Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 23-05-2013) 06-06-2013, n. 25010

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo

1. M.M. è stata giudicata in entrambi i gradi del merito (GUP Forlì/Cesena 13.2.2002, Corte d’appello di Bologna 7.2.12) del reato di calunnia in danno del coniuge separato, accusato il 18.10.1999 di averla violentata quando, invece, si era trattato di un rapporto occasionale, tredici anni dopo la separazione, consenziente.

2. L’imputata ricorre a mezzo del difensore, enunciando due motivi che contestano vizi della motivazione per l’intervenuto diniego delle richieste circostanze attenuanti ex art. 62 c.p., n. 2 e art. 62 c.p., n. 6.

Lo stato d’ira avrebbe dovuto ritenersi configurato, per aver l’uomo taciuto prima del rapporto sessuale che l’ex-convivente era deceduta per aver contratto l’HIV. L’intervenuta remissione della querela, già in data 13.12.1999, avrebbe dovuto essere considerata attestante il ravvedimento operoso post delictum, dimostrando il pentimento della donna e la sua volontà che il marito non fosse perseguito.

Motivi della decisione

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Il primo motivo è diverso da quelli consentiti. Sul punto della non riconducibilità dello stato d’ira all’aver l’uomo taciuto la morte per HIV dell’ex-convivente, la Corte distrettuale ha motivato specificamente (p. 6 primo paragrafo) evidenziando come proprio la donna avesse spiegato la sua denuncia solo alla sfrontatezza dimostrata dall’uomo nei suoi confronti. Si tratta di apprezzamento di merito non incongruo al materiale probatorio richiamato, immune da vizi riconducibili all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. E):

apprezzamento del quale in definitiva la ricorrente sollecita la rivisitazione con una diversa prospettazione in fatto, preclusa invece in questa sede di legittimità.

Medesima deve essere la conclusione per il secondo motivo. Tutt’altro che illogicamente la Corte distrettuale ha argomentato che la prospettata remissione della querela doveva essere intesa come al tempo stesso conferma dell’infondatezza dell’accusa e una sorta di confessione, idonea sì ad essere tenuta in considerazione per la definizione del trattamento sanzionatorio, come appunto già avvenuto attraverso la quantificazione della pena nel minimo edittale ed il riconoscimento delle attenuanti generiche con massima estensione, ma non a costituire presupposto anche dell’autonoma ulteriore attenuante ex art. 62 c.p., n. 6, essendosi ormai prodotti tutti gli effetti propri del reato e non avendo tale confessione incidenza reale nè potenziale sulla elisione o attenuazione delle conseguenze dannose del reato: per tutte, Sez. 6^, sent. 6936/1991. Anche in questo caso la doglianza, infondata in diritto, si risolve in preclusa censura di merito.

Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

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