Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-05-2013) 06-06-2013, n. 24975

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/




Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.F. e M.E., già condannati in primo grado per il delitto di associazione a delinquere ai fini di spaccio di stupefacenti, ricorrono, tramite difensore avverso l’ordinanza 27.2/7.3.2012 della corte di appello di Napoli che rigettava la loro istanza di ricusazione nei confronti di due componenti del collegio della corte di appello, istanza motivata dal fatto che i predetti consiglieri – D.M.A. e C. P. – avevano partecipato al giudizio, sempre nello stesso grado, di coimputati negli stessi fatti, specie di tale Z. F. per il delitto associativo contestato ai ricorrenti.

Il ricorso congiunto non merita accoglimento perchè infondato.

Premesso che le disposizioni in tema di ricusazione sono di stretta interpretazione, delineando situazioni di incompatibilità del giudice, inteso come persona fisica e non come organo, tassative quindi, tali da non consentire forme di interpretarne estensiva o analogica, deve ribadirsi, anche alla luce dei principi di cui alla sentenza n. 186/92 della Corte Costituzionale, che non costituisce causa di incompatibilità o di ricusazione del giudice il fatto che egli abbia in precedenza pronunciato applicazione della pena, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., nei confronti di soggetto concorrente nel reato ascritto a colui a carico del quale attualmente si procede, neppure quando trattasi di reato necessariamente plurisoggettivo, come nel caso di associazione a delinquere, giacchè anche in tal caso manca l’identità della "res judicanda", posto che il concorso di persone nel reato, sia esso eventuale o necessario, riposa comunque su una pluralità di condotte autonome, ciascuna delle quali destinata ad essere oggetto di separata valutazione. L’autonomia delle posizioni di ciascun concorrente consente, pur nella naturalistica unitarietà della fattispecie, una scomposizione del fatto in una pluralità di condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno possa influenzare quella dell’altro.

Invero i giudici di merito hanno correttamente segnalato che la decisione in sede di appello relativa ad altri coimputati si è limitata, a fronte della rinuncia ai motivi di gravame correlati al merito della imputazione, alla rideterminazione delle pene, da un lato, dall’altro, con riferimento al coimputato nello stesso delitto associativo, tale Z.F., che la definizione del processo è stata condizionata e solo dall’ esame di elementi di fatto per nulla coinvolgenti i profili di condotta propria del ricorrente.

E’ pur vero che la difesa contesta 1′ assunto giudiziale richiamando dichiarazione dei collaboratori che indicano il C. d il M. quali stretti collaboratori dello Z., nonchè le conversazioni ambientali tra quest’ ultimo ed i ricorrenti, costitutive di elementi già valutati per definire la posizione del primo con il consequenziale pregiudizio per la decisione dei secondo, ma una tale situazione fattuale è stata solo asserita senza documentarla, il che rende la deduzione inammissibile per la violazione della regola della autosufficienza del ricorso.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto, deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 23 maggio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2013

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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