Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-08-2012, n. 14483

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Svolgimento del processo
P.C. impugnava avanti il Tribunale del lavoro di Milano il licenziamento disciplinare intimatogli dal datore di lavoroXXX spa con lettera del 20.12.2007, a seguito di contestazione disciplinare dell’11.12.2007 con la quale gli era stato addebitato l’allontanamento dal luogo di lavoro per 30 minuti e il mancato adempimento della prestazione lavorativa nel giorno successivo per tre ore. Nel primo caso il ricorrente, esattore di presidio al casello autostradale di (OMISSIS), si sarebbe recato nel centro abitato, nel secondo caso avrebbe abbandonato la postazione (visibile all’utenza) ove era addetto per riparare la propria autovettura, omettendo di svolgere le ordinarie incombenze come assistere gli automobilisti in difficoltà o segnalare problemi di altra natura, tanto da non accorgersi che una delle piste era inattiva. Si costituiva laXXX che contestava la fondatezza della domanda e ribadiva la gravità dei fatti contestati. Il Tribunale di Milano con sentenza n. 485/2007 rigettava la domanda.
La Corte di appello di Milano con sentenza del 28.4.2010 rigettava l’appello del P.. La Corte territoriale osservava che la motivazione del licenziamento per relationem alla contestazione nella quale si era con chiarezza descritto i fatti addebitati, qualificati come "abbandono del posto di lavoro" e "inadempimento della prestazione" era sufficiente ed idonea ad indicare le ragioni del recesso; circa la doglianza per cui non sarebbero state indicate nella lettera di contestazione le fonti di prova, nessuna norma obbligava il datore di lavoro a trasmettere tale informazione. Circa l’eccezione di mancata affissione del codice disciplinare da un lato il recesso era stato intimato non in relazione a specifiche mancanze ma per l’inadempimento della prestazione o l’abbandono del luogo di lavoro; il codice peraltro risultava affisso. Circa il merito la Corte territoriale ricordava che la prova offerta dal lavoratore circa la ragione che lo aveva spinto ad abbandonare il posto di lavoro non era stata coltivata dal P. e che, per la seconda contestazione, era emerso per circa tre ore l’appellante era rimasto totalmente inattivo intento ad occupazioni private che lo avevano distolto dalle funzioni attribuite, tanto che non si era accorto neppure che una delle piste non funzionava. I comportamenti tenuti a breve distanza di tempo erano idonei a rompere il vincolo fiduciario tra le parti mostrando la totale inaffidabilità, nonostante l’assenza di precedenti e l’anzianità lavorativa, del P. che talvolta poteva trovarsi anche da solo al casello, con la conseguenza che il servizio di presidio poteva risultare non coperto.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il P. con tre motivi; resiste laXXX con controricorso; il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 2, commi 2 e 3 come modificata dalla L. n. 108 del 1990, art. 2. Inefficacia per omessa comunicazione dei motivi del licenziamento. Applicabilità anche al licenziamento disciplinare. Vizio procedurale ed inefficacia della sanzione.
La doglianza è già stata esaminata dai Giudici di merito che hanno correttamente osservato che, trattandosi di licenziamento disciplinare, i motivi del recesso ben potevano essere allegati attraverso un richiamo alla contestazione disciplinare, del resto molto dettagliata e contenente anche una qualificazione dei fatti come, rispettivamente, "abbandono del posto di lavoro" e "inadempimento della prestazione". Peraltro essendo i fatti già analiticamente ricostruiti e qualificati nel termine prima indicato l’enunciazione dei motivi si sarebbe tradotta nella reiterazione, inutiliter data, di quanto già conosciuto dal lavoratore (cfr. cass. n. 454/2003; cass. n. 109/2004). Circa l’altra doglianza di cui si parla al motivo, nessuna norma obbligava il datore di lavoro a comunicare le fonti dalle quali risultavano gli addebiti contestati e cioè un rapporto sul suo comportamento sui luogo di lavoro.
