impone al cliente di rimborsare al prestatore d’opera le spese sostenute e di pagare il compenso commisurato all’attività svolta. Ciò perchè l’esercizio del diritto di recesso determina la cessazione del contratto.

Inoltre, la sentenza impugnata risulta anche contraddittoria, avendo dato rilievo all’entità della prestazione ed alla sua incidenza sull’evento, considerando l’esito del giudizio di primo grado.

Erroneamente la Corte territoriale ha valutato, trattandosi di contratto aleatorio, l’incidenza sull’esito della lite della prestazione del professionista non "correlata all’entità della prestazione, ma correlata ad un fatto esterno e cioè al risarcimento del danno".

2. Il ricorso è infondato e va respinto.

I motivi per la stretta connessione possono essere trattati congiuntamente come del resto ha fatto lo stesso ricorrente.

La tesi sostenuta si fonda sull’esclusione della possibilità di dare giuridico rilievo alla condizione collegata all’alea del contratto, quando questo sia venuto meno anticipatamente per libera scelta di una della parti.

Al riguardo questa Corte ha già avuto modo di affermare il condiviso principio secondo cui "l’art. 2237 cod. civ., il quale pone a carico del cliente che receda dal contratto d’opera il compenso per l’opera svolta (indipendentemente dall’utilità che ne sia derivata), può essere derogato dai contraenti, i quali possono subordinare il diritto del professionista alla realizzazione di un determinato risultato, con la conseguenza che il fatto aggettivo del mancato verificarsi dell’evento dedotto come oggetto della condizione sospensiva comporta l’esclusione del compenso stesso, salvo che il recesso ante tempus da parte del cliente sia stato causa del venir meno del risultato oggetto di tale condizione" (Sez. 2, Sentenza n. 11497 del 21/10/1992 – Rv. 479082). Si tratta del precedente anche richiamato dalla Corte territoriale, che ne ha anche seguito l’iter argomentativo per motivare la sua decisione.

Al riguardo questo Collegio condivide non solo il principio di diritto affermato, ma anche l’iter argomentativo di tale richiamata sentenza, che è il seguente. "Ora è vero che in linea di principio, il recesso del cliente, giustificato o meno, non incide sulla determinazione della misura del compenso, se non nel senso che il compenso è dovuto non per l’opera commessa, ma solo per l’opera svolta in quanto la legge (art. 2237 cod. civ., comma 1) pone a suo carico, una obbligazione indennitaria, indipendentemente dalla utilità che al committente sia derivata dall’opera del professionista.

Tuttavia, ciò non esclude che il diritto di recesso e gli effetti che da esso scaturiscono, data la loro inerenza al tipo negoziale pattuito, in quanto diretti alla tutela di interessi che non trascendono quelli delle parti, sono derogabili esplicitamente o implicitamente dai contraenti.

Ne consegue che se vi è stata tra le parti una valida convenzione nel senso di ancorare non la misura del compenso, ma il diritto stesso al compenso, alla realizzazione di un determinato risultato – ed è nota la piena ammissibilità per i contratti d’opera della previsione di condizioni per l’erogazione dei compensi, sì da determinare per tali contratti la configurazione di contratti aleatori – il fatto oggettivo del mancato verificarsi del risultato utile previsto, secondo le modalità pattuite, comporta necessariamente che nessun diritto al compenso può dirsi mai sorto a favore del professionista, neppure in caso di revoca dell’incarico, nella misura più limitata dell’opera effettivamente prestata, a meno che il recesso ante tempus del cliente sia stato causa del venir meno del risultato.

Ciò in quanto non si tratta di giustificatezza o non della revoca, nel corso dell’incarico, ma del fatto che per espressa determinazione delle parti, l’attività svolta non essendo approdata al risultato previsto dei contraenti e giuridicamente irrilevante e come tale non è suscettibile di compenso.

Diversamente opinando si perverrebbe alla conclusione che pur avendo le parti dedotto in contratto una prestazione di risultato e non di mezzi, anche nel caso di mancato avveramento del risultato utile pattuito, il semplice recesso del cliente dal contratto ormai ineseguito lascerebbe integro, nonostante la contraria volontà dispositiva delle parti, il diritto al compenso del professionista".

Nel caso in questione, l’eventuale recesso anticipato non esclude che si debba tener conto dell’esito finale della lite, aspetto questo specificamente dedotto in contratto, che, come lo stesso ricorrente osserva, è stata interamente coltivata nei tre gradi del giudizio con lo stesso esito negativo, che escludeva appunto il diritto al compenso. Nè, come correttamente ha opinato la Corte, stante la specificità dell’impugnazione, avrebbe potuto ragionevolmente portare ad un diverso esito del giudizio l’attività professionale del ricorrente (medico), sostanzialmente già esaurita nella predisposizione della relazione di parte in primo grado e nella connessa attività. Ed esclusivamente in questa prospettiva la Corte territoriale ha operato le relative valutazioni, dovendo accertare se il recesso ante tempus dei clienti potesse essere valutato come "causa del venir meno del risultato oggetto di tale condizione". E ciò ha appunto escluso la Corte territoriale sia con riguardo al trascurabile rilievo dell’attività del professionista nella fase dell’impugnazione, sia in relazione all’aver i clienti coltivato il giudizio fino al suo esito finale. Non sussiste, quindi, neanche il dedotto vizio di motivazione sotto tale profilo.

Ulteriormente occorre osservare che la Corte territoriale ha anche ritenuto di interpretare la volontà delle parti nel senso di ritenere che il contratto concluso non avesse uno specifico termine all’esito del giudizio, escludendo di conseguenza anche che vi fosse stato un recesso ante tempus. Si tratta di valutazione di merito, ampiamente ed adeguatamente motivata e come tale incensurabile in questa sede.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.000,00 Euro per onorari e Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012
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