Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 23-05-2013) 10-06-2013, n. 25436

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. Il difensore di B.V. ricorre per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale della Libertà di Bologna, in data 10 gennaio 2013, ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari di quella città, che aveva applicato al suddetto indagato la misura della custodia cautelare in carcere per i reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 74 e 73.

Deduce:

a) motivazione erronea e apodittica circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Il ricorrente assume che le argomentazioni utilizzate dai giudici del riesame "sono meramente teoriche e riferite a un contesto investigativo basato solo su elementi spionistici non riscontrati da specifiche ammissioni che possano far risaltare la sussistenza dell’elemento psicologico in capo al prevenuto, che viene presunto solo sulla base di una collocazione nell’ambito del sodalizio criminale facente capo al M., del quale il B. era debitore per forniture non pagate".

b) Motivazione erronea e apodittica circa la sussistenza delle esigenze cautelari giustificative della scelta della misura impugnata.

Secondo la tesi difensiva, le imputazioni a carico del B. non giustificherebbero "l’adozione e la conferma della massima misura custodiale", dal momento che:

"l’attività investigativa e spionistica, interrottasi ben due anni prima dell’esecuzione dell’ordinanza custodiale di cui trattasi, non aveva trovato riscontro di una sua protrazione al di là dei termini temporali sopra indicati"; "l’esecuzione dell’ordinanza impugnata era stata preceduta da un’attività di perquisizione personale e domiciliare che si era conclusa con esito negativo"; "non era stata rinvenuta droga e non erano state trovate sostanze da taglio ed attrezzatura per la pesatura e il confezionamento della droga". Il Tribunale del riesame, inoltre, sempre ad avviso del ricorrente, avrebbe "omesso di statuire sulla intrinseca valenza del dato rappresentato dalla assenza di riscontri che l’attività criminale sia cessata dopo il novembre 2010".

Motivi della decisione

Il ricorso non può trovare accoglimento.

2. Quanto alla censura di cui alla lett. a) – relativa alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza – si osserva che la stessa è inammissibile sia per la sua genericità, sia perchè il ricorrente, attraverso la pretestuosa deduzione del vizio di manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata, ha tentato di ottenere una rivalutazione delle degli elementi utilizzati dai giudici del Tribunale di Bologna, che si risolverebbe in un sostanziale nuovo giudizio sul fatto; e tale giudizio, per costante giurisprudenza di questa Corte, è sottratto, come tutte le valutazioni di merito, al sindacato di legittimità della Cassazione.

E in vero, i giudici del riesame – dopo avere affermato che il B. ha sostanzialmente ammesso le sue responsabilità in ordine ai reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 – hanno evidenziato che la responsabilità dell’indagato in ordine al più grave delitto di associazione per delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, si desume con assoluta certezza dalle numerose intercettazioni telefoniche assunte nel corso del procedimento, corroborate dai servizi di pedinamento e osservazione e dalle stesse dichiarazioni confessorie su riferite. Da tali elementi, infatti, è emersa – secondo i giudici del Tribunale di Bologna – "una struttura organizzativa stabile, volta alla commissione di una serie indeterminata di cessioni di droga, nella quale i cugini B. erano consapevolmente inseriti in qualità di stabili acquirenti, essendosi posti a disposizione per ricevere e ridistribuire significativi quantitativi di droga". E tale motivazione appare assolutamente logica e non è scalfita dalle doglianza difensive: esula, infatti, dai poteri della corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto ad emettere il provvedimento.

3. Del pari inammissibile è il motivo di ricorso di cui alla lettera b), con cui il ricorrente lamenta la ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, e ciò in quanto lo stesso si risolve nella ulteriore proposizione di argomenti difensivi adeguatamente presi in esame e confutati nella sentenza impugnata e svolge considerazioni di fatto, non suscettibili di valutazione in un giudizio di legittimità. Qui basti ricordare che i giudici del riesame hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione;

non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare integralmente in questa sede tutte le suddette argomentazioni, contenute alle pagine 11 e 12 dell’ordinanza impugnata, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore del provvedimento in esame si è puntualmente attenuto ad un coerente, ordinato e conseguente modo di disporre i fatti, le idee e le nozioni necessari a giustificare la decisione del Tribunale, che resiste perciò alle censure del ricorrente sul punto.

4. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Devesi inoltre disporre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di mille Euro in favore della cassa delle ammende. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente perchè provveda a quanto stabilito dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2013
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