Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 23-05-2013) 11-06-2013, n. 25614

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Il Giudice di pace di Prato ha dichiarato I.V. responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis in quanto, quale cittadino extracomunitario, aveva fatto ingresso o comunque si era trattenuto sul territorio dello Stato italiano in violazione delle norme in materia di immigrazione, alla data del 5 settembre 2009. Ha quindi condannato il predetto alla pena di Euro 3500,00 di ammenda.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il procuratore generale presso la Corte di appello di Firenze, deducendo:

– violazione di legge. La norma incriminatrice si pone in contrasto con la disciplina della direttiva 2008/115/CE. Il ricorrente ha concluso con la richiesta di disapplicazione della norma incriminatrice e in subordine con la richiesta di sospensione del processo e rinvio degli atti alla Corte di giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 TFUE, per l’esatta interpretazione dei contenuti prescrittivi della direttiva; in via ulteriormente subordinata per l’annullamento con rinvio.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito esposte.

La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato – D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis – ha di recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una "condizione personale e sociale" – quella, cioè, di straniero "clandestino" (o, più propriamente, "irregolare") – e non criminalizza un "modo di essere" della persona.

Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal "fare ingresso" e dal "trattenersi" nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge.

Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.

La condizione di "clandestinità" è, in questi termini, la conseguenza della condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la rilevanza penale di correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: si tratta di un bene "strumentale", per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici "finali" di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di "categoria", capace di accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.

Sulla base di questo nucleo argomentativo la Corte costituzionale ha decretato la compatibilità della norma di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis con alcuni principi della Carta fondamentale, specificamente e principalmente con quelli desumibili dagli artt. 2 e 3.

Per quel che poi attiene alla compatibilità con la normativa sovranazionale, in particolare con la direttiva CE n. 115 del 2008, si è di recente registrato l’intervento risolutivo della Corte di giustizia con la decisione del 6 dicembre 2012 sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta, ai sensi dell’art. 267 TFUE, dal Tribunale di Rovigo, nel procedimento penale a carico di Md Sagor. La Corte di giustizia, con tale pronuncia ha escluso che le disposizioni della direttiva precludano di sanzionare il soggiorno irregolare con una pena pecuniaria sostituibile con la pena dell’espulsione. A tal proposito è appena il caso di ricordare che già questa Corte aveva statuito che "la fattispecie contravvenzionale prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 10-bis, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la c.d. direttiva Europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato" – Sez. 1, n. 951 del 22/11/2011 (dep. 13/1/2012), Gueye, Rv. 251671-.

Così ricostruito il quadro delle compatibilità con la normativa costituzionale e con quella sovranazionale, il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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