Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 06-06-2013, n. 25011

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. In parziale riforma della sentenza del locale Tribunale in data 21.4.2010, la Corte d’appello di Genova in data 23.5.12 ha confermato la condanna di P.G., all’epoca sottufficiale della Guardia di finanza, per i soli capi A) e C), rideterminando conseguentemente la pena infittagli.

Al capo A è contestato il delitto di cui all’art. 476 c.p., per la formazione di un falso verbale di sequestro, apparentemente redatto da componenti del Comando Polizia tributaria della Guardia di finanza, ma con nominativi inesistenti, consegnato a D.F. C., confidente del P..

Al capo C è contestato il delitto di peculato continuato in relazione all’appropriazione di un numero imprecisato di borse marca Diesel, cedute in parte a D.F. e in parte a tale Pi.

(altro confidente/collaboratore della Guardia di finanza).

2. Tre i motivi di ricorso enunciati nell’interesse dell’imputato.

1 -. Capo A). Violazione dell’art. 476 c.p., perchè, pacifico in fatto essersi trattato di verbale "finto" predisposto per dare una mano al confidente D.F. nei confronti del suo ambiente dopo un sequestro di orologi con marchi contraffatti reso possibile dalla sua collaborazione, tale finalità escludeva a priori alcun uso giudiziario o con valore probatorio intrinseco, "per evidenti inidoneità".

2 -. Capo A). Violazione degli artt. 530 e 210 c.p.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B ed E, con riferimento alle dichiarazioni del D.F. in ordine alla loro "valenza" ed alla riconducibilità dell’atto falso proprio al P., secondo il ricorrente avendo la Corte distrettuale argomentato solo della riferibilità di quell’atto all’ufficio del P. e non anche alla sua persona.

3-. Capo C). Violazione dell’art. 314 c.p., in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. B ed E, per la mancanza di riscontri alle dichiarazioni del D.F., tali non essendo le dichiarazioni di Pi. (che non avrebbe accusato direttamente P.) nè le parziali ammissioni dello stesso P. (di essere stato a conoscenza dell’appropriazione "della borsa" da parte di Pi.), comunque gli 8000 pezzi mancanti non potendo essere tutti transitati presso la sede della Guardia di finanza, essendo la merce "rimasta per diversi giorni nelle mani dei ladri".

Motivi della decisione

3. Il ricorso è parzialmente fondato, a giudizio del Collegio dovendosi accogliere il primo motivo, relativo al capo A, sia pure per ragioni in parte diverse da quelle dedotte.

3.1 Correttamente, infatti, la Corte distrettuale ha ricordato l’insegnamento di questa Corte suprema secondo cui i motivi che abbiano determinato al falso sono irrilevanti, il dolo del reato essendo configurato dalle mere coscienza e volontà delle alterazioni (Sez. 5, sent. 2487/1999; Sez. 5, sent. 29764/2010, per tutte).

Ma, si deve rilevare, in fatto deve ritenersi pacifico (alla luce delle sentenze di merito e dei motivi di impugnazione) che il Verbale di sequestro di cui si discute è costituito da un foglio che reca meri riferimenti grafici a reparto della Guardia di finanza (senza l’uso di timbri o altri contrassegni ulteriori rispetto alla grafia del testo) con l’indicazione di nominativi di fantasia. Si tratta pertanto, stanti questi presupposti di fatto, di un foglio che avrebbe potuto avere qualsiasi provenienza, in particolare per sè assolutamente inidoneo (per la ricordata assenza di segni peculiari dell’ufficio apparente intestatario e per la non riconducibilità nominativa a suoi componenti) ad attestare la provenienza da ente pubblico.

Ciò esclude la configurabilità del reato contestato al capo A. Il che assorbe il tema proposto dal secondo motivo (relativo all’attribuzione della condotta ascritta all’imputato, per sè comunque inammissibile perchè generico e diverso da quelli consentiti, non essendosi il ricorrente confrontato con le puntuali ed articolate argomentazioni svolte dalla Corte d’appello alle pagine 6 e 7 della sentenza, che hanno sorretto l’apprezzamento di merito dell’indicazione del sottufficiale p. quale soggetto cui riferire la consapevole partecipazione all’iniziativa).

3.2 Il ricorso va invece rigettato quanto al reato di cui al capo C. Infatti il terzo motivo (pertinente a tale capo di imputazione) è anch’esso generico e diverso da quelli consentiti.

In ordine al peculato, la Corte distrettuale ha evidenziato la convergenza tra le dichiarazioni di D.F., quelle di Pi., le parziali ammissioni di p. (di esser stato consapevole che Pi. – confidente dell’operazione – si era poi allontanato con il proprio camion e le borse, nonchè di "aver peccato di leggerezza"), valutate anche alla luce della mancanza di ulteriori spiegazioni dopo la contestazione dibattimentale delle prime dichiarazioni ed apprezzate in relazione alla dichiarazione di Pi. circa la presenza di un finanziere che aveva "acconsentito": elementi dai Giudici del merito giudicati costituire convergente ed esaustivo riscontro delle accuse del D.F..

All’evidenza si tratta di apprezzamento di stretto merito sorretto da motivazione articolata ed immune dai soli vizi rilevanti ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E, rimasta oltretutto priva di specifico confronto da parte del ricorrente.

4. La pena di due anni e quattro mesi di reclusione, rideterminata dalla Corte d’appello per i soli capi A e C, in ragione della contestuale assoluzione da altro reato, risulta essere stata così computata (p. 8): pena base per il delitto di peculato (capo C) tre anni, ridotta a due per le attenuanti generiche, aumentata di quattro mesi per la continuazione con il delitto di falso di cui al capo A. Va quindi innanzitutto eliminata la porzione di pena relativa all’aumento per la continuazione, di quattro mesi di reclusione. La residua pena di due anni diviene definitiva, in conseguenza dell’odierna contestuale esecutività dell’affermazione di colpevolezza per il capo C. Tuttavia, poichè la Corte d’appello alla stessa p. 8 ha dato atto essere stati richiesti i benefici di legge, che sono stati negati in relazione all’entità della pena complessiva che aveva determinato ("L’entità della pena, così rideterminata non consente i benefici richiesti"), e poichè la pena che va invece oggi in giudicato (due anni di reclusione) per sè non sarebbe ostativa, si impone l’annullamento sul corrispondente punto della decisione, per procedersi a nuovo giudizio sulla concedibilità dei benefici che la Corte distrettuale ha riferito essere stati richiesti.

Su tale punto, infatti, non può allo stato provvedere questa Corte suprema ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. L, perchè la motivazione della Corte d’appello non consente di ritenere che l’entità della pena sia stata considerata come unica ragione impediente, altrimenti ricorrendo invece il presupposto prognostico favorevole (apprezzamento per sè di stretto merito), piuttosto che come ragione per sè assorbente rispetto al tema della meritevolezza in concreto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al falso di cui al capo A perchè il fatto non sussiste ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione.

Rinvia per nuovo giudizio sulla concedibilità dei benefici richiesti ad altra sezione della Corte d’appello di Genova. Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013
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