Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14486

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

Con sentenza pubblicata il 7 dicembre 2009 la Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 13 novembre 2003 ha condannato la RAI Radiotelevisione italiana s.p.a.

al pagamento in favore di I.L. dell’ulteriore somma di Euro 12.600,00 a titolo di risarcimento del danno alla salute, confermando nel resto detta sentenza di primo grado che aveva condannato la stessa RAI al pagamento in favore dell’ I. della somma di L. 73.703.100 a titolo di risarcimento del danno da demansionamento dal settembre 1995 al gennaio 1997. La Corte territoriale ha considerato le mansioni svolte dall’ I. prima e dopo il 1995 verificandone lo svuotamento con conseguente demansionamento, ed ha pure considerato esistente il danno alla professionalità con riferimento a specifiche conseguenze del demansionamento quali l’arresto della carriera. La Corte romana ha pure riconosciuto e quantificato il danno alla salute, non riconosciuto con la sentenza di primo grado, sulla base della CTU che riconosciuto l’invalidità temporanea nelle misure dettagliatamente precisate.

La RAI propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su sette motivi.

Resiste con controricorso l’ I..

Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cod. civ. deducendosi che la dequalificazione non può essere ravvisata in ogni modifica quantitativa delle mansioni attribuite al lavoratore dovendosi verificare se lo jus variandi abbia comportato un abbassamento complessivo delle mansioni svolte da 1 lavoratore, mentre la Corte territoriale non avrebbe provveduto a tale necessaria verifica.

Con il secondo motivo si assume carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio rappresentato dalla idoneità delle mansioni venute meno nel periodo di asserita dequalificazione ad integrare un pregiudizio alla professionalità dell’ I..

Con il terzo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 346 e 436 cod. proc. civ. deducendosi che il giudice di primo grado, nel riconoscere l’avvenuta dequalificazione in base alle mansioni affidate all’ I., aveva comunque escluso il danno da perdita di chance per eventuale progressione di carriera e, non avendo l’ I. proposto appello incidentale sul punto ma solo sul diverso profilo del danno alla salute, la sentenza impugnata avrebbe illegittimamente confermato la condanna al risarcimento del danno con diversa causa petendi già esclusa in primo grado e non oggetto di impugnazione incidentale.

Con il quarto motivo si deduce la nullità della sentenza o del procedimento per avere la sentenza impugnata pronunciato su una domanda che non poteva ritenersi ritualmente proposta per il motivo esposto a proposito del motivo precedente.

Con il quinto motivo si lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. anche in relazione all’art. 1223 cod. civ. sempre con riferimento alla mancata progressione di carriera, presupposto di fatto escluso dalla sentenza di primo grado e che non poteva quindi essere posto a base della conferma della sentenza in assenza di impugnazione sullo specifico punto.

Con il sesto motivo si deduce carenza di motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla prova dell’asserita sussistenza di un danno alla dequalificazione risarcibile.

Con il settimo motivo si lamenta carenza o contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dalla sussistenza e dalla quantificazione di un danno biologico risarcibile in capo all’ I.. In particolare si deduce che la Corte territoriale, nel liquidare il danno in questione, non avrebbe considerato le tabelle di liquidazione ma la retribuzione percepita durante il periodo di invalidità temporanea, criterio che non avrebbe senso in un caso, come quello in esame, in cui il lavoratore ha continuato a percepire la retribuzione durante il periodo di invalidità temporanea.

I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto entrambi si riferiscono al demansionamento che non sarebbe stato valutato considerando le mansioni complessivamente ed effettivamente assegnate all’ I. in quanto la corte territoriale si sarebbe limitata a verificare la perdita delle effettive mansioni di vice capo redattore. Osserva la Corte che il giudice di merito a valutato tale variazione delle mansioni considerando, con argomentazione logicamente ineccepibile, che l’accertata variazione delle mansioni, dettagliatamente e compiutamente descritte, non è stata compensata dal conferimento di altri incarichi che avrebbero consentito il mantenimento del livello professionale precedentemente acquisito. La Corte romana ha valutato sinteticamente sia le mansioni cessate, sia quelle successivamente attribuite, svolgendo un giudizio di comparazione dal quale è pervenuta alla conclusione della sussistenza del demansionamento in questione. Tale giudizio, come detto, motivato in modo logico e compiuto, sfugge ad ogni censura in sede di legittimità.

Il terzo, quarto e quinto motivo possono pure essere esaminati congiuntamente in quanto con essi si censura la considerazione della perdita di chance nella determinazione del danno subito dall’ I., assumendosi che tale argomento non sarebbe stato oggetto di impugnazione in sede di appello. I motivi sono infondati in quanto non risulta che il giudice di primo grado abbia escluso detta perdita di chance, mentre nell’atto di appello trascritto dal contro ricorrente, risulta che la stessa RAI ha chiesto di accertarsi che l’ I. non avrebbe comunque subito danni nella progressione di carriera.

Anche il sesto motivo, relativo alla prova del danno, è infondato in quanto la corte territoriale ha espressamente fatto riferimento al dato incontestato per cui i giornalisti assunti con l’ I. o successivamente a lui, sono stati tutti promossi capo redattore, e tale dato oggettivo logicamente prova il nesso fra il demansionamento ed il danno subito.

Il settimo motivo si riferisce ad una valutazione operata dal CTU e condivisa dal giudice del merito; riguardo all’invalidità temporanea va rilevato che la circostanza per cui il lavoratore continua a percepire la retribuzione nel periodo di invalidità non esclude il danno in questione stante la sofferenza che comunque nel deriva. Il danno biologico, come danno alla salute, va valutato sia in riferimento alla invalidità temporanea che in riferimento all’invalidità permanente, ed è consentito al giudice del merito liquidare il danno biologico valutando separatamente l’invalidità temporanea e quella permanente, purchè il complessivo ammontare del risarcimento sia commisurato alla reale entità del danno, in quanto la liquidazione del danno biologico con importi distinti, in relazione ai due momenti della inabilità temporanea e della invalidità permanente del danneggiato, non comporta la duplicazione di una voce di danno ontologicamente unitaria, ma si risolve nell’adozione di un criterio di liquidazione ammissibile, se il riferimento all’inabilità temporanea e all’invalidità permanente non è finalizzato all’individuazione della diminuita capacità di guadagno del danneggiato, criterio non utilizzabile per la liquidazione del danno biologico, ma all’individuazione di periodi diversi, che corrispondono ad una diversa intensità della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto, ai quali rapportare la liquidazione equitativa di un danno, risarcibile per equivalente con una prestazione patrimoniale, atta a reintegrare un valore leso che non ha in sè immediata natura patrimoniale (Cass. 30 luglio 2003 n. 11704, 19 luglio 2005 n. 11704).

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso;

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 oltre Euro 3.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. e spese generali.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2012.

Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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