Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14490

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Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro stipulato tra R.A. e la società XXX in data 8 giugno 1999 ex art. 8 del c.c.n.l. 1994 e successivi accordi sindacali; l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato da tale data, condannando la società XXXal pagamento delle retribuzioni dalla costituzione in mora.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 19 gennaio 2007, respingeva il gravame proposto dalla società Poste.
Quest’ultima propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, poi illustrati con memoria.
Il R. è rimasto intimato.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la società XXXdenuncia la violazione dell’art. 1372 c.c., commi 1 e 2, nonchè omessa o insufficiente motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
Si duole in sostanza la società della mancata valutazione dell’eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo consenso, valutato l’apprezzabile lasso di tempo tra la risoluzione del rapporto e la manifestazione di una volontà oppositoria da parte del lavoratore.
Il motivo è infondato.
Secondo il pacifico orientamento di questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 11 marzo 2011 n. 5887) ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso (costituente una eccezione in senso stretto, Cass. 7 maggio 2009 n. 10526, il cui onere della prova grava evidentemente sull’eccepiente, Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279), non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio dei suoi diritti, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (Cass. 15 novembre 2010 n. 23057).
Nessuna di tali indicazioni è fornita, con sufficiente grado di specificità, dalla ricorrente Poste.
2. Con il secondo e terzo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23;
dell’art. 1362 c.c. e segg. nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando che la Corte di merito, in contrasto con le norme richiamate, non considerò adeguatamente che con la delega contenuta nel citato art. 23, le parti sociali erano libere di individuare nuove e diverse ipotesi di assunzione a tempo determinato, senza altri limiti se non quello dell’osservanza di un limite percentuale dei lavoratori da assumere, sicchè le pattuizioni collettive erano sottratte dal sindacato giurisdizionale, e segnatamente in ordine all’esistenza di un nesso causale tra le ragioni di assunzione e la singola stipula del contratto a tempo determinato.
Lamenta inoltre che i giudici di merito non avevano adeguatamente considerato che nessun limite temporale, sino all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001, poteva essere imposto alle pattuizioni sindacali delegate.
3. I motivi, che stante la loro connessione possono essere congiuntamente trattati, risultano infondati.
La sentenza impugnata, infatti, non ha ritenuto le pattuizioni collettive, in tema di individuazione di nuove ipotesi di contratto a tempo determinato L. n. 56 del 1987, ex art. 23 soggette ai requisiti di cui alla L. n. 230 del 1962, art. 1 ma solo che esse avessero inteso prevedere un limite temporale alle specifiche esigenze organizzative legittimanti le assunzioni a termine di cui al c.c.n.l.
26 novembre 1994 e successivi accordi integrativi.
L’assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia negoziale collettiva, che, pur delegata alla individuazione di nuove ipotesi di assunzione a tempo determinato, non si sottrae ai principi generali dell’ordinamento in materia di sindacato giurisdizionale e di onere della prova.
E’infatti evidente che, pur libere le parti sociali di stabilire nuove ipotesi di assunzione a termine, resta onere di chi per tale causale assume a tempo determinato di dimostrare che l’assunzione è avvenuta e trova titolo nella pattuizione sindacale, restando l’esistenza di tale nesso causale soggetto al sindacato giurisdizionale.
Quanto alla ritenuta limitata efficacia temporale degli accordi intervenuti all’interno della società XXX, anche tale assunto risulta assolutamente rispettoso dell’autonomia negoziale collettiva ed in linea col consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006 n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006 n. 2345, Cass. 2 marzo 2006 n. 4603), secondo cui dall’esame dei vari accordi in materia si evince che le parti sociali autorizzarono la stipula di contratti a tempo determinato per le causali di cui all’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, sino al 30 aprile 1998.
Le altre censure restano pertanto assorbite dalle precedenti considerazioni.
3.- Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1217 e 1233 c.c..
Lamenta la società XXXche ai fini della condanna al risarcimento dei danni in tesi patiti dal lavoratore, è necessario che questi provi il danno subito e che abbia offerto formalmente la sua prestazione lavorativa e che il datore di lavoro l’abbia illegittimamente rifiutata.
Ad illustrazione del motivo formulava il seguente quesito di diritto:
"Dica la Corte se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore, a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato, ha diritto al pagamento delle retribuzioni solo dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto dell’art. 1206 c.c. e segg.".
Il quesito, e con esso il motivo (Cass. sez. un. 9 marzo 2009 n. 5624), è inammissibile, non contenendo alcuno specifico riferimento la caso di specie.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, "Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. E’, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge", Cass. 17 luglio 2008 n. 19769. In termini: Cass. ord. n. 19892 del 25 settembre 2007, secondo cui "E’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo".
4. Considerato che la censura inerente il risarcimento del danno è risultata inammissibile, è inammissibile anche la richiesta, contenuta nella memoria ex art. 378 c.p.c., di applicazione dello ius superveniens costituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5, 6 e 7, dichiarato costituzionalmente legittimo da C. Cost. n. 303/11.
Ed invero va evidenziato che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici e rituali motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070).
Tale condizione non sussiste nella fattispecie.
5. – Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Nulla per le spese essendo il R. rimasto intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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