Con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 1 Onere di pubblicità:
sussistenza laddove la disciplina contrattuale non consente l’automatica risoluzione del giudizio di proporzionalità. Gli addebiti secondo la morale comune, in assenza di recidiva, non consentivano di ritenere in via automatica l’applicabilità della misura del licenziamento; occorreva quindi l’affissione anche per offrire un parametro di riferimento circa la gravità dei fatti contestati.
Anche tale doglianza è stata già esaminata dai Giudici di appello che hanno ricordato che il codice disciplinare risulta comunque affisso (pag. 8 della sentenza impugnata, l’accertamento compiuto sul punto non appare contestato ) e che comunque per consolidata giurisprudenza di questa Corte non occorre l’affissione allorchè la sanzione sia comminata in relazione a mancanze generiche come quelle in esame che integrano l’omissione dei doveri basilari de prestatore di lavoro e cioè non abbandonare il luogo di lavoro e il puntuale svolgimento dei compiti assegnati (cfr. Cass. n. 21378/2004; Cass. n. 19306/2004; Cass. n. 12500/2003; Cass. n. 11108/2002). La mancata produzione del codice disciplinare in giudizio a nulla rileva, essendo la doglianza relativa alla mancata affissione nel luogo di lavoro.
Con il terzo motivo si allega la violazione e falsa applicazione degli artt. 35, 36 e 37 del CCNL applicabile. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. e della L. 15 Luglio 1966, art. 1.
Carenza di giusta causa. Omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione in ordine a fatti contestati e decisivi per la controversia. Si erano documentate le esigenze di salute che avevano portato il P. ad abbandonare per un brevissimo periodo di tempo il posto di lavoro, nel secondo episodio non vi era stato in realtà abbandono dei posto di lavoro ed il ricorrente era rimasto ben visibile presso il casello e non si erano verificate conseguenze (nè potevano verificarsi) del comportamento inadempiente. Non erano stati attentamente vagliati tutti i particolari dei due episodi che portavano al ridimensionamento della gravità dei fatti contestati Entrambe le violazioni dovevano essere sanzionate con misure non espulsive.
Il motivo appare infondato. La Corte territoriale ha vagliato attentamente la fondatezza delle due specifiche contestazioni; circa la prima l’abbandono del posto di lavoro non può essere attribuita alla necessità di assumere un farmaco in quanto, a prescindere dalla scarsa plausibilità della tesi difensiva, non è stata espletata la prova richiesta in quanto lo stesso ricorrente non l’ha coltivata.
Circa il secondo episodio neppure nel motivo si contesta che il ricorrente sia rimasto totalmente inattivo indaffarato in operazioni sulla propria autovettura al di fuori della postazione ove era addetto e senza poter svolgere i compiti assegnatigli. Pertanto a breve distanza di tempo (i due episodi si sono svolti in due giorni) il ricorrente è stato sorpreso in condotte che implicano la totale negazione degli obblighi contrattuali e delle mansioni di controllo e verifica che implicavano proprio una pronta e vigile presenza al casello autostradale per aiutare gli utenti o segnalare guasti o altre disfunzioni. Tale condotta reiterata in un ambito temporale così breve, è di gravità tale da aver incrinato il rapporto fiduciario tra le parti, in quanto mostra la totale inaffidabilità del ricorrente (nonostante la mancanza di precedenti disciplinari) e l’impossibilità di continuare ad affidargli compiti di vigilanza e controllo come quelli prima descritti. Pertanto non si ravvisano omissioni nella ricostruzione dei fatti di cui alla contestazione (sul punto la motivazione appare congrua, logicamente coerente ed offre un puntuale riferimento alle risultanze di causa) e le osservazioni svolte in ordine alla proporzionalità della sanzione appaiono persuasive e condivisibili, posto che in due giorni consecutivi è emersa una condotta del lavoratore violativa di obblighi elementari di correttezza e buona fede, capace di ingenerare razionalmente una sfiducia sulla possibilità di proseguire utilmente la collaborazione lavorativa tra le parti.
Si deve quindi rigettare il ricorso. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come al dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 40,00 per esborsi, nonchè in Euro 3.000,00 oltre IVA, CPA e spese generali per onorari di avvocato.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 giugno 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 agosto 2012

